Giorgio Bocca: Se Frattini pesca la luna nel pozzo
22 Novembre 2004
Alla fine della guerra partigiana, quando si decise, in alto, la unificazione delle formazioni nei Cln, i Comitati di liberazione nazionale, nelle provincie di Novara e Vercelli i comunisti cercarono di adottare il modello Moscatelli che consisteva nel gioco delle parti fra i comandanti comunisti: tu fai il democristiano, tu il socialista, tu quello del partito d'azione. La trovata non ebbe successo, perché l'unità della Resistenza era un'altra cosa e perché l'Italia fu occupata dalle divisioni inglesi e americane.
Ma non fu una trovata peregrina: fu nuovamente applicata quando si trattò di fare la pace nel Vietnam e di trovare una via di uscita alle trattative volute dal presidente del Consiglio francese Pierre Mendès-France a Ginevra nel 1954. Di nuovo, e questa volta con successo, i vietcong vincitori crearono dei comitati di liberazione e tornarono al gioco delle parti anche se tutti sapevano che il giorno stesso della pace il potere sarebbe passato intero nelle loro mani.
Adesso il gioco delle parti lo stanno facendo in Iraq gli americani con il governo fantoccio di Allawi. Non sappiamo esattamente quali siano le loro intenzioni: se il ritiro promesso faccia parte della campagna elettorale e basta, cosa assai improbabile, o se sia un modo per mascherare la nascita di un protettorato ufficialmente indipendente, sostenuto dalla forza militare ed economica dell'occupante che rinuncerebbe alla occupazione totale, accontentandosi di alcune basi militari come è avvenuto in Europa, qui mettendo nel conto una durata senza fine della ribellione.
L'unica ipotesi incredibile pare sia quella su cui conta il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, e il governo, nel caso della sua riconferma elettorale, cioè un successo stabile della democrazia affidato alle forze armate del governo fantoccio di Allawi. Nel ristabilimento dell'ordine e della miracolistica affermazione di istituzioni democratiche in un paese che non ne ha mai avute e che non mostra di gradirle.
Sono pretese che non casualmente nascono nel campo berlusconiano, in un modo di governare che consiste nell'apparire senza essere, nel partecipare alla grande politica senza averne i mezzi, nello schierarsi, ma già pronti a dissociarsi.
La proposta del ministro Frattini di fare intervenire come garanti della pace le truppe dei paesi arabi moderati equivale alla proposta di pescare la luna nel pozzo. La strage delle reclute del governo Allawi a Baquba è la dimostrazione inequivocabile, ma scontata, della sua impotenza.
Durante la repubblica mussoliniana di Salò, nella Resistenza, che pure era politicamente determinata e militarmente così forte da opporsi alla repressione tedesca, non furono neppure progettati attacchi in campo aperto ai centri di reclutamento fascisti.
Segno che la resistenza irachena agisce in condizioni di favore imparagonabili alle nostre, di un appoggio popolare e di un rapporto di forze nettamente superiore, e che continuare a presentarla come un raggruppamento caotico e banditesco prossimo a un sicuro disfacimento è un consolarsi con le parole.
L'aspetto più drammatico, per noi, dell'avventura irachena è la nostra tragica impotenza decisionale, la constatazione che più passa il tempo meno riusciamo a capire che cosa ci stiamo a fare in Iraq. La parte che vi ha il nostro contingente è sempre più indefinibile: continuiamo a sostenere che è lì per una missione di pace quando all'evidenza partecipa alle operazioni militari di controllo del territorio, quando si è ritirato dai centri abitati di cui sono padroni i ribelli. I nostri soldati più che in un deserto sembrano abbandonati su una banchisa polare.
E neppure l'opposizione trova il coraggio per toglierli dal loro isolamento.
Ma non fu una trovata peregrina: fu nuovamente applicata quando si trattò di fare la pace nel Vietnam e di trovare una via di uscita alle trattative volute dal presidente del Consiglio francese Pierre Mendès-France a Ginevra nel 1954. Di nuovo, e questa volta con successo, i vietcong vincitori crearono dei comitati di liberazione e tornarono al gioco delle parti anche se tutti sapevano che il giorno stesso della pace il potere sarebbe passato intero nelle loro mani.
Adesso il gioco delle parti lo stanno facendo in Iraq gli americani con il governo fantoccio di Allawi. Non sappiamo esattamente quali siano le loro intenzioni: se il ritiro promesso faccia parte della campagna elettorale e basta, cosa assai improbabile, o se sia un modo per mascherare la nascita di un protettorato ufficialmente indipendente, sostenuto dalla forza militare ed economica dell'occupante che rinuncerebbe alla occupazione totale, accontentandosi di alcune basi militari come è avvenuto in Europa, qui mettendo nel conto una durata senza fine della ribellione.
L'unica ipotesi incredibile pare sia quella su cui conta il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, e il governo, nel caso della sua riconferma elettorale, cioè un successo stabile della democrazia affidato alle forze armate del governo fantoccio di Allawi. Nel ristabilimento dell'ordine e della miracolistica affermazione di istituzioni democratiche in un paese che non ne ha mai avute e che non mostra di gradirle.
Sono pretese che non casualmente nascono nel campo berlusconiano, in un modo di governare che consiste nell'apparire senza essere, nel partecipare alla grande politica senza averne i mezzi, nello schierarsi, ma già pronti a dissociarsi.
La proposta del ministro Frattini di fare intervenire come garanti della pace le truppe dei paesi arabi moderati equivale alla proposta di pescare la luna nel pozzo. La strage delle reclute del governo Allawi a Baquba è la dimostrazione inequivocabile, ma scontata, della sua impotenza.
Durante la repubblica mussoliniana di Salò, nella Resistenza, che pure era politicamente determinata e militarmente così forte da opporsi alla repressione tedesca, non furono neppure progettati attacchi in campo aperto ai centri di reclutamento fascisti.
Segno che la resistenza irachena agisce in condizioni di favore imparagonabili alle nostre, di un appoggio popolare e di un rapporto di forze nettamente superiore, e che continuare a presentarla come un raggruppamento caotico e banditesco prossimo a un sicuro disfacimento è un consolarsi con le parole.
L'aspetto più drammatico, per noi, dell'avventura irachena è la nostra tragica impotenza decisionale, la constatazione che più passa il tempo meno riusciamo a capire che cosa ci stiamo a fare in Iraq. La parte che vi ha il nostro contingente è sempre più indefinibile: continuiamo a sostenere che è lì per una missione di pace quando all'evidenza partecipa alle operazioni militari di controllo del territorio, quando si è ritirato dai centri abitati di cui sono padroni i ribelli. I nostri soldati più che in un deserto sembrano abbandonati su una banchisa polare.
E neppure l'opposizione trova il coraggio per toglierli dal loro isolamento.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …