Lorenzo Cremonesi: "Così abbiamo scoperto sul K2 l'ultima vittima di una slavina"
19 Luglio 2004
Da lontano, adagiato sul bordo di un crepaccio pieno d'acqua, sembra il telo di una vecchia tenda divelta. Un grumo blu e rosso nell'immensità del ghiacciaio Savoia, a circa 5.200 metri d'altezza, sovrastato dalla parete ovest del K2. Ma, avvicinandoci, facciamo la macabra scoperta. È il corpo di un alpinista, ancora avvolto nel sacco a pelo e in un telo da bivacco. Dai brandelli di tessuto emergono i resti della testa, il viso beccato dai corvi, incartapecorito dal sole e dal gelo. "Si è trattato senz'altro di un incidente. L'alpinista stava dormendo nella sua tenda quando è stato spazzato via da una valanga", osserva Tarcisio Bellò, 42 anni, vicentino, uomo di punta della spedizione "K2-2004, 50 anni dopo". Soprattutto grande appassionato di cultura alpina. Perché, spiega, "l'alpinismo è molto più che uno sport, è un capitolo della storia dell'umanità. E l'epopea della salita alle grandi cime Himalayane possiede la stessa dignità di quella della scoperta dei poli o della ricerca della via navigabile per le Americhe". È lui a rendersi conto per primo che qui siamo di fronte a una vera tragedia. "Guardate, tutta l'area è coperta di detriti di un vecchio campo di alpinisti trascinati a valle dalla forza del ghiacciaio. Cercate tra i seracchi, troveremo altro. Magari potremo risalire all'identità del morto", esclama mentre estrae una corda dal sacco per calarsi nei pressi di un laghetto glaciale. Così ieri una tranquilla passeggiata nei dintorni del K2 in attesa del bel tempo per salire ai campi alti si è trasformata nella triste indagine sulla fine di una spedizione alpinistica pochi anni fa. Chi erano e quanti anni fa sono morti? In un'area di circa 500 metri quadrati troviamo vecchie cartucce per fornellini a gas, occhiali da sole, uno spazzolino, vestiti, cibi liofilizzati, bastoncini da tenda, bidoni di plastica usati dai portatori, medicine, scarponi, una macchina fotografica, rullini, persino una stufa tipica dei villaggi pakistani. Ma sono un vecchio diario, alcune pagine di giornale e la scoperta di alcune bandierine della spedizione a darci due prime risposte: sono giapponesi, venuti qui nell'estate del 1997. Su di un sacchetto di plastica si legge ancora in giapponese e inglese il motto degli sfortunati alpinisti: "Cerchiamo qualche cosa in cui credere". Tarcisio scende al campo base per parlare con il personale pakistano al seguito delle spedizioni che tentano il K2. Ed è il suo cuoco, Barman Labek, a fornirgli nuove informazioni. "Nel luglio 1997 almeno 5 giapponesi persero la vita e altri rimasero gravemente feriti a causa di una gigantesca slavina caduta sul loro campo all'una di notte. Avevano appena portato a termine la salita dello Skilburum, una cima di 7.360 metri, e stavano attendendo l'arrivo dei portatori hunza per tornare a valle. Li guidava un certo Hiroshima, molto noto tra gli ambienti di Tokio in quel periodo. Al memoriale qui vicino al campo base nel 1998 furono incisi i loro nomi, che si sono aggiunti alla lunga lista dei caduti al K2. I corpi di alcuni di loro erano poi stati trovati e bruciati, qui vicino sul ghiacciaio, secondo la tradizione giapponese. Ma altri mancano all'appello", spiega lo hunza. Tarcisio annota tutto sul diario. È un'abitudine. Le ultime pagine riguardano la sua salita all'Everest dal versante tibetano il 25 maggio. Anche in quel caso la sua non fu solo un'impresa alpinistica. "All'Everest ho cercato di capire se il vero primo salitore fu Edmund Hillary con il suo sherpa Tenzing nel 1953, oppure non furono nel 1924 gli inglesi George Mallory e Andrew Irvine". In quale modo? "Nel 1999 è stato scoperto il corpo di Mallory circa 700 metri sotto la vetta. Molti credono sia caduto mentre scendevano senza essere giunti sulla cima. Io penso invece ci fossero riusciti". Come provarlo? "Cercando la Kodak che avevano con loro. Se sono arrivati sulla vetta, certo hanno scattato qualche foto e magari è ancora possibile svilupparle. Mallory era tecnicamente il più preparato dei due, stava sempre davanti. Ma Irwine era più forte, era lui a portare il sacco. Qualche anno fa un alpinista cinese disse di avere visto il suo corpo accovacciato presso la cresta. Probabilmente fu preso dal panico dopo la morte dell'amico e si lasciò morire dove era rimasto. Se lo individueremo potremo forse trovare anche il sacco e magari svelare i segreti della macchina fotografica". Tarcisio, dopo aver raggiunto la cima, ha vagato a lungo per cercare Irvine. Non ha trovato nulla. Ma potrebbe riprovarci in un anno con meno neve. Anche qui al K2 ha una missione particolare: cercare alcune lastre fotografiche di esperimenti scientifici sul magnetismo condotte dalla spedizione di Ardito Desio 50 anni fa e dimenticate presso le rocce dello Sperone Abruzzi a circa 6.500 metri.
Lorenzo Cremonesi
Lorenzo Cremonesi (Milano, 1957), giornalista, segue dagli anni settanta le vicende mediorientali. Dal 1984 collaboratore e corrispondente da Gerusalemme del “Corriere della Sera”, a partire dal 1991 ha avuto modo …