Lorenzo Cremonesi: Il video del "blitz" per liberare gli ostaggi italiani. Niente spari e carcerieri,
17 Giugno 2004
La scena in bianco e nero si apre con gli anfibi delle teste di cuoio americane che penzolano dal portellone dell’elicottero. Sono vicinissimi a terra. Si solleva un polverone fitto, che offusca ancora di più le immagini già confuse. I soldati saltano a terra con i mitra puntati, corrono verso una palazzina a un piano. Sembra una scuola, o dei magazzini, oppure una caserma abbandonata. Terra bianca, un grande cortile interno, con viottoli cementati. Eppoi le porte spalancate. I soldati sferrano calci per aprirle ancora di più, forse temono un’imboscata.
Ma non c’è nessuno. Assolutamente nessuno. Se non loro. Gli ostaggi italiani e il polacco stesi a terra in una stanza angusta, apparentemente priva di mobilio, i muri spogli, non paiono neppure intonacati.
Sono le immagini riprese dal commando americano al momento della liberazione degli ostaggi italiani e del polacco la settimana scorsa. Già domenica il ‟Corriere della Sera” aveva pubblicato il fotogramma dove si vede un soldato Usa tagliare con le cesoie e i guantoni da lavoro le manette dell’ostaggio polacco. Sullo sfondo Salvatore Stefio, a cui le manette sono appena state tolte, sorride estasiato, alza il pollice in segno di vittoria. Ieri sera il ‟Tg1” ha trasmesso le sequenze drammatiche dell’arrivo del commando e l’entrata della stanza. Gli ostaggi appaiono esausti, gli occhi sbalorditi, quasi ancora non credessero di essere liberi. Dopo 58 giorni è finita.
L’edificio è curioso. Non un appartamento. Non una fattoria o una casa privata. Lo abbiamo detto, sembra una scuola. Con le aule che si affacciano in parallelo su lunghi corridoi bui. Una di quelle scuole tipiche delle periferie povere in Iraq. Finestroni con le inferriate, le zanzariere sfondate, porte di ferro, muri spogli. Lo stesso capo dei portavoce americani in Iraq, generale Mark Kimmitt, ci ha detto più volte che l’ultimo covo dei rapitori si trovava in una zona agricola alla periferia di Mahmudiya, una trentina di chilometri a sud di Bagdad. E lo stesso luogo è confermato dalle fonti locali che abbiamo potuto contattare.
Ma ciò che colpisce di più è l’assoluta mancanza di resistenza. "Non c’è stato scontro a fuoco. I nostri uomini non hanno sparato un colpo", aveva detto il comandante in capo delle forze Usa in Iraq (ora appena dimesso per lo scandalo delle torture nel carcere di Abu Ghreib), generale Ricardo Sanchez. Alla domanda se vi fossero state vittime tra i rapitori si era limitato a rispondere: "Tutti gli ostaggi stanno bene". Cosa che faceva supporre potesse esservi stato un conflitto con feriti o morti da parte dei rapitori e degli stessi americani. Ma nel video il blitz appare assolutamente indolore. Il generale Kimmitt aveva parlato di "quattro arrestati". Non se ne vede neppure uno. L’azione si svolge in pochi secondi.
Restano dunque del tutto aperte le domande degli ultimi giorni. Davvero non c’è stata trattativa? Davvero non è stato pagato un riscatto? Perché, in verità, il video spiega ben poco. Anzi rilancia l’ipotesi dell’azione concordata. Come se i soldati americani si muovessero secondo indicazioni ben precise e quasi nella convinzione di non aspettarsi alcuna resistenza all’interno.
Qui a Bagdad la convinzione più diffusa è che il commando si muovesse seguendo un piano concordato. "Non è da escludere il blitz. Ma neppure che esso sia seguito a una lunga serie di trattative, grazie alle quali si è giunti a identificare il covo", ci dicono fonti legate ai circoli diplomatici occidentali. A detta di alcuni iracheni vicini agli ex servizi segreti di Saddam Hussein, la cifra pagata per gli italiani e il polacco sarebbe stata di 40.000 dollari. Nulla rispetto alle somme di cui si è parlato in Italia negli ultimi tempi. "In verità il gruppo o i gruppi che hanno sequestrato gli italiani erano estremamente politicizzati e ben organizzati. Non erano interessati ai soldi. Però hanno fatto credere di essere criminali comuni per confondere la acque. Usano alcuni covi a Sadr City, nella zona più povera e violenta di Bagdad, fingono di militare tra gli estremisti sciiti. Ma con loro non hanno nulla a che fare", ci dice la stessa fonte. Tra le voci più persistenti sono i dettagli della cattura (i rapitori avrebbero girato un video di quel momento) e quello di un altro video in cui il 31 maggio gli ostaggi lanciavano un messaggio concordato per dimostrare all’esterno che il canale dei negoziati in corso era quello giusto. La mattina del 12 aprile gli italiani sarebbero stati catturati tra Samarra e Tikrit, in prossimità di un incrocio che qui chiamano ‟Al Jazira”, dove avrebbero dovuto imboccare la strada del deserto che riporta alla super-strada per il confine con la Giordania.
E perché avrebbero ucciso Quattrocchi? "Era un uomo molto coraggioso, troppo, sino all’incoscienza. Al momento della cattura cercò di usare il fucile che avevano a bordo. Poi si prese a cazzotti con i rapitori. Non obbediva, li offendeva. Non lo volevano eliminare. Lo fecero perché era diventato un problema. Il suo assassino non si trova più in Iraq, è fuggito in Siria".
Ma non c’è nessuno. Assolutamente nessuno. Se non loro. Gli ostaggi italiani e il polacco stesi a terra in una stanza angusta, apparentemente priva di mobilio, i muri spogli, non paiono neppure intonacati.
Sono le immagini riprese dal commando americano al momento della liberazione degli ostaggi italiani e del polacco la settimana scorsa. Già domenica il ‟Corriere della Sera” aveva pubblicato il fotogramma dove si vede un soldato Usa tagliare con le cesoie e i guantoni da lavoro le manette dell’ostaggio polacco. Sullo sfondo Salvatore Stefio, a cui le manette sono appena state tolte, sorride estasiato, alza il pollice in segno di vittoria. Ieri sera il ‟Tg1” ha trasmesso le sequenze drammatiche dell’arrivo del commando e l’entrata della stanza. Gli ostaggi appaiono esausti, gli occhi sbalorditi, quasi ancora non credessero di essere liberi. Dopo 58 giorni è finita.
L’edificio è curioso. Non un appartamento. Non una fattoria o una casa privata. Lo abbiamo detto, sembra una scuola. Con le aule che si affacciano in parallelo su lunghi corridoi bui. Una di quelle scuole tipiche delle periferie povere in Iraq. Finestroni con le inferriate, le zanzariere sfondate, porte di ferro, muri spogli. Lo stesso capo dei portavoce americani in Iraq, generale Mark Kimmitt, ci ha detto più volte che l’ultimo covo dei rapitori si trovava in una zona agricola alla periferia di Mahmudiya, una trentina di chilometri a sud di Bagdad. E lo stesso luogo è confermato dalle fonti locali che abbiamo potuto contattare.
Ma ciò che colpisce di più è l’assoluta mancanza di resistenza. "Non c’è stato scontro a fuoco. I nostri uomini non hanno sparato un colpo", aveva detto il comandante in capo delle forze Usa in Iraq (ora appena dimesso per lo scandalo delle torture nel carcere di Abu Ghreib), generale Ricardo Sanchez. Alla domanda se vi fossero state vittime tra i rapitori si era limitato a rispondere: "Tutti gli ostaggi stanno bene". Cosa che faceva supporre potesse esservi stato un conflitto con feriti o morti da parte dei rapitori e degli stessi americani. Ma nel video il blitz appare assolutamente indolore. Il generale Kimmitt aveva parlato di "quattro arrestati". Non se ne vede neppure uno. L’azione si svolge in pochi secondi.
Restano dunque del tutto aperte le domande degli ultimi giorni. Davvero non c’è stata trattativa? Davvero non è stato pagato un riscatto? Perché, in verità, il video spiega ben poco. Anzi rilancia l’ipotesi dell’azione concordata. Come se i soldati americani si muovessero secondo indicazioni ben precise e quasi nella convinzione di non aspettarsi alcuna resistenza all’interno.
Qui a Bagdad la convinzione più diffusa è che il commando si muovesse seguendo un piano concordato. "Non è da escludere il blitz. Ma neppure che esso sia seguito a una lunga serie di trattative, grazie alle quali si è giunti a identificare il covo", ci dicono fonti legate ai circoli diplomatici occidentali. A detta di alcuni iracheni vicini agli ex servizi segreti di Saddam Hussein, la cifra pagata per gli italiani e il polacco sarebbe stata di 40.000 dollari. Nulla rispetto alle somme di cui si è parlato in Italia negli ultimi tempi. "In verità il gruppo o i gruppi che hanno sequestrato gli italiani erano estremamente politicizzati e ben organizzati. Non erano interessati ai soldi. Però hanno fatto credere di essere criminali comuni per confondere la acque. Usano alcuni covi a Sadr City, nella zona più povera e violenta di Bagdad, fingono di militare tra gli estremisti sciiti. Ma con loro non hanno nulla a che fare", ci dice la stessa fonte. Tra le voci più persistenti sono i dettagli della cattura (i rapitori avrebbero girato un video di quel momento) e quello di un altro video in cui il 31 maggio gli ostaggi lanciavano un messaggio concordato per dimostrare all’esterno che il canale dei negoziati in corso era quello giusto. La mattina del 12 aprile gli italiani sarebbero stati catturati tra Samarra e Tikrit, in prossimità di un incrocio che qui chiamano ‟Al Jazira”, dove avrebbero dovuto imboccare la strada del deserto che riporta alla super-strada per il confine con la Giordania.
E perché avrebbero ucciso Quattrocchi? "Era un uomo molto coraggioso, troppo, sino all’incoscienza. Al momento della cattura cercò di usare il fucile che avevano a bordo. Poi si prese a cazzotti con i rapitori. Non obbediva, li offendeva. Non lo volevano eliminare. Lo fecero perché era diventato un problema. Il suo assassino non si trova più in Iraq, è fuggito in Siria".
Lorenzo Cremonesi
Lorenzo Cremonesi (Milano, 1957), giornalista, segue dagli anni settanta le vicende mediorientali. Dal 1984 collaboratore e corrispondente da Gerusalemme del “Corriere della Sera”, a partire dal 1991 ha avuto modo …