Card. Carlo Maria Martini: I simboli di Gerusalemme

10 Settembre 2004
Non è facile per noi europei incontrare oggi Gerusalemme, anche per la paura suscitata dagli atti di terrorismo e dal conflitto in corso. Molti, che pur vorrebbero venire qui come pellegrini o come turisti, vi rinunciano. È un simbolo della paura che si ha a guardare in faccia le cose come realmente stanno.
Eppure è importante rendersi conto che per un cristiano e per ogni cittadino di questo mondo Gerusalemme ha un´importanza unica. Bisogna però chiarire sin dal principio che non si può parlare di Gerusalemme senza amarla. Amarla di quell´amore con cui l´amarono i profeti, che piansero su di lei e la coprirono di invettive dettate appunto dall´amore. Amarla come l´ha amata Davide. A cui lo scrittore moderno Carlo Coccioli fa dire: "Se avevo amato Gerusalemme, se l´avevo amata contemplandola dall´esterno, ne impazzii letteralmente…Pazzia d´amore, valutando dall´interno la sua bellezza indescrivibile. Certo non vi era al mondo altrettanto desiderabile città, eco inebriante di una dimensione spirituale dello spazio, dove il cielo si chinava sulla terra e la sposava. Come non invidiare Sion, l´incomparabile?".
Non c´è problema di risonanza mondiale che non tocchi in qualche modo questa città o che non possa essere considerato a partire da questa città. In particolare oggi emerge a livello di dramma apparentemente insuperabile a livello planetario la capacità di una convivenza pacifica e promozionale tra diversi. Si tratta di imparare a condividere lo stesso territorio e le medesime risorse pur nella diversità delle culture, tradizioni, religioni ecc. Ciò richiede di mettere molto in alto sulla scala dei valori il rispetto per l´altro, per la sua tradizione e cultura, nella persuasione che v´è in lui la stessa dignità umana che c´è in me e che egli gode degli stessi diritti e prerogative. Ciò deve portare a sentire come nostre le sofferenze dell´altro, del diverso, dell´appartenente all´altro gruppo.
Minareti e campanili debbono diventare simboli di rispetto e di accoglienza per tutti, nella persuasione che tutti coloro che riconoscono Dio creatore si sentono sue creature e suoi figli, dotati della stessa dignità e ugualmente amari. Perciò le religioni sono chiamate a divenire un fattore molto importante per la pacifica convivenza dei popoli. E bisogna guardarsi con grande cura da quegli estremismi religiosi che dividono le persone, non promuovono il rispetto per tutti e non favoriscono atteggiamenti di pace.
Dall´incontro con Gerusalemme mediato dalla Scrittura deve emergere anzitutto il ricordo dell´amore straordinario testimoniato da Dio per il popolo di Israele. Incontrare Gerusalemme significa dunque anzitutto sintonizzarsi con questa passione amorosa e gelosa di Dio per il popolo da lui eletto perché fosse modello ed esempio dell´amore di Dio per ogni popolo.
Per questo la premessa per ogni rapporto con Gerusalemme è un amore sincero e un affetto intenso per il popolo ebraico, una partecipazione sofferta alle sue sofferenze e alle sue angosce. Per incontrare oggi Gerusalemme bisogna dunque desiderare di soffrire con Gerusalemme, amarla nella sua storia, nella letteratura del popolo di Israele, nella sua cultura e arte, nelle sue dolorose vicende storiche. E questo non per un motivo di semplice simpatia umana, ma per corrispondere all´amore con cui Dio da sempre ha amato il suo popolo.
Questo non significa distanza dagli altri popoli, in particolare del popolo palestinese, ma al contrario vicinanza e solidarietà per lasciar entrare nella propria carne le sue sofferenze e le sue giuste richieste.
Vorrei ancora segnalare una caratteristica dell´incontro di un cristiano con Gerusalemme ed è, per quanto paradossale ciò possa sembrare, l´assenza di giudizio. È importante ricordare la parola evangelica: non giudicate e non sarete giudicati; non condannate non sarete condannati (Matteo 7,1-2; Luca 6, 37). Ciò significa anzitutto in concreto la rinuncia a ogni giudizio troppo facile o preconcetto. In questi ultimi decenni la situazione dei rapporti tra ebrei e palestinesi si è fatta così complessa, dolorosa e intricata, che anche un competente farebbe grande fatica a dare giudizi spassionati e oggettivi. Un cristiano che non è membro di questi popoli deve vivere la sua presenza alle loro vicende soprattutto come intercessione, nel senso etimologico della parola, come ho già avuto modo di spiegare più volte: intercedere, cioè camminare in mezzo, non inclinando né da una parte né da un´altra, pregando ugualmente per tutti, per ottenere grazie di pace e di riconciliazione. Partendo di qui poi ciascuno agirà nel quadro delle sue responsabilità civili e sociali concrete.
Chi abita a Gerusalemme sa che vi sono qui, a livello di piccole realizzazioni, tanti sforzi dei tentativi di dialogo, di incontro, di comprensione, di riconciliazione, di perdono. Ho incontrato israeliani colpiti da lutti nelle loro famiglie a causa della guerra che, superando l´orrore per quanto è avvenuto, hanno deciso di incontrarsi regolarmente con famiglie palestinesi pure esse in lutto a causa della violenza. Insieme lavorano, con la forza e l´autorevolezza che è data loro anche dai loro morti, per un futuro di riconciliazione. E al di là di questa iniziativa ve ne sono moltissime altre nell´ambito del dialogo, dell´assistenza, della carità della comprensione. È ammirevole la presenza di un volontariato internazionale a Gerusalemme, ma è insieme anche bello vedere quanti ebrei si impegnano per un cammino di pace. Tutti coloro che lavorano in questo senso, spesso nel silenzio e nel nascondimento, hanno capito che la pace ha un prezzo e che ciascuno deve cominciare a pagare la sua parte.

(Il testo è tratto dal messaggio del Cardinal Martini all´incontro su Gerusalemme, a Camaldoli, promosso dalla rivista "Il Regno").

Carlo Maria Martini

Carlo Maria Martini (Torino, 1927 - Gallarate, 2012), cardinale dal 1983, è stato arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002. Gesuita e biblista di fama internazionale, tra il 1964 e …

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