Giulietto Chiesa: Nel segno di Bush
23 Novembre 2004
La conferenza di Sharm el Sheikh nasce sotto il segno di Bush vittorioso e le sue conclusioni appaiono già scontate. Gli iracheni saranno trascinati al voto il 30 gennaio 2005, a prescindere da ogni valutazione - ieri, in tal senso, c'è stata la rivolta dei paesi arabi - sulla validità di una elezione che si tiene in un paese in guerra, con uno stillicidio incessante di morti, di attentati, di rappresaglie in cui il cittadino qualunque ha, ottantacinque volte più di "prima", la probabilità di morire ammazzato.
Gli iracheni conosceranno la democrazia al piretro, allo zolfo e al napalm e non sapremo mai quanti l'avranno gradita perché non c'è spazio per osservatori esterni diligenti tra un proiettile vagante e un altro, tra un'autobomba e un carro armato. Noi li bombardiamo e li massacriamo perché votino.
Si dice che queste elezioni le vogliono gli sciiti e i curdi, e probabilmente è vero. Ma questa è la premessa inesorabile per una liquidazione dell'Iraq come entità statale unitaria, perché i sunniti non voteranno o non potranno votare.
Le conseguenze - lo vede chiunque - sono prevedibili e infauste, verso un'irachizzazione della guerra.
In realtà chi vuole le elezioni sono, in primo luogo, gli Stati uniti d'America. Le vogliono perché esse legittimano tutto ciò che è accaduto dall'aggressione anglo-americana fino alla barbarie senza testimoni dell'operazione Falluja, passando per Abu Ghraib. Saranno, a loro modo, un'altra tappa della "mission accomplished", dalla missione compiuta. Bush è dio e Allawi è il suo profeta.
Tutto è stato messo in atto perché Sharm el Sheikh disegni una vittoria dell'imperatore "eletto dal popolo". L'intesa della vigilia sulla cancellazione del debito, cui la Russia si è piegata, ma non sappiamo in cambio di cosa; la presenza francese e quella europea alla conferenza, quasi a configurare la resa degli alleati occidentali riottosi; l'ennesimo e ultimo strattone inferto alle Nazioni unite, incatenate a una risoluzione unanime del loro consiglio di sicurezza che viene eseguita sulla punta dei cannoni dalle truppe di occupazione che non solo presiederanno alle operazioni di voto, ma che non è nemmeno previsto quando - e se - se ne andranno da lì.
Una conferenza di pecore e galline presieduta dal lupo e dalla volpe. Quanto rappresenti la realtà del campo di battaglia è facile intuire, ma essa rappresenta abbastanza bene lo stato dei rapporti di forza in atto nel mondo in questa fase tragica del declino del diritto internazionale, della democrazia e della stessa ragione.
Condoleezza Rice al posto di Colin Powell: un falco al quadrato al posto della radice quadrata di una colomba.
Due sole cose si possono aggiungere come è altamente probabile: la "commedia multilaterale" cui assisteremo a Sharm el Sheikh finirà nello stesso modo in cui è finita la "risoluzione unanime" del consiglio di sicurezza, cioè con gli anglo-americani, da soli, a confrontarsi con gli iracheni, a ucciderli ed esserne uccisi, mentre si prendono le loro ricchezze. E, per il popolo iracheno, tutto intero, la certezza che ancora per lungo tempo non avrà né pace, né democrazia. Il mondo assisterà alla celebrazione delle nuove regole del gioco finalmente "liberato" dallo spettacolo di sangue che continuerà a scorrere tra il Tigri e l'Eufrate.
Gli iracheni conosceranno la democrazia al piretro, allo zolfo e al napalm e non sapremo mai quanti l'avranno gradita perché non c'è spazio per osservatori esterni diligenti tra un proiettile vagante e un altro, tra un'autobomba e un carro armato. Noi li bombardiamo e li massacriamo perché votino.
Si dice che queste elezioni le vogliono gli sciiti e i curdi, e probabilmente è vero. Ma questa è la premessa inesorabile per una liquidazione dell'Iraq come entità statale unitaria, perché i sunniti non voteranno o non potranno votare.
Le conseguenze - lo vede chiunque - sono prevedibili e infauste, verso un'irachizzazione della guerra.
In realtà chi vuole le elezioni sono, in primo luogo, gli Stati uniti d'America. Le vogliono perché esse legittimano tutto ciò che è accaduto dall'aggressione anglo-americana fino alla barbarie senza testimoni dell'operazione Falluja, passando per Abu Ghraib. Saranno, a loro modo, un'altra tappa della "mission accomplished", dalla missione compiuta. Bush è dio e Allawi è il suo profeta.
Tutto è stato messo in atto perché Sharm el Sheikh disegni una vittoria dell'imperatore "eletto dal popolo". L'intesa della vigilia sulla cancellazione del debito, cui la Russia si è piegata, ma non sappiamo in cambio di cosa; la presenza francese e quella europea alla conferenza, quasi a configurare la resa degli alleati occidentali riottosi; l'ennesimo e ultimo strattone inferto alle Nazioni unite, incatenate a una risoluzione unanime del loro consiglio di sicurezza che viene eseguita sulla punta dei cannoni dalle truppe di occupazione che non solo presiederanno alle operazioni di voto, ma che non è nemmeno previsto quando - e se - se ne andranno da lì.
Una conferenza di pecore e galline presieduta dal lupo e dalla volpe. Quanto rappresenti la realtà del campo di battaglia è facile intuire, ma essa rappresenta abbastanza bene lo stato dei rapporti di forza in atto nel mondo in questa fase tragica del declino del diritto internazionale, della democrazia e della stessa ragione.
Condoleezza Rice al posto di Colin Powell: un falco al quadrato al posto della radice quadrata di una colomba.
Due sole cose si possono aggiungere come è altamente probabile: la "commedia multilaterale" cui assisteremo a Sharm el Sheikh finirà nello stesso modo in cui è finita la "risoluzione unanime" del consiglio di sicurezza, cioè con gli anglo-americani, da soli, a confrontarsi con gli iracheni, a ucciderli ed esserne uccisi, mentre si prendono le loro ricchezze. E, per il popolo iracheno, tutto intero, la certezza che ancora per lungo tempo non avrà né pace, né democrazia. Il mondo assisterà alla celebrazione delle nuove regole del gioco finalmente "liberato" dallo spettacolo di sangue che continuerà a scorrere tra il Tigri e l'Eufrate.
Giulietto Chiesa
Giulietto Chiesa (1940) è giornalista e politico. Corrispondente per “La Stampa” da Mosca per molti anni, ha sempre unito nei suoi reportage una forte tensione civile e un rigoroso scrupolo …