Paolo Rumiz: Il giallo del papà della mummia. Ha voluto fare la fine di Oetzi
21 Ottobre 2004
Macché vendetta della mummia. In Austria lo sanno. La maledizione che perseguitava Helmut Simon da Norimberga - l'uomo che trovò Oetzi nel 1991 e che cinquemila anni dopo è scomparso come lui nella tormenta - si chiamava Sudtirolo ingrato. L'Europa intera, dai birrai della Baviera ai professori dell'Enciclopedia Britannica, sapeva che lo scopritore dell'Uomo dei ghiacci era lui. Per tutti, Herr Simon era il "papà" della mummia più antica del mondo. Tutti, salvo la Provincia di Bolzano, la quale non gli ha mai voluto tributare questo onore. Anzi, glielo ha sempre ostinatamente rifiutato. È in questo rifiuto, ti dicono, che devi cercare. Nevica, tira un vento bastardo, la cime del Salisburghese sono inghiottite da nubi color topo, in quota nevica, i 120 uomini del soccorso alpino di Gastein hanno sospeso le ricerche da 24 ore. Troppo pericolo. I larici in due giorni hanno perso gli aghi sotto le raffiche, e appena il vento tace senti che la montagna soffia, smotta, trema sotto il peso del manto invernale. Tempo da grappini, non da escursioni. Lo hanno cercato ovunque, il tedesco. Nella valle di Koetschach, sul Graukogel, e anche dall'altra parte della valle, sopra la stazione dove si imbarcano le automobili sul treno-navetta, davanti al tunnel per Mallnitz, Carinzia. Cascate, alberghi fin de siècle, un fondo valle tetro. All'hotel Bismark, da dove la moglie di Simon pare se ne sia già andata in silenzio, la gente ripete: Sehr seltsam, molto strano. Strano che un alpinista se ne sia andato via da solo con quel tempo. Strano che non abbia detto alla moglie la sua strada. Strano che un Bergvagabund come lui, un nomade incallito della catena alpina, abbia compiuto un simile errore a 67 anni. "Nein - ti dicono - non può essere un caso che quei due siano finiti alla stessa maniera". È come se se la fosse cercata, il signor Simon. Come se avesse fatto perdere le tracce apposta. Sarà andato davvero verso il piccolo Gamskarkogel, sopra Dorfgastein, da dove col bel tempo puoi goderti una vista fantastica sulle Alpi Orientali? Oppure avrà beffato tutti salendo la muraglia dei Tauri che chiude la valle sopra i tremila metri? Non era forse convinto, Herr Professor, che Oetzi avesse dei fratelli dispersi su quelle montagne lontane 200 chilometri dal Tirolo? E se fosse andato a svegliarle dal letargo? Ma poco importa, perché la chiave di questo giallo non sta a Bad Gastein, ma altrove. A Bolzano. Nei meandri di una contesa legale da ossessione. Da romanzo di Le Carré. "Ja. Quella di Oetzi è la storia di un furto". Nella stube surriscaldata del venerando Hoteldorf Gruenenbaum, sotto i trofei ultra-centenari di un certo arciduca Giovanni, il signor Kurt Wodak, un viennese in viaggio verso Klagenfurt, ride delle ipotesi "egizie", delle storie della mummia che si vendica come Tutankamen. "Tutto fumo per occultare la verità". Conosce bene la storia di Simon e azzarda: "Forse in lui ha giocato la delusione". La storia dello scopritore negato di Oetzi comincia quando Bolzano intuisce che può fare della mummia un'attrazione miliardaria e al tempo stesso l'antenato della piccola patria sudtirolese. Una partita identitaria da giocare tutta in casa. L'Istituto di medicina legale di Innsbruck, che fa le prime analisi sui resti, viene messo subito fuori gioco. Vengono chiamati carabinieri e geometri e un pezzo di ghiacciaio da sempre "in condominio" con l'Austria diventa italiano dopo meticolose misurazioni trigonometriche. Il corpo viene riportato trionfalmente a Sud del Brennero e l'unità tirolese va in frantumi per un cadavere. Ma anche che "l'onesto rinvenitore" sia un forestiero può essere un disturbo. Meglio un grande nome locale come Reinhold Messner, giunto sul Similaun poco dopo col compagno di cordata Hans Kammerlander. Così liquidano il guastafeste, dicendo: "Caro Simon, lei ha trovato solo un corpo, ma non ne ha capito l'importanza. Lei pensava a un caduto della Grande Guerra". Al museo metteranno una targa che è un capolavoro di ipocrisia. Vero: i coniugi Simon "hanno visto" l'uomo del Similaun per primi. Ma la parola "scoperta" viene accuratamente evitata. Per tacitarlo, gli offrono 50 mila euro, una somma ridicola per un reperto inestimabile. In fondo, che possono valere quattro ossa e pelle secca, ghignano all'ufficio legale della Provincia. Ma Simon non cerca il conto in banca, non gli importa la cifra. Vuole solo una targhetta al museo, un nome con la data. Ed è lì che si incaponisce. Vuole prima di tutto il riconoscimento di una qualifica; il compenso verrà poi. La Provincia risponde a muso duro. Simon diventa una "non persona". Il presidente Luis Durnwalder lo evita. Il suo nome viene cancellato dagli incontri scientifici sul tema, e i Simon non vengono invitati nemmeno allo strombazzatissimo convegno per il decennale della scoperta. Le disposizioni della Provincia più ricca d'Europa sono implacabili: se "quel signore" vuole entrare al museo, paghi il biglietto. Nessuna agevolazione che possa sembrare un riconoscimento. Simon se ne frega, viene lo stesso a Bolzano, porta comitive dalla Germania apposta per far schiattare i bolzanini ingrati. E succede che più negano il suo ruolo, più si allungano le code attorno al museo, più i miliardi grondano sulla Provincia taccagna, e più l'affetto - forse la complicità - con l'uomo rinsecchito nel congelatore aumenta. Mein Brueder, lo chiama. Non si sente più suo padre, ma fratello di destino. Gli parla, si identifica con lui. Sul biglietto da visita si qualifica non come professore di chimica, ma "scopritore di Oetzi". Si attacca alla giacca una targhetta con la mummia alpina. In fondo, il mondo lo conosce per quello. Nasce, forse, una magnifica ossessione. "E se Simon avesse voluto identificarsi con l'oggetto della sua scoperta?", osa al telefono da Merano il direttore del Servizio di salute mentale dell'Alta Val d'Adige Lorenzo Toresini. E si fosse innamorato della sua creatura al punto da cercare la stessa fine? Chissà, magari ha voluto rivivere la salita nella neve, la stanchezza, l'ultimo pasto, fino all'agonia dal "fratello". Oppure sparire nell'elemento dei suoi sogni, la tormenta. Più che la maledizione di una mummia pare il desiderio di immortalarsi. E magari, aggiungiamo noi, di tagliar corto con chi quella immortalità voleva negargli. L'avvocato Armin Weis dello studio bolzanino Gastner, che cura la causa intentata da Simon contro la Provincia, parla di un uomo "gioviale, esuberante, spontaneo", ma anche di una persona "molto immedesimata in Oetzi". Poi, va al sodo. "Il tribunale gli ha ormai riconosciuto il ruolo di scopritore. Ora verrà il compenso. Sarà nominata una commissione neutrale, ma un nostro perito ha già anticipato che il valore del reperto è immenso. È la più vecchia mummia del mondo con gli organi vitali conservati ed ha fornito informazioni incredibili sulla vita dell'uomo cinquemila anni fa in Europa. Per non parlare degli enormi benefici che questa scoperta ha portato a Bolzano". "Con tutti questi titoli dei giornali sullo scopritore di Oetzi, in Italia saranno nervosi" sorride ironico un turista tedesco con zainetto sulla stradina per il vecchio hotel Ruebezahl, un posto un po' sinistro. "Non so se Simon se la sia cercata, ma in tre giorni ha ottenuto quello che voleva: il riconoscimento definitivo della scoperta. Ci pensi. Non si parla che di lui. E ora, se la vedova avrà quello che le spetta, sarà una bella vendetta postuma per Austria e Germania. La degna fine a sorpresa della storia di Oetzi, la mummia scippata due volte".
Paolo Rumiz
Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti …