Massimo Mucchetti: La concorrenza vuol dire coraggio

13 Ottobre 2004
La liberalizzazione dell'economia in Italia è stata fin qui praticata più per costrizione delle direttive europee che per intima convinzione della classe dirigente. Dopo il convegno dei giovani imprenditori a Capri, questo progetto sembra aver acquisito l'appoggio di un potere forte, la Confindustria. Nel suo discorso, Montezemolo vi ha posto un'enfasi particolare che ha raggiunto il culmine con l'omaggio a Mario Monti commissario europeo alla concorrenza, quasi un garbato suggerimento per il governo che deve designare il successore di Giuseppe Tesauro all'Antitrust entro il marzo del 2005. Dopo Capri il processo potrebbe ottenere l'appoggio della Confindustria. Governi più attenti sull'energia, meno su gas e telecomunicazioni. Per il presidente di Confindustria, si tratta di una scelta coraggiosa se solo si considera la paura e talvolta il fastidio che le Autorità indipendenti suscitano nei governi e nei grandi gruppi economico-finanziari. E tuttavia nemmeno l'uomo che la stampa americana chiamava czar antitrust può supplire alle funzioni della classe politica ed evitare agli altri, anche alla Confindustria, di assumere responsabilità in proprio. Né ci si può illudere che la concorrenza dia più di quello che può, come dimostra il settore bancario, dove la liberalizzazione potrà creare, Banca d'Italia permettendo, un mercato più efficiente dei diritti di proprietà delle banche, ma non per questo renderà più facile l'accesso al credito se è vero che in Italia lo si eroga già con maggior larghezza rispetto ad altri paesi sviluppati. La nostra legge antitrust, che risale al 1990, limita l'intervento dell'Autorità di Garanzia al divieto di intese fra aziende lesive della concorrenza, di concentrazioni che costituiscano posizioni dominanti, alla sanzione degli abusi di posizioni dominanti preesistenti. A differenza dello ‟Sherman Act” americano che venne varato un secolo prima, la norma italiana non prevede la possibilità di rompere le posizioni dominanti già costituite: l'Autorità può agire soltanto ex post. La facoltà d'intervento ex ante attraverso la regolazione è riservata al legislatore. Il presidente dell'Autorità può dare pareri a governo e parlamento, non ordini. Tesauro, per esempio, sollecita la separazione delle grandi reti dagli ex monopoli dell'energia, del gas e delle telecomunicazioni e la loro attribuzione al regolatore per consentire pari diritti d'accesso agli operatori in competizione. I governi sembra ci sentano per l'energia, poco per il gas e nulla per le telecomunicazioni, perché giudicano sufficiente il tasso di competizione nel settore, liberalizzato grazie all'impulso dell'Unione europea, e anche perché risulta difficile modificare l'assetto patrimoniale di una società da 7 anni privata com'è Telecom Italia. Sempre Tesauro ha espresso un parere critico sulla legge Gasparri. La maggioranza di governo, depositaria del potere di regolazione, ha lasciato cadere l'avvertimento. E così, invece del mercato pubblicitario dei media nel quale emerge la posizione dominante delle tv e di Mediaset in particolare, abbiamo il sistema integrato delle comunicazioni, un mare magnum dove ogni cosa perde le sue reali proporzioni. È come se, invece del mercato dell'auto, parlassimo del sistema integrato dei trasporti, che va dall'auto alla bicicletta. Lo stesso accade nel settore dell'energia. La bolletta elettrica italiana è salata perché abbiamo scelto di non avere il nucleare, di usare poco carbone e compriamo il gas da un fornitore in posizione dominantissima, l'Eni. Non è una scoperta: lo diceva anche Franco Viezzoli, quando l'Enel non era nemmeno una società per azioni. L'Electricité de France è un monopolio pubblico, il peggio dunque, eppure assicura l'energia ai prezzi più bassi d'Europa. Probabilmente gode di aiuti di Stato, ma nessuno riesce mai a dimostrarlo. La situazione italiana è aggravata da una scarsità di offerta che ha determinato perfino alcuni black out. Seguendo il modello britannico, opposto a quello francese ma non meno efficace, l'Autorità per l'Energia propone al Parlamento di costringere l'Enel a vendere un altro grappolo di centrali per ridimensionarne il potere di mercato in forza del quale alla Borsa elettrica non si fanno prezzi senza l'ex monopolio. L'Enel, fresco e festeggiato associato di Confindustria, si oppone. E, al momento, nulla accade, ma Eni, Enel e Confindustria si incontreranno a porte chiuse perché, in attesa delle riforme, bisogna pur vivere. L'elenco potrebbe continuare con il gas, le autostrade, le assicurazioni. Alla fine un punto ricorre più di ogni altro: per far prevalere la concorrenza sulle rendite di posizione bisogna avere il coraggio di scontentare chi su quelle rendite costruisce relazioni, potere, reddito e carriera. Montezemolo dimostra di esserne consapevole quando propone un "progetto comune, trasversale a tutte le categorie e a tutti gli interessi". Dimostra, invece, di essere preoccupato del suo stesso ardire quando invita a "sostenere con orgoglio quegli imprenditori e quei manager che sono entrati con coraggio in settori una volta dominati dal controllo dello Stato, del Governo e dei partiti politici". Che coraggio ci vuole a prendere in concessione una nuova autostrada i cui costi di costruzione sono coperti per il 60-70% da contributi pubblici a fondo perduto e per il resto da finanziamenti bancari il cui onere viene riconosciuto in tariffa?

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …