Lorenzo Cremonesi: Corsica, i forzati del trekking sulla via perduta dei legionari
02 Settembre 2004
7 agosto
Una giornata afosa, con il mare alle spalle, 8 chilometri e 275 metri di dislivello più sotto. Davanti le sagome rocciose delle montagne, ma indistinte nella foschia della calura. Alte, lontane. E tra il verde dei castagneti i tetti rossi di Calenzana, villaggetto medioevale, famoso soltanto perché qui inizia la Gr 20, "il grande cammino della Corsica". Da nord a sud, così lo consigliano le guide locali. Periodi migliori, fine giugno e settembre. Circa 200 chilometri di lunghezza, diviso in 15 tappe (allungabili o meno a piacere, come ognuno si sente), per quasi 6.000 metri da percorrere in salita e altrettanti in discesa. Perché, per dirla con Guy de Maupassant, "la Corsica è una montagna nel mare". Se si rimane a prendere il sole sulle spiagge non si comprende nulla della sua storia, la sua geografia, i suoi abitanti. Soprattutto si perde la bellezza della sua terra. "Le cime fanno parte della nostra identità, e del particolarismo. L'altezza media dell'isola supera i 500 metri. Nulla a che vedere con le brughiere delle terre basse in Sardegna", ripete a Ajaccio il direttore del Parco Nazionale ed entusiasta del trekking ad oltranza, Josè Filippi. Partire, camminare, seguire il ritmo dei propri passi, con giornate segnate da bisogni e preoccupazioni essenziali, certo diversi dal solito: dove trovare acqua da bere, come lavarsi, cosa mangiare dalle scorte nello zaino, dove piantare la tenda, individuare i segnavia, curare e disinfettare i piedi dalle inevitabili piaghe. Accompagnati dal vento che soffia dal mare, il profumo di iodio mischiato al ginepro e alle erbe dei 2.000 metri. Un tuffo di ossigeno sognato a lungo mentre poche settimane fa eravamo a seguire gli alpinisti della spedizione italiana al K2. E un paesaggio antitetico a quello del Baltoro. Mai ghiacciaio, solo poche chiazze di neve verso i pendii di macigni che conducono ai 2.700 metri del monte Cinto e all'ombra, tra i canaloni di granito lungo la Paglia Orba. Là dominano grigio e bianco. Qui il verde. Soprattutto respiri libero. Più volte durante il cammino vedi il mare, a est e ovest. Sei in montagna, ma gli spazi sono quelli delle spiagge mediterranee.
8 agosto
La notte ha piovuto. Poche gocce, giusto per bagnare il telo esterno delle tende. Ma sufficienti per pulire il cielo. La mattina alle 6 l'orizzonte è limpido. "L'ora giusta per partire. Oggi potrei anche raddoppiare la tappa. Saltare il rifugio Carozzu e arrivare a quello di Asco Stagnu, in tutto almeno 12 ore", si ripromette l'ingegnere torinese incontrato la prima sera. Come tanti, tra i circa 15.000 ambiziosi che ogni anno mirano a completare la Gr 20 (più o meno la metà ci riesce) è venuto solo. "L'importante è non essere ossessionati dagli obiettivi. Ho fretta tutto l'anno. La Gr 20 voglio finirla come mi pare e piace". La sera allo Asco Stagnu non lo vedremo arrivare. "Ha uno zaino troppo pesante, circa 20 chili. Deve toglierne almeno 5 se vuole accelerare", sostiene Davide Magni, 36 anni, consulente informatico di Usmate, in Brianza, a sua volta determinato a farla in solitaria. Anche se in verità non si è mai soli sulla Gr 20. I drappelli di camminatori si fanno e disfano nell'arco delle giornate. Dopo qualche tappa avviene spesso che chi ha lo stesso passo si associ naturalmente ai nuovi compagni. Nascono amori. Si cementano amicizie. La sera ci si scambiano gli indirizzi, cerotti per le vesciche, barrette energetiche.
9 agosto
La vera prova del nove dell'intero percorso arriva al "Circolo della solitudine". Situato a circa 2.000 metri in un gigantesco anfiteatro roccioso, circondato da arditi pinnacoli di granito nero e venato con tutte le variazioni di tonalità dal rosso al giallo, è il punto dove la maggior parte dei camminatori abbandona. Si tratta di scendere un canale roccioso attrezzato con corde fisse e risalire dalla parte opposta, dove è stata cementata persino una scala di ferro. "Qui non mancano gli incidenti. La maggioranza non nella zona del Circolo, dove semmai il vero pericolo sono le cadute di pietre smosse dai meno esperti. Piuttosto nella discesa verso il rifugio Tighjettu, più facile, ma in genere compiuta quando si è stanchi e più rilassati dalla convinzione che il peggio sia passato", sostiene il rifugista, Carlo Santucci, 48 anni, specializzato nelle operazioni di soccorso alpino. Solo una settimana fa ha dovuto recuperare un belga. "Aveva la spina dorsale fratturata. Non so se sopravvivrà. Certo resterà paralizzato".
10 agosto
Giornata di cime. Monte Cinto e Paglia Orba, i due punti più alti dell'isola. Due aggiunte in velocità al percorso normale. Del resto la Gr 20 sin dalla sua creazione tra il 1966 e il 1972 è spesso stata terreno di gare. E ancora prima, quando negli anni Sessanta i corpi scelti della Legione francese vi si addestravano per le operazioni di guerra. Oggi in quasi tutti i 15 rifugi distribuiti sul percorso trovi appesi ai muri articoli di giornali e fotografie dei record maschile e femminile. Il più spettacolare è quello di Jean Francois Luciani, che a 44 anni nell'estate del 1999, in sole 36 ore non-stop correva per l'intero tragitto da Calenzana a Conca. Il 30 luglio scorso la 45enne Josee Cumbo impiegava 65 ore per compiere la stessa tratta. "L'ho vista nelle ore finali. Aveva problemi alle ginocchia, forse aveva spinto troppo nelle prime tappe di alta montagna. È riuscita a concludere, poteva fare meglio", ci spiega Jèrome Susini, giornalista appassionato sportivo per Radio Corse Frequenza Mora, la più importante dell'isola.
12 agosto
È la seconda parte del percorso. Se le prime tappe sono nettamente alpine, dominate dal granito, i pendii ripidi disseminati di cespugli bassi, le morene e i torrenti gelati, le seconde sono chiaramente di tipo appenninico. Dopo il Colle Vergio e l'altipiano verdissimo del Lac de Nino trionfano le foreste. Passo dopo passo sembra di entrare in un mondo fatato, fatto di larici secolari, radure assolate, pascoli racchiusi tra i boschi. Una volta erano covi di banditi, le roccaforti del separatismo corso, zone note ai seguaci di Pasquale Paoli, che nella seconda metà del Settecento per 14 anni guidò il governo indipendente. E da allora è entrato nella leggenda. "Ciò che più caratterizza la Gr 20 è la varietà dei paesaggi. Ogni giorno, addirittura ogni 2 o 3 ore, ti trovi di fronte un panorama diverso", sostengono entusiasti Dominique Scicchitano e Renè Kesler, rispettivamente australiano e olandese, colleghi di lavoro a Londra, incontrati ripetutamente nei rifugi dopo il Colle di Vizzavona. Ma il peso degli zaini li ha stroncati. "Manca poco. L'importante è non farsi attirare dalle possibilità di fuga offerte dalle strade dei 4 colli che attraversano il percorso e non cedere alla tentazione di scendere sulla costa in anticipo", ripetono di continuo.
17 agosto
Il giorno della fine è anche uno dei giorni più lunghi. Il corpo è ormai allenato. Lo zaino semivuoto di cibo. Hai imparato che non serviva tutto ciò che avevi preso all'inizio. Ai rifugi trovi sempre da mangiare e spesso un letto (anche se molti giovani ritengono cari i 9 euro per la notte e in media una dozzina per la cena). Ma i piedi sono stanchi e soprattutto le camminate sulle lunghe creste delle regioni meridionali portano sempre più vicini al mare. Passato il colle di Bavella e l'ultima infilata di picchi granitici, all'orizzonte appare con chiarezza l'arcipelago della Maddalena. Le bocche di Bonifacio luccicano al sole del pomeriggio. La decisione di doppiare la tappa e non dormire al rifugio Paliri è comune a molti attratti dal miraggio della fine. Un ultimo bagno nelle vasche naturali del fiume che scende da Punta Pinzata ricorda quelli ben più freschi nei corsi d'acqua delle zone alte. Poco importa. Alle sette di sera, dopo 11 ore e mezza, l'entrata nel villaggio di Conca arriva come una liberazione.
Una giornata afosa, con il mare alle spalle, 8 chilometri e 275 metri di dislivello più sotto. Davanti le sagome rocciose delle montagne, ma indistinte nella foschia della calura. Alte, lontane. E tra il verde dei castagneti i tetti rossi di Calenzana, villaggetto medioevale, famoso soltanto perché qui inizia la Gr 20, "il grande cammino della Corsica". Da nord a sud, così lo consigliano le guide locali. Periodi migliori, fine giugno e settembre. Circa 200 chilometri di lunghezza, diviso in 15 tappe (allungabili o meno a piacere, come ognuno si sente), per quasi 6.000 metri da percorrere in salita e altrettanti in discesa. Perché, per dirla con Guy de Maupassant, "la Corsica è una montagna nel mare". Se si rimane a prendere il sole sulle spiagge non si comprende nulla della sua storia, la sua geografia, i suoi abitanti. Soprattutto si perde la bellezza della sua terra. "Le cime fanno parte della nostra identità, e del particolarismo. L'altezza media dell'isola supera i 500 metri. Nulla a che vedere con le brughiere delle terre basse in Sardegna", ripete a Ajaccio il direttore del Parco Nazionale ed entusiasta del trekking ad oltranza, Josè Filippi. Partire, camminare, seguire il ritmo dei propri passi, con giornate segnate da bisogni e preoccupazioni essenziali, certo diversi dal solito: dove trovare acqua da bere, come lavarsi, cosa mangiare dalle scorte nello zaino, dove piantare la tenda, individuare i segnavia, curare e disinfettare i piedi dalle inevitabili piaghe. Accompagnati dal vento che soffia dal mare, il profumo di iodio mischiato al ginepro e alle erbe dei 2.000 metri. Un tuffo di ossigeno sognato a lungo mentre poche settimane fa eravamo a seguire gli alpinisti della spedizione italiana al K2. E un paesaggio antitetico a quello del Baltoro. Mai ghiacciaio, solo poche chiazze di neve verso i pendii di macigni che conducono ai 2.700 metri del monte Cinto e all'ombra, tra i canaloni di granito lungo la Paglia Orba. Là dominano grigio e bianco. Qui il verde. Soprattutto respiri libero. Più volte durante il cammino vedi il mare, a est e ovest. Sei in montagna, ma gli spazi sono quelli delle spiagge mediterranee.
8 agosto
La notte ha piovuto. Poche gocce, giusto per bagnare il telo esterno delle tende. Ma sufficienti per pulire il cielo. La mattina alle 6 l'orizzonte è limpido. "L'ora giusta per partire. Oggi potrei anche raddoppiare la tappa. Saltare il rifugio Carozzu e arrivare a quello di Asco Stagnu, in tutto almeno 12 ore", si ripromette l'ingegnere torinese incontrato la prima sera. Come tanti, tra i circa 15.000 ambiziosi che ogni anno mirano a completare la Gr 20 (più o meno la metà ci riesce) è venuto solo. "L'importante è non essere ossessionati dagli obiettivi. Ho fretta tutto l'anno. La Gr 20 voglio finirla come mi pare e piace". La sera allo Asco Stagnu non lo vedremo arrivare. "Ha uno zaino troppo pesante, circa 20 chili. Deve toglierne almeno 5 se vuole accelerare", sostiene Davide Magni, 36 anni, consulente informatico di Usmate, in Brianza, a sua volta determinato a farla in solitaria. Anche se in verità non si è mai soli sulla Gr 20. I drappelli di camminatori si fanno e disfano nell'arco delle giornate. Dopo qualche tappa avviene spesso che chi ha lo stesso passo si associ naturalmente ai nuovi compagni. Nascono amori. Si cementano amicizie. La sera ci si scambiano gli indirizzi, cerotti per le vesciche, barrette energetiche.
9 agosto
La vera prova del nove dell'intero percorso arriva al "Circolo della solitudine". Situato a circa 2.000 metri in un gigantesco anfiteatro roccioso, circondato da arditi pinnacoli di granito nero e venato con tutte le variazioni di tonalità dal rosso al giallo, è il punto dove la maggior parte dei camminatori abbandona. Si tratta di scendere un canale roccioso attrezzato con corde fisse e risalire dalla parte opposta, dove è stata cementata persino una scala di ferro. "Qui non mancano gli incidenti. La maggioranza non nella zona del Circolo, dove semmai il vero pericolo sono le cadute di pietre smosse dai meno esperti. Piuttosto nella discesa verso il rifugio Tighjettu, più facile, ma in genere compiuta quando si è stanchi e più rilassati dalla convinzione che il peggio sia passato", sostiene il rifugista, Carlo Santucci, 48 anni, specializzato nelle operazioni di soccorso alpino. Solo una settimana fa ha dovuto recuperare un belga. "Aveva la spina dorsale fratturata. Non so se sopravvivrà. Certo resterà paralizzato".
10 agosto
Giornata di cime. Monte Cinto e Paglia Orba, i due punti più alti dell'isola. Due aggiunte in velocità al percorso normale. Del resto la Gr 20 sin dalla sua creazione tra il 1966 e il 1972 è spesso stata terreno di gare. E ancora prima, quando negli anni Sessanta i corpi scelti della Legione francese vi si addestravano per le operazioni di guerra. Oggi in quasi tutti i 15 rifugi distribuiti sul percorso trovi appesi ai muri articoli di giornali e fotografie dei record maschile e femminile. Il più spettacolare è quello di Jean Francois Luciani, che a 44 anni nell'estate del 1999, in sole 36 ore non-stop correva per l'intero tragitto da Calenzana a Conca. Il 30 luglio scorso la 45enne Josee Cumbo impiegava 65 ore per compiere la stessa tratta. "L'ho vista nelle ore finali. Aveva problemi alle ginocchia, forse aveva spinto troppo nelle prime tappe di alta montagna. È riuscita a concludere, poteva fare meglio", ci spiega Jèrome Susini, giornalista appassionato sportivo per Radio Corse Frequenza Mora, la più importante dell'isola.
12 agosto
È la seconda parte del percorso. Se le prime tappe sono nettamente alpine, dominate dal granito, i pendii ripidi disseminati di cespugli bassi, le morene e i torrenti gelati, le seconde sono chiaramente di tipo appenninico. Dopo il Colle Vergio e l'altipiano verdissimo del Lac de Nino trionfano le foreste. Passo dopo passo sembra di entrare in un mondo fatato, fatto di larici secolari, radure assolate, pascoli racchiusi tra i boschi. Una volta erano covi di banditi, le roccaforti del separatismo corso, zone note ai seguaci di Pasquale Paoli, che nella seconda metà del Settecento per 14 anni guidò il governo indipendente. E da allora è entrato nella leggenda. "Ciò che più caratterizza la Gr 20 è la varietà dei paesaggi. Ogni giorno, addirittura ogni 2 o 3 ore, ti trovi di fronte un panorama diverso", sostengono entusiasti Dominique Scicchitano e Renè Kesler, rispettivamente australiano e olandese, colleghi di lavoro a Londra, incontrati ripetutamente nei rifugi dopo il Colle di Vizzavona. Ma il peso degli zaini li ha stroncati. "Manca poco. L'importante è non farsi attirare dalle possibilità di fuga offerte dalle strade dei 4 colli che attraversano il percorso e non cedere alla tentazione di scendere sulla costa in anticipo", ripetono di continuo.
17 agosto
Il giorno della fine è anche uno dei giorni più lunghi. Il corpo è ormai allenato. Lo zaino semivuoto di cibo. Hai imparato che non serviva tutto ciò che avevi preso all'inizio. Ai rifugi trovi sempre da mangiare e spesso un letto (anche se molti giovani ritengono cari i 9 euro per la notte e in media una dozzina per la cena). Ma i piedi sono stanchi e soprattutto le camminate sulle lunghe creste delle regioni meridionali portano sempre più vicini al mare. Passato il colle di Bavella e l'ultima infilata di picchi granitici, all'orizzonte appare con chiarezza l'arcipelago della Maddalena. Le bocche di Bonifacio luccicano al sole del pomeriggio. La decisione di doppiare la tappa e non dormire al rifugio Paliri è comune a molti attratti dal miraggio della fine. Un ultimo bagno nelle vasche naturali del fiume che scende da Punta Pinzata ricorda quelli ben più freschi nei corsi d'acqua delle zone alte. Poco importa. Alle sette di sera, dopo 11 ore e mezza, l'entrata nel villaggio di Conca arriva come una liberazione.
Lorenzo Cremonesi
Lorenzo Cremonesi (Milano, 1957), giornalista, segue dagli anni settanta le vicende mediorientali. Dal 1984 collaboratore e corrispondente da Gerusalemme del “Corriere della Sera”, a partire dal 1991 ha avuto modo …