Paolo Di Stefano: Evviva Cunego, il salvatore del ciclismo

09 Giugno 2004
Il ragazzino non riesce a trattenere il sorriso. Un sorriso a barchetta. Dice una frase degna di un capolavoro dell' assurdo: "Mi sento apparentemente tranquillo". L'altro, il suo compagno sconfitto, per sorridere deve impostare una smorfia tesa. Il ragazzino non riesce a star fermo, si tormenta i capelli con le dita, per un attimo appoggia la testa sulla mano aperta, se tiene tra le dita un microfono lo fa roteare. L'altro è una statua di pietra. Il ragazzino ha una cresta mesciata in mezzo alla testa bionda, l'altro ha i capelli neri macchiati di viola. Tanto l'uno tradisce l'allegria anche quando sa che dovrebbe fare l'adulto, tanto l'altro è interiormente arcigno e se prova la battuta gli viene fuori stentata. La maglia rosa passa da Gilberto Simoni a Damiano Cunego, da un trentino a un veneto, da un trentenne a un ventenne, da un uomo sofferto e duro a un ragazzino irrequieto, un po' finto tonto, ma non inquieto. Se c'è qualcosa che li accomuna è la testa dura. Ambedue hanno voluto la bicicletta e hanno pedalato, soprattutto in salita. La prima bicicletta di Damiano è stata una Graziella azzurra. Forse la tiene ancora in garage. A tre-quattro anni si calava un berrettino in testa fino a coprirsi gli occhi e al buio si lasciava andare giù a rompicollo per la prima discesa. Un giorno è finito contro il muso di un camioncino Transit. "Ero un kamikaze". Poteva trovare un sostantivo diverso, ma per oggi va bene ugualmente. Fatto sta che per avere una bicicletta da corsa (un milione di lire), si è messo a lavorare per un'intera estate: panettiere nel forno del paese. "Mi alzavo alle quattro del mattino, era più dura che pedalare sul Gavia". Damiano aveva 15 anni e due genitori apprensivi (o severi), Enzo e Annamaria, che non volevano lasciarlo andare da solo per la strada (c'è anche un fratello minore, Donato). Aveva già alle spalle qualche partita di hockey su ghiaccio e un palmarès onorevole come corridore campestre. "Ma la mia testa era sempre alla bicicletta". Papà Enzo, carrozziere, non voleva saperne: la passione per il rally in montagna e per le macchine d'epoca (colleziona Cinquecento fuori uso) gli facevano guardare con diffidenza quel figlio irriducibile pedalatore: "Devi fare troppa fatica, gli allenamenti, le salite, lascia perdere". Niente da fare, il piccolo kamikaze era sempre sui pedali. Così, un giorno, si ritrovò in casa un certo Beppe Martinelli, il d.s. di Pantani. Lo guardò un po' di traverso ma poi si rassegnò a un destino che prevedeva ingrato. Sicuramente avrà pensato a quei giorni quando, qualche settimana fa, Damiano ha firmato un contratto triennale con la Saeco per 300 mila euro l'anno. Mica male, per un ragazzino che a diciott'anni aveva sì indossato la maglia iridata juniores, ma che certo non contava di indossare così presto una maglia rosa. "La coronazione di un sogno", ha detto al traguardo di Milano, ma anche questo va bene ugualmente. I suffissi contano poco. Va bene che prima di ogni gara mangi spaghetti con la marmellata. Va bene anche che ripeta: "Mi sento apparentemente tranquillo". Va bene tutto. Va bene che ogni due parole dica "un attimino". Un tuo difetto? "Forse potrei essere un attimino permaloso". Chissà che cosa avrà sussurrato prima del Gavia a Margherita, la sua fidanzata: "Amore, tienimi un attimino i pugni...". Pazienza che non sappia bene che cosa studia Margherita ("credo filosofia"), pazienza che non sappia bene se lei ha mai praticato sport ("non che io sappia"). Chissà se ci fa o ci è. Pazienza se ci fa. Pazienza se ci è. L'intelligenza vispa è fuori discussione. Il resto, chissà. Chissà che cosa pensava quando, la sera, prima di entrare nella sua camera d'albergo, con il suo amico Mazzoleni appendeva i due poster giganti del suo idolo Jim Morrison sulla parete: "Sta' fermo qui un attimino, Jim". Della trasgressione del leader dei Doors, Damiano non ha niente nella vita. È un discolo sì, ma senza esagerare. Qualcosa, forse, in corsa, quando decide di andarsene. Forse avrà pensato al leader dei Doors quando il suo compagno Simoni, sul Furcia, alle 16 e 38 del 25 maggio scorso, gli ha detto "Vai, provaci tu". Probabilmente il Gibo pensava di ritrovarselo stecchito dopo qualche chilometro, invece il ragazzino non si è più fermato fino a Falzes. È partito e chi s'è visto s'è visto, Gibo compreso. "Cunego, tu sei come voglio, bello e pulito", diceva un cartello qualche giorno fa. "Cunego sposami". "Cunego, il Pirata ti guarda". "Vai Cunego, Pantani ti spinge". "La vita è un'emozione e Cunego un suo brivido". "Cunego facci sognare". Cunego qua, Cunego là. Gli striscioni che l'Italia gli ha dedicato in questi giorni, messi in fila, uno dopo l'altro, potrebbero forse coprire ininterrottamente l'autostrada Genova-Milano, le tappe di partenza e d'arrivo del suo inaspettato trionfo. Nei prossimi anni, se tutto fila liscio, gli striscioni con il suo nome potranno coprire ininterrottamente un intero Giro. Un giorno forse l'intero percorso di un Tour (i francesi s'incazzano un po' ma ci rispettano: "Noi un Cunego non ce l'abbiamo", ha ammesso il ds della FdJeux). Quel giorno, lui, il ragazzino, il piccolo airone o principe, il puledrino di razza, il serpente, il cobra, il bell'anatroccolo, ci potete contare, si gratterebbe la testa e direbbe una frase surreale: "Mi sento apparentemente tranquillo". Surreale, come gli appare oggi la sua rosea vita.

Paolo Di Stefano

Paolo Di Stefano, nato ad Avola (Siracusa) nel 1956, giornalista e scrittore, già responsabile della pagina culturale del “Corriere della Sera”, dove attualmente è inviato speciale, ha lavorato anche per …