Beppe Sebaste: Proviamo a dire che cosa è un Orizzonte

08 Luglio 2004
Alcuni giorni fa, in concomitanza con il blocco ferroviario a sud dovuto alle proteste, a nord l’Autostrada del Sole veniva chiusa per una notte tra Parma e Piacenza per i lavori dell’alta velocità. Il mattino dopo, guidando verso Milano, mi accorsi dei nuovi cavalcavia, e soprattutto della linea ferroviaria sopraelevata dell’alta velocità sopra quei bianchi piloni che un po’ ovunque in Italia si sono cominciati a vedere. Alla mia destra, alla precisa altezza in cui prima scorreva la linea dell’orizzonte, una lunga lastra di cemento armato fermava lo sguardo. Al ritorno, la stessa chiusura dell’orizzonte alla mia sinistra. Niente più perdita d’occhio, niente più profilo delle Alpi nelle giornate terse. Ora, non tutto è siepe nel senso di Leopardi, a immaginare l’infinito e celebrare il sogno. Né tutto è nebbia nel senso di Pascoli, a nascondere le cose lontane per meglio celebrare lo shining di quelle vicine, il questo del mondo. L’orizzonte è di tutti, esperienza fondamentale per acquisire il senso dell’esserci, nel mondo. Per sognarlo od ampliarlo, l’orizzonte occorre innanzitutto vederlo.
Una perdita simile la registro da tempo nelle città, per via della moda delle rotatorie, o rotonde, che sostituiscono un po’ dappertutto i semafori in nome di una circolazione più fluida e soprattutto veloce. Parma, credo, rappresenta un piccolo record. Il decisionista sindaco ne ha promosso non so quante decine in pochissimi anni, compreso ogni incrocio della via Emilia che attraversa la città, al prezzo però di cancellare per sempre la fuga visiva che dava senso a quell’antico rettilineo costellato da campanili svettanti. Anche lì, quindi, niente più orizzonte. Ricordo uno scritto di Marcel Proust dal titolo Gite in automobile, dove si descrive una passeggiata per le strade bianche della Normandia in tutto simili alle vie consolari romane, come la via Emilia appunto. È un breve racconto di osservazione che vale come laude all’orizzonte e ai segni architettonici che lo celebrano, come i campanili. Quando anni fa partecipai a una descrizione della via Emilia, coordinata dal fotografo Luigi Ghirri e dallo scrittore Gianni Celati, quel racconto mi aiutò a percepire meglio quello che avevo davanti agli occhi, e di fronte a cui ero assuefatto. I rurali, le locande che si affacciano sulla strada ora percorsa da camion rombanti, le chiese romaniche, testimoniano di un senso perduto dello spazio, dell’assorbimento della luce, di un’arte sapiente del movimento e della sosta. E l’orizzonte ne è parte integrante. Se tra rotatorie e cantieri di strade e ferrovie l’orizzonte si perde - davanti, dietro, ai lati - un racconto come quello di Proust, per esempio, non sarà più esperibile né riconoscibile. È metafora un orizzonte? Se sì, lo è solo di se stesso, come la parola sguardo. E, come ricordava Rilke, "la creatura qual siano gli occhi suoi vede l’Aperto. Soltanto gli occhi nostri son come rigirati…", ecc. Ho pensato tutto questo guidando sull’Autostrada del Sole, e ricordandomi che queste pagine di cultura si chiamano "orizzonti". Ebbene, non diamoli per scontati. Proviamo a dire che cosa è un orizzonte.

Beppe Sebaste

Beppe Sebaste (Parma, 1959) è conoscitore di Rousseau e dello spirito elvetico, anche per la sua attività di ricerca nelle università di Ginevra e Losanna. Con Feltrinelli ha pubblicato Café …