Marina Forti: Bombe e paura in Thailandia

06 Aprile 2005
Le autorità thailandesi hanno disposto misure di sicurezza eccezionali in tutto il paese, dopo gli attentati che tra domenica e lunedì hanno fatto due morti e una sessantina di feriti. Tre bombe, quasi simultanee, domenica avevano colpito l'aereoporto di Hat Yai, che serve le province del sud, un supermercato e un hotel; lunedì una nuova bomba è esplosa a Songkhla. Secondo la polizia gli attentatori sono islamici; hanno usato mix di dinamite e fertilizzanti, e gli ordigni sono stati fatti esplodere con telefoni cellulari. È la prima volta che un aereoporto thailandese subisce un attentato. Soprattutto, è la prima volta che la violenza politica ormai diffusa nelle tre province del sud a maggioranza musulmana sconfina (Hat Yai si trova appena più a nord della regione ‟calda”). È questo a preoccupare il governo, che ha rimesso in vigore le misure di sorveglianza speciali già instaurate per il vertice dell'Apec un paio d'anni fa. Il premier Thaksin Shinawatra ha dichiarato però che la polizia e l'esercito manterranno ‟le nostre misure intensive di prevenzione e soppressione” (del terrorismo) ‟senza abbandonare i mezzi non violenti”.
Appena una settimana fa Thaksin aveva segnalato l'intenzione di diminuire la presenza dell'esercito nelle province musulmane, come ad ammettere che la linea dura usata nell'ultimo anno non ha dato i risultati sperati. I musulmani sono una minoranza in Thailandia, circa il 4% della popolazione, e sono quasi tutti in quelle tre province - Pattani, Yala e Marathiwat - di ceppo etnico e di lingua malay, che una volta formavano un sultanato indipendente annesso in tempi recenti al regno thai. Il risentimento della minoranza musulmana, che lamenta discriminazioni e mancanza di opportunità rispetto alla maggioranza thai (e buddista), è decennale ed è accentuata negli ultimi tempi da una più forte centralizzazione amministrativa. Un anno fa però è comparsa una militanza islamica che in parte si richiama ai movimenti ribelli già attivi degli anni '80, in parte all'idea di ‟comunità islamica” (Jemaah Islamiyah) che va facendo proseliti tra i giovani musulmani di Indonesia o Malaysia. Il premier Thaksin ha risposto con il pugno di ferro: il picco è stato raggiunto in ottobre, quando 78 uomini sono morti soffocati in un camion dopo l'arresto, ma le ritorsioni violente sono state frequenti, causando rabbia e rivolta in tutti i musulmani, anche i più moderati. Al punto che il sovrano, a Bangkok, aveva auspicato una politica meno divisiva. Molto criticata era stata l'ultima trovata del premier Thaksin: in febbraio, dopo una visita nel sud, aveva annunciato il piano di togliere i finanziamenti ai villaggi giudicati vicini ai ribelli. Si erano pronunciati contro i maggiori giornali, il Comitato centrale islamico (organismo che rappresenta gli ulema ed è un'autorità religiosa nazionale), intellettuali e politici thai. Così, dicevano, la minoranza si sentirà ancora più alienata, come non fossero cittadini a pèieno titolo. Del resto la linea dura è stata un fallimento: gli attentati sono diventati quasi quotidiani nel sud, mirati a stazioni di polizia o uffici pubblici (rappresentanti del governo centrale, con personale mandato ‟da fuori”, cioè buddhisti). Gli effetti della svolta di una settimana fa, con la decisione di diminuire la presenza militare, non si sentono ancora

Marina Forti

Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …