Giorgio Bocca: Per chi cantano i Galli della Loggia
05 Maggio 2004
Parlare di riformismo nell'Italia di Silvio Berlusconi e nell'Occidente di George Bush è come parlare della difesa degli animali in una macelleria. Mi chi sta ancora parlando di riformismo? Gli appartenenti a una piccola congrega di pesci in barile che cercano di superare la controriforma berlusconiana fingendo di stare nel mezzo, figli della ragione nella tempesta della nuova rapina senza se e senza ma. Ospiti di giornali e di televisioni che grazie ai loro discorsi a pera simulano equidistanza e democratico confronto.
Per essere chiari con i lettori: le riforme che possono diventare rivoluzioni si fanno con alcuni decisivi rapporti di forze. Uno, il principale, è quello dello scontro di classe, fra i padroni e i lavoratori, fra il potere del denaro e delle armi e quello del popolo e dei suoi diritti. Questa resa dei conti nell'Italia di oggi non c'è per ragioni storiche che è inutile ripercorrere. Il professor Ernesto Galli della Loggia, il più accorato dei riformisti senza riforme, lo riconosce con una sconcertante sincerità: i riformisti italiani sono un gruppo velleitario, emarginato, clamante nel deserto perché non c'è più una classe operaia combattiva, non ci sono più sindacati di massa capaci di mobilitare gli operai e non ci sono più partiti capaci di guidarli.
Non ci sono neppure gli intellettuali, non c'è la rete dei club riformisti che anticiparono le rivoluzioni borghesi. Ci sono invece visibilissimi, arrembanti, in espansione e in arroganza un neocolonialismo e un neomilitarismo senza se e senza ma nella nuova rapina a dimensione mondiale.
E sarà anche vero che così è andata la musica nei millenni, ma non scambiamola per riformismo, non chiamiamo riformismo l'antica astuzia degli intellettuali italiani di saltare sul carro del vincitore e di accattivarselo con dei bassi servizi. Chi troviamo alla testa della campagna antifascista e antipartigiana gradita alla destra di regime? Troviamo i riformisti a cui il nuovo padrone ha concesso grandi spazi nella stampa e nella televisione, troviamo coloro che hanno ottenuto il monopolio dei dibattiti nei mass media. E qualcuno glielo avrà pure dato, qualcuno avrà pur deciso di mettere i Ferrara e i Battista al posto dei Biagi e dei Santoro nei commenti di prima serata, qualcuno avrà pur deciso di finanziare i giornaletti del riformismo che parla di Berlusconi come 'dell'amor nostro'.
Fare del riformismo mentre è al potere l'autoritarismo della propaganda menzognera è dare una mano al bugiardo. Durante l'incontro con il premier britannico Tony Blair, il leader di questo regime ha infilato senza la minima esitazione, rivolgendosi al popolo italiano, una serie di menzogne sesquipedali sapendo di non avere contraddittorio: la guerra in Iraq è giusta e noi vi parteciperemo fin quando piacerà agli americani. L'occupazione va benissimo, gli iracheni sono con noi e la democrazia è in marcia fra il Tigri e l'Eufrate. E le stragi quotidiane? L'impossibilità di controllare il territorio, la crescita terrificante del terrorismo, i fatti irrefutabili che ogni italiano conosce?
L'ometto non se ne preoccupa, mente come un pesce che nuota nel suo stagno. Il riformismo? Il riformismo c'è, eccome, ma in senso contrario: nella mancanza di ogni controllo finanziario, di ogni regola nell'affarismo di Stato, nella dissipazione del patrimonio pubblico ceduto sotto prezzo ai cortigiani più fidati, le storie che tutti tacciono della improvvisa fortuna di società immobiliari e di quell'altra industria super-redditizia che consiste nella bonifica del territorio appena devastato dai corrotti di regime.
Ma che ci stanno a cantare i Galli della Loggia e le altre prefiche di un riformismo inesistente o venduto?
Per essere chiari con i lettori: le riforme che possono diventare rivoluzioni si fanno con alcuni decisivi rapporti di forze. Uno, il principale, è quello dello scontro di classe, fra i padroni e i lavoratori, fra il potere del denaro e delle armi e quello del popolo e dei suoi diritti. Questa resa dei conti nell'Italia di oggi non c'è per ragioni storiche che è inutile ripercorrere. Il professor Ernesto Galli della Loggia, il più accorato dei riformisti senza riforme, lo riconosce con una sconcertante sincerità: i riformisti italiani sono un gruppo velleitario, emarginato, clamante nel deserto perché non c'è più una classe operaia combattiva, non ci sono più sindacati di massa capaci di mobilitare gli operai e non ci sono più partiti capaci di guidarli.
Non ci sono neppure gli intellettuali, non c'è la rete dei club riformisti che anticiparono le rivoluzioni borghesi. Ci sono invece visibilissimi, arrembanti, in espansione e in arroganza un neocolonialismo e un neomilitarismo senza se e senza ma nella nuova rapina a dimensione mondiale.
E sarà anche vero che così è andata la musica nei millenni, ma non scambiamola per riformismo, non chiamiamo riformismo l'antica astuzia degli intellettuali italiani di saltare sul carro del vincitore e di accattivarselo con dei bassi servizi. Chi troviamo alla testa della campagna antifascista e antipartigiana gradita alla destra di regime? Troviamo i riformisti a cui il nuovo padrone ha concesso grandi spazi nella stampa e nella televisione, troviamo coloro che hanno ottenuto il monopolio dei dibattiti nei mass media. E qualcuno glielo avrà pure dato, qualcuno avrà pur deciso di mettere i Ferrara e i Battista al posto dei Biagi e dei Santoro nei commenti di prima serata, qualcuno avrà pur deciso di finanziare i giornaletti del riformismo che parla di Berlusconi come 'dell'amor nostro'.
Fare del riformismo mentre è al potere l'autoritarismo della propaganda menzognera è dare una mano al bugiardo. Durante l'incontro con il premier britannico Tony Blair, il leader di questo regime ha infilato senza la minima esitazione, rivolgendosi al popolo italiano, una serie di menzogne sesquipedali sapendo di non avere contraddittorio: la guerra in Iraq è giusta e noi vi parteciperemo fin quando piacerà agli americani. L'occupazione va benissimo, gli iracheni sono con noi e la democrazia è in marcia fra il Tigri e l'Eufrate. E le stragi quotidiane? L'impossibilità di controllare il territorio, la crescita terrificante del terrorismo, i fatti irrefutabili che ogni italiano conosce?
L'ometto non se ne preoccupa, mente come un pesce che nuota nel suo stagno. Il riformismo? Il riformismo c'è, eccome, ma in senso contrario: nella mancanza di ogni controllo finanziario, di ogni regola nell'affarismo di Stato, nella dissipazione del patrimonio pubblico ceduto sotto prezzo ai cortigiani più fidati, le storie che tutti tacciono della improvvisa fortuna di società immobiliari e di quell'altra industria super-redditizia che consiste nella bonifica del territorio appena devastato dai corrotti di regime.
Ma che ci stanno a cantare i Galli della Loggia e le altre prefiche di un riformismo inesistente o venduto?
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …