Paolo Di Stefano: Italia ingrata, le carte dei grandi se ne vanno

06 Ottobre 2004
L'allarme è partito in giugno con la biblioteca, i manoscritti, gli inediti e i carteggi di Giuseppe Pontiggia che sono già in deposito a Mendrisio, pronti a far parte di un centro studi che l'Italia neanche si sogna. L'allarme prosegue ora con le carte di Lalla Romano, rimaste nella sua casa di via Brera a Milano e sulle quali nessuno ha ancora messo un occhio a oltre tre anni dalla morte dell'autrice de La penombra che abbiamo attraversato: manoscritti, opere inedite, un epistolario ricchissimo (con lettere degli intellettuali e degli scrittori più importanti del secondo Novecento), un'intera biblioteca di ventimila volumi con dediche che portano le firme di gente come Pavese e Calvino. Il marito della Romano, Antonio Ria, ha lanciato il suo appello mesi fa ma ancora nessuno sembra prendere troppo sul serio la possibilità che il tutto finisca all'estero. Come è toccato negli anni passati all'Archivio Prezzolini e a quello di Ennio Flaiano, depositati a Lugano e ampiamente fruibili dagli studiosi. Come è toccato pure alle carte di Giambattista Angioletti, anch'esse acquisite anni fa dalla Biblioteca Cantonale ticinese e già puntualmente inventariate con i 416 fascicoli di lettere di scrittori del calibro di Eliot, Gadda, Montale, Ungaretti e chi più ne ha più ne metta. Come è toccato ancora a Guido Ceronetti, che diversi anni fa ha pensato bene di mettere al sicuro le sue "cartoline" artistiche e altro in terra elvetica. Tesori inestimabili per la memoria della cultura italiana. Che si vanno ad aggiungere ai molti fondi di autori italiani novecenteschi dispersi per il mondo. Si pensi solo a quelli conservati nelle biblioteche degli Stati Uniti. Qualche esempio? Se uno studioso oggi volesse avvicinarsi all'arte e alla letteratura del Futurismo dovrebbe prendere un aereo e viaggiare dallo Stato di New York alla California, dove ci sono le carte di Umberto Boccioni, di Severini, di Balla, di De Chirico, di Depero, di Marinetti (soprattutto di quest'ultimo). Se poi un altro filologo volesse chinarsi sul manoscritto autografo di Cristo si è fermato a Eboli, datato ottobre 1943-luglio 1944, dovrebbe spostarsi verso l'Università del Texas, dove troverebbe anche lettere di Pirandello e un dattiloscritto de L'imbecille inviato nel '22 dal drammaturgo siciliano a Prezzolini. Inoltre: il fondo di ‟Botteghe oscure”, la rivista internazionale di cultura uscita tra il '48 e il '60; un dattiloscritto de La Mascherata, il romanzo di Moravia censurato nel '41 da Mussolini; persino qualche poesia di Volponi e il manoscritto del suo primo romanzo, Memoriale, le cui 286 carte sono depositate nell'Harry Ranson Humanities Research Center. È esattamente ciò che capita con l'archivio di Paola Masino, la compagna di Bontempelli, finito qualche anno fa alla California University. Senza dimenticare altri nomi illustri che per vie diverse sono approdati oltreoceano, da Croce a Luisa Baccara, da Ungaretti a Fellini, da Carlo Coccioli (che abitò per buona parte della sua vita in Messico) a Danilo Dolci, i cui manoscritti si trovano a Boston come quelli di Oriana Fallaci. Così, anche per leggere dal vivo le 560 lettere che Pirandello inviò a Marta Abba bisognerà trasferirsi alla Princeton University. Stesso discorso, più o meno, per il carteggio di Massimo Mila con i maggiori compositori suoi contemporanei, da Schoenberg a Nono, ceduto nel 2000 alla Fondazione Paul Sacher di Basilea (mentre le altre carte, la collezione discografica e la biblioteca del musicologo torinese, dopo tante discussioni, sono approdate alla Nazionale di Firenze). Tutto ciò per limitarsi, ovviamente, al Novecento, perché per i secoli precedenti il discorso sarebbe ancora più complicato. Certo, si potrà obiettare che il patrimonio da salvare è sterminato. Si potrà aggiungere che la circolazione delle carte dei nostri scrittori contribuisce a rendere più internazionale una cultura, come quella italiana, spesso accusata di essere provinciale. E si potrà anche osservare che per tanti archivi che partono, altrettanti vengono messi al sicuro dentro i confini italiani. Dopo tanti appelli e timori, il fondo Quasimodo è rimasto "in casa". Tre anni fa Elena Pincherle acquistò in un'asta per 30 mila euro il dattiloscritto completo de Il disprezzo, il romanzo di suo fratello Alberto Moravia, comprendente anche il capitolo cassato sul comunismo. Nella stessa circostanza, un manoscritto dello Scialle andaluso di Elsa Morante fu acquisito per una cifra analoga e destinato alla Biblioteca Nazionale di Roma. Sei mesi fa, la prima stesura dei Canti orfici di Dino Campana, intitolata Il più lungo giorno e messa all'asta da Christie's, per 185 mila euro è rimasta a Firenze, dove ha trovato collocazione presso la Biblioteca Marucellai. Nel giugno scorso tutti i documenti di Carlo Levi, salvati e ordinati dalla moglie Linuccia Saba, sono stati comperati per 117 mila euro dal produttore televisivo Antonio Ricci e donati alla Casa Museo di Alassio. E anche nomi apparentemente secondari riescono a trovare i loro intelligenti estimatori, se è vero che nel 2001 la Cassa di Risparmio di Gorizia riuscì ad aggiudicarsi per quasi 30 mila euro i manoscritti di Biagio Marin, il grande poeta dialettale di Grado, messi all'asta da un anonimo proprietario. Tutto vero. Come è vero che scrittori scomparsi da poco hanno trovato studiosi pronti a rimboccarsi le maniche sui loro documenti inediti, come è capitato a Emilio Tadini, il cui archivio, custodito nella casa milanese di via Jommelli, è stato già in parte indagato da Giulia Raboni. Senza dire dei benemeriti fondi letterari che salvano quotidianamente vagonate di carte preziose per la gioia degli studiosi, come il Gabinetto Vieusseux di Firenze e il Fondo Manoscritti di Pavia, sedi irrinunciabili di pellegrinaggi per tutti coloro che vogliono studiare la letteratura italiana moderna e contemporanea. E senza citare le innumerevoli istituzioni private e pubbliche che fanno dell'acquisizione di materiali manoscritti e di cimeli uno dei loro tanti obiettivi culturali. È il caso, per fare un solo esempio, della Fondazione Cini di Venezia che, tra l'altro, conserva il fondo Duse con centinaia di lettere inviate all'attrice dai vari D'Annunzio, Boito e Pirandello. Capitano però fatti strani. Anzi, inspiegabili. Come quelli citati di Pontiggia e di Lalla Romano, intellettuali che ebbero contatti e scambi con mezzo mondo culturale. Non solo. Può anche succedere che un artista del valore di Lucio Fontana venga tranquillamente ignorato da tutti. Se è vero che nel marzo scorso un'asta di Christie's non ha ottenuto nessun successo, pur proponendo 320 lettere del maestro dell'avanguardia italiana, con l'aggiunta di disegni e altre opere grafiche. Tre faldoni pieni di materiali per "soli" 100 mila euro. Ma tutto tace. Per di più, con una Fondazione decisa a coprire la metà del costo. Niente da fare, Fontana è stato dimenticato nel caveau di una casa d'aste. Nessun collezionista s'è fatto vivo, nessun Ministero s'è fatto avanti. Misteri dei ministeri e altri misteri, direbbe Augusto Frassineti, un altro autore ingiustamente dimenticato dalla cultura italiana.

Paolo Di Stefano

Paolo Di Stefano, nato ad Avola (Siracusa) nel 1956, giornalista e scrittore, già responsabile della pagina culturale del “Corriere della Sera”, dove attualmente è inviato speciale, ha lavorato anche per …