Giorgio Bocca: l' impero mediatico
04 Maggio 2004
La sera del 25 aprile il collega Fabio Fazio al termine di una intervista sulla guerra partigiana mi disse: "Ma perché lei appare così di rado in televisione? Perché la odia?". "Guardi - gli risposi - non è che io odii la televisione, è che la televisione di regime non ama me". Due anni fa, chi definiva un regime mediatico il sistema politico e informativo che si andava formando in Italia era giudicato un provocatore. Nel migliore dei casi era considerato un bastian contrario da non prendere sul serio. E così siamo arrivati all' approvazione della legge Gasparri, che, nonostante la prima bocciatura venuta dal Quirinale, certifica l' esistenza del duopolio televisivo e garantisce a Mediaset un futuro di sviluppo e crescita inimmaginabile, mettendo dei falsi paletti alla concentrazione. La legge è tanto più grave perché legalizza il conflitto di interessi che c' è e cresce, con il capo del governo e del partito di maggioranza che al contempo è proprietario di tre reti televisive private ed è influentissimo dominus delle tre reti Rai. Alle altre piccole emittenti private - che vivono di una pubblicità che il sopraddetto signore controlla - non restano che le briciole. Una regola inviolabile del regime è che il pensiero viene omologato e del padrone non si parla male. Chi lo fa viene emarginato prima e ammutolito poi. Per lui non valgono le regole capitalistiche del mercato che stanno così a cuore al padrone. Può scrivere libri di grande successo, può essere persona di meriti civili ma il padrone non se ne cura: lo cancella. Niente galera o confino come nel regime fascista, ma il semplice silenzio: vedi il caso Biagi. Il regime informativo come quello legalizzato dalla legge Gasparri omogeneo, solidale, uniforme nei suoi due settori dominanti, il pubblico e il privato, taglia fuori ogni possibile concorrente. Questa è un' antica e immutabile struttura del capitalismo italiano, cioè fondarsi su un patto di ferro tra pubblico e privato. Su questo principio venne fondata l' economia fascista dove due istituti pubblici, l' Imi e l' Iri, funzionavano da sostenitori e da convalescenziari dell' industria e della finanza privata. Nel regime berlusconiano questo sistema duale si è ricostituito sotto nuove forme istituzionali e di fatto. Il capo del governo detta legge ovviamente nelle sue televisioni, e comanda in quelle pubbliche. La differenza fra regime del Cavaliere e la democrazia di stampo democristiano è che allora i desideri dei dirigenti del partito venivano accolti silenziosamente o confessati solo in sede storica. "Il mio azionista di riferimento - avrebbe poi ammesso Vespa - era la Democrazia cristiana". Ora tutto avviene in chiaro e senza finzioni: il capo del governo è re delle tre televisioni, nomina i giornalisti invisi e quelli vengono platealmente licenziati. Ma a rendere i maggiori servigi di regime sono i cortigiani, che a volte realizzano i desiderata del padrone prima ancora che vengano espressi. Allora l' indesiderato non riceve scomuniche o ukase, viene semplicemente depennato. Il sistema duale mette tutti d' accordo nel silenzio degli oppositori. Proprio perché è duale ma omogeneo, proprio perché tutti nelle televisioni private e pubbliche sanno che l' unica alternativa occupazionale è di passare dalle une alle altre e che la regola di tenersi buoni il padrone vige per l' uno come per l' altro. Ecco perché la questione dell' informazione è centrale per la democrazia. Poi c' è il legame della pubblicità che vale per tutti. Perché di società pubblicitarie ce ne sono parecchie ma la più forte impone i suoi interessi e i suoi ricatti. Il tentativo di uscire dal sistema duale viene sistematicamente soffocato o ridimensionato. A farla breve la legge Gasparri non è tanto un vincolo legale quanto il timbro dell' arroganza del potere.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …