Boris Biancheri: Caso Forleo. Distinzioni pericolose

10 Febbraio 2005
Gli italiani seguono con trepidazione la vicenda di Giuliana Sgrena con la crescente fiducia che le manifestazioni, gli appelli e gli sforzi del governo conducano presto alla liberazione della giornalista del Manifesto. E come potrebbe essere altrimenti? C’è, in primo luogo, una donna; poi, è una donna coraggiosa, una reporter seria e impegnata, un volto sensibile. Ma soprattutto è una italiana che stava col cuore e col cervello dalla parte degli insorti, contro la guerra americana e contro l’occupazione dell’Iraq da parte della coalizione. Come immaginare che i guerriglieri iracheni mettano a morte qualcuno che, con la penna se non con le armi, è moralmente al loro fianco? Questo è l’argomento decisivo che è stato fatto giungere a chiunque l’avesse rapita. Il comunicato su Internet della Jihad islamica che preannuncia il rilascio sembra indicare che gli appelli siano andati a segno. Se poi, malgrado tutto, non fosse liberata, sarebbe il segno inconfutabile che la Sgrena è vittima non della guerriglia ma di criminali comuni. Forse non ci accorgiamo noi stessi che, nel fare questo ragionamento impeccabile, abbiamo già compiuto un immenso passo avanti verso la legittimazione del terrorismo. Perché dire: "Liberatela perché sta dalla vostra parte" è come riconoscere implicitamente che, se invece non lo fosse, sarebbe meno grave o addirittura ammissibile metterla a morte. È distinguere i terroristi quanto ai loro obiettivi, anziché accomunarli tutti nei mezzi che usano. Sbaglia il giudice Forleo quando si richiama a una risoluzione dell’Onu, che non esiste, sul terrorismo. Probabilmente la definizione più ampiamente accettata di terrorismo è quella che fu approvata, con l’astensione di vari Paesi arabi, nel vertice mondiale di Sharm-el-Sheikh del 1997: è terrorismo qualsiasi consapevole violenza o minaccia di violenza perpetrata nei confronti di civili a fini politici. Non distingue, come si vede, tra chi fa lotta di liberazione nazionale, o lotta di classe, o lotta per il trionfo di una religione. Quando si distingue, si legittima. In Italia, Paese che più di ogni altro ama le distinzioni, c’è una parte dell’opinione pubblica, del mondo politico e della magistratura che in questi ultimi anni si è andata convincendo che anche tra i terroristi ve ne siano alcuni più terroristi degli altri. Il signor Daki, il postino di Mohammed Atta, il reclutatore di insorti, che, rimesso in libertà, abbiamo visto mentre rilascia ironiche interviste da un elegante albergo a quattro stelle del nostro Paese, può essere considerato il simbolo di questo modo di pensare.

Boris Biancheri

Boris Biancheri (1930-2011) è nato in Italia da padre ligure e da madre di origine russa. Ha girato il mondo e ha trascorso parte della vita in Grecia, Francia, Giappone, …