Gabriele Romagnoli: Egitto, elezioni presidenziali. Mubarak cambia le regole

28 Febbraio 2005
La Sfinge s’è mossa. E adesso davvero si può annusare il vento di una storica ‟primavera araba”. Con una mossa (quasi) a sorpresa il presidente egiziano Mubarak ha annunciato una modifica alla Costituzione che consentirà una corsa a più candidati per le prossime elezioni presidenziali di settembre. Ci sono molte buone ragioni per essere felici: l’Egitto è il Paese arabo più popoloso e ogni suo sussulto può avere un effetto sisma, Mubarak è uno dei raìs più navigati e se capisce lui l’esigenza di riforme, significa che la pressione (non più soltanto esterna) è forte. Ci sono altrettante buone ragioni per restare scettici: l’emendamento alla Costituzione si annuncia restrittivo e il principale dei possibili candidati alternativi è attualmente in prigione (luogo dove il regime di Mubarak ha spedito, nei suoi quattro mandati, un quarto di milione di egiziani). Ma quel che più occorre è cercare di capire freddamente che cosa è accaduto e perché. Quando nel 1981 Sadat fu assassinato, il suo vice Mubarak era accanto a lui e gli successe. Poi fu eletto presidente secondo le procedure dell’articolo 76 della Costituzione egiziana: il parlamento nomina un candidato unico e, di lì a quattro mesi, il popolo si esprime tramite referendum. Un sistema analogo applicava Saddam Hussein in Iraq. Principale differenza: Saddam otteneva il 100% dei voti (anche gli elettori morti dicevano "si"), Mubarak si fermava oltre il 90%. La quinta rielezione si stava avvicinando, il Parlamento doveva designare il candidato unico a maggio. Le precarie condizioni di salute di Mubarak avevano fatto circolare nel corso del 2004 la possibilità che toccasse al figlio Gamal o, più credibilmente, al potente capo dei Servizi Segreti, Omar Suleiman. Poi, in autunno, era caduto ogni dubbio: ancora la Sfinge. La possibilità di modificare la procedura elettorale è stata per anni un tabù, discusso soltanto clandestinamente. A questo giro qualcosa è cambiato. A sparigliare le carte in tavola è stato, come spesso, il sociologo Saadeddine Ibrahim, a lungo incarcerato per le sue opinioni. Prima ha annunciato ai media internazionali che avrebbe cercato di candidarsi, poi ha innescato la miccia di un movimento popolare unito da un semplice slogan: Kefaya, basta. Basta alla rielezione automatica del raìs. Basta a un voto svuotato di senso. A centinaia si sono ritrovati nelle piazze, liberali e socialisti, islamisti e nasseriani, urlando: Kefaya e chiedendo la liberazione di Ayman Nur, leader del principale partito di opposizione, arrestato il 29 gennaio con la pretestuosa accusa di aver contraffatto le firme raccolte in favore del suo partito, Al Ghad. Sarebbe ingenuo pensare che questo movimento, pur inedito, abbia scosso, da solo, un potere consolidato. Solo un mese fa Mubarak diceva: "La modifica della Costituzione non è in programma, chi ne parla fa discorsi futili". Ieri, all’Università Menoufia, sul Delta del Nilo, l’ha annunciata. Che cosa è successo, nel frattempo? Che Condoleezza Rice ha cancellato la visita prevista per il 2 marzo, che gli Stati Uniti hanno fatto capire al loro alleato che non avrebbe più avuto appoggio (due miliardi di dollari l’anno) in modo incondizionato. "Mubarak a una svolta", titolava venerdì, ben informato, il quotidiano indipendente ‟Mesri al yom”. Ieri, la conferma: entro due settimane il parlamento proporrà la nuova procedura di elezione del presidente, entro nove sarà sottoposta a referendum popolare, a settembre il voto con più candidati. "È la cosa migliore mai fatta da Mubarak - dice esultante Hisham Kassem, attivista per i diritti civili - Questa è la sua eredità politica. Anche se stavolta sarà rieletto, lo sarà diversamente. Poi lui passerà, il nuovo sistema resterà". Da Washington, Saadeddine Ibrahim comunica entusiasmo: "È il primo passo in una marcia di mille chilometri, ma è il più importante. L’hanno permesso tre fattori: la pressione internazionale, quella interna e tutte quelle immagini di gente alle urne nella regione". Che sia un giorno importante lo capisci quando senti vibrare la voce di persone che hai sempre sentito sussurrare o che hai aspettato all’uscita di un carcere. E poi, come dice la moglie americana di Saddeddine Ibrahim: "Mubarak certo dovrebbe vincere: ha il controllo del Paese. Ma se lasci che la gente si esprima liberamente, non sai mai che cosa può accadere". Magari scrive nella storia: kefaya.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …