Giorgio Bocca: Tutti a casa con armi e bagagli

15 Ottobre 2004
Che cosa si intende per ritiro delle truppe dall'Iraq? Si intende, in lingua normale, prendere armi e bagagli e tornare a casa. Ma non sono di lingua normale i politici che vogliono ad ogni costo salvare la faccia. Noi ne abbiamo parecchi.
Uno è il vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini. Secondo lui: "È convinzione del governo italiano che le elezioni del prossimo gennaio avranno il compito di costruire in Iraq un sistema democratico che porterà alla stabilizzazione e alla sicurezza nel paese". Premessa per il ritiro delle truppe. Che sarebbe come dire: ce ne andremo quando nell'Iraq ci sarà uno Stato amico degli americani e dell'Occidente. Cioè mai, come ha riconosciuto anche il signore della guerra Donald Rumsfeld.
È di gran voga presso gli occupanti ragionare al contrario. Il capo del governo fantoccio Ayar Allawi è scampato in pochi mesi a quattro attentati? Bene, è l'uomo su cui contare. La decisione del ritiro è un passo decisivo di quella che i diplomatici chiamano la exit strategy? Molto bene, Massimo D'Alema la liquida come "beghe di cortile".
Quando è che si prenderanno armi e bagagli? Quando se ne avrà abbastanza di morti, di feriti, di sequestrati, di stragi, di torture, di civili uccisi? No, dice Fini, "non ha senso chiedersi quando, perché tutto dipenderà dalla velocità di trasformazione del paese e dalla solidità del sistema democratico che nascerà".
E non è questo un ragionare al contrario? Stiamo assistendo a una veloce e dilagante crescita della resistenza o guerriglia o opposizione, chiamatela come volete, che ogni giorno produce un attacco, un bagno di sangue, uno scempio del regime filo-americano, e il nostro Gianfranco Fini, cresciuto alla scuola della nostalgia missina, pone come premessa del ritiro un controllo del paese per cui occorrerebbero, secondo gli esperti, mezzo milione di soldati.
Poi c'è il nostro elegante ministro degli Esteri, Franco Frattini. La sua idea sì che è geniale: "Va ricercata una graduale transizione della forza multinazionale odierna a contingenti multinazionali prevalentemente musulmani".
A parte il fatto che la forza multinazionale odierna si sta disfacendo senza aver mai avuto un peso effettivo nella guerra, sta di fatto che i paesi musulmani non sono riusciti in più di mezzo secolo a costruire un fronte militare comune contro Israele, figuriamoci se ci riuscirebbero contro altri musulmani.
Ma il meglio secondo Frattini deve ancora venire. Perché, si chiede, "escludere un ribelle come Al Sadr dalla costruzione del nuovo Iraq democratico? Perché escluderlo, perché non trattare con i radicali non terroristi per ottenere l'isolamento dei terroristi?".
L'improvviso interesse dei nostri politici per il ritiro delle truppe dall'Iraq è nato il giorno stesso in cui il signore della guerra Rumsfeld ne ha parlato fra lo stupore di quanti si sono dimenticati del Vietnam, del Libano, della Somalia e del pragmatismo americano nel tirarsi fuori dai pantani.
Hanno cominciato i nostri a sentire puzza di bruciato e a scimmiottare il doppio gioco della Casa Bianca dove c'è un presidente che continua a fare l'interventista intransigente e consiglieri che studiano il modo per venire via dalla infernale trappola.
E a loro copia noi, con il Berlusconi che non demorde e ha mandato in Afghanistan anche gli alpini del battaglione Susa, ma a Kabul questa volta, non più sulle montagne di Kandahar dove avevano corso il rischio di una dura punizione. Una politica estera da avventurieri opportunisti.
Non bastano le sparate e gli anatemi patriottardi a giustificare un intervento assurdo, con i nostri soldati a fare da tiro al bersaglio nel deserto di Nassiriya dove la ribellione la fa da padrona.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …