Marina Forti: I falchi su Tehran

25 Agosto 2004
Il presidente degli Stati uniti George W. Bush "vuole risolvere la crisi iraniana con la diplomazia", ha dichiarato ieri all'agenzia Reuter il sottosegretario di stato americano John Bolton: e però, ha aggiunto, "tutti i dati di fatto puntano a un programma iraniano di armi nucleari". E per questo Washington vuole che l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), l'ente dell'Onu che controlla le attività nucleari civili e non nel mondo, denunci l'Iran al Consiglio di sicurezza per aver violato il Trattato di non proliferazione (Tnp). E' ormai dal giugno 2003 che gli Usa insistono per denunciare l'Iran, insiste Bolton: "Se questa non è un'iniziativa diplomatica, non so cosa sia". Basta intendersi sulla parola "diplomazia". Il dibattito sull'Iran si è riacceso nelle ultime settimane a Washington, con un rinnovato scontro tra "neo-conservatori" e vari falchi come il sottosegretario Bolton) e voci più moderate. Il programma nucleare iraniano è il principale argomento, ma altrettanto importante è la "stabilità regionale", che poi significa il ruolo di Tehran nelle vicende irachene e in medio oriente. Proprio ieri, alla domanda se l'Iran sostenga la ribellione di Moqtada al Sadr, il presidente iraniano Mohammad Khatami ha detto che "noi non abbiamo mai ufficialmente sostenuto nessun preciso gruppo in Iraq". (Piuttosto, il governo ad interim iracheno "rischia di perdere il consenso degli iracheni, perché sostiene l'operazione militare a Najaf"). Intanto il premier israeliano Ariel Sharon si è detto convinto che Tehran sia la "maggiore minaccia all'esistenza di Israele", e la stampa israeliana (e internazionale) vocifera di un progetto israeliano per colpire i reattori nucleari iraniani, proprio come nel 1981 con il reattore iracheno di Tammouz. Al punto che giovedì scorso il ministro della difesa iraniano Ali Shamkhani ha avvertito l'Iran non starà ad aspettare: "Alcuni comandanti in Iran sono convinti che le operazioni preventive non sono monopolio degli americani. Ogni nazione, se si sente minacciata, può ricorrervi".
La temperatura torna dunque a salire attorno all'Iran, e si fronteggiano due linee abbastanza definite. Una, quella "pragmatica", va rintracciata in un documento pubblicato un mese fa dal Council for Foreign Relation di Washington, influente centro studi di politica estera. "Iran: tempo per un nuovo approccio", elaborato da un gruppo presieduto da Zbigniew Brzezinski (già consigliere per la sicurezza nazionale con Jimmy Carter) e dall'ex capo della Cia ai tempi di Bush senior, è condiviso da personaggi sia democratici che conservatori vecchio stile. Sostiene l'urgenza che Washington riprenda e allarghi i contatti avuti con l'Iran dopo l'11 settembre 2001 e interrotti oltre un anno fa. Insiste che non si tratta di cercare soluzioni alle differenze di fondo, ma puntare a progressi sulle questioni di interesse comune - per l'appunto, la stabilità regionale e le ambizioni nucleari dell'Iran.
Il documento polemizza con i "neo-conservatori" che proprio in questi tempi hanno ripreso a parlare di "regime change" in Iran: sottovalutano che il regime al potere in Iran è stabile, dice il documento di Brzezinski e soci: "Nonostante il conflitto politico e lo scontento popolare, l'Iran non è sull'orlo di un'altra rivoluzione. Le forze che vogliono preservare l'attuale regime in Iran sono saldamente al controllo".
E' il contrario di quanto sostenuto da persone come Michael Ledeen, dell'American Enterprise Institute (un altro centro studi), figura di spicco del movimento neo-cons, amico dell'ex presidente del Consiglio per la difesa Richard Perle e del sottosegretario alla difesa Douglas Feith, nonché fondatore della lobby chiamata "Coalizione per la democrazia in Iran". Ledeen va sostenendo che l'Iran è maturo per una rivoluzione delle sue forze "democratiche" (identificate in alcuni gruppi di exilés in California vicini alla ex monarchia) e che gli Usa devono sostenerla. E' la sua lobby che è riuscita a far approvare dal Congresso una legge "per la libertà in Iran" che ricalca in modo allarmante quella approvata anni fa "per la libertà in Iraq". Ledeen, che considera Tehran il mandante di ogni trama terrorista in Medio Oriente, ha polemizzato con Brzezinski e soci sulla National Review Online.
La polemica è destinata a crescere nei toni in vista della riunione dell'Aiea, a Vienna il 13 settembre, dove il dossier nucleare iraniano sarà di nuovo all'ordine del giorno. Il capo dell'Aiea El Baradei mantiene un giudizio aperto: non si può ancora dire che l'Iran abbia violato il Tnp, a cui aderisce.
Tra i veri esperti, pochi credono che l'Iran sia davvero sul punto di costruire la bomba - che ne abbia la tentazione è un altro discorso. Brzezinski e soci sostengono che Washington dovrebbe lavorare con Europa e Russia per assicurarsi che l'Iran rispetti il Tnp, e in cambio levare le sue obiezioni a un programma nucleare civile iraniano. Il punto è che gli Usa hanno ormai 20mila in Afghanistan, 140mila in Iraq, senza contare quelle nel Golfo e nelle repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale: l'Iran è accerchiato. E' questo che può far prevalere a Tehran le posizioni più dure - quella della "difesa preventiva", o per il deterrente nucleare.

Marina Forti

Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …