Marina Forti: Manifestazioni in Nepal, 500 arresti
11 Aprile 2005
Una battaglia tra l'esercito del Nepal e i guerriglieri maoisti si è conclusa con la morte di almeno 50 ribelli, l'altra notte. Mentre ieri nella capitale Khatmandu e in altre città la polizia ha arrestato tra 500 e 600 persone che manifestavano contro lo stato d'emergenza, riferiscono le agenzie di stampa. Così il Nepal ha celebrato l'anniversario dell'instaurazione della democrazia, nel 1990, quando la monarchia finora assoluta aveva ceduto a un sistema parlamentare multipartitico. La battaglia dell'altra notte è la più sanguinosa degli ultimi due mesi, stando alle notizie dell'esercito nepalese. E' avvenuta nell'ovest del paese; il comunicato dell'esercito (ripreso dall'agenzia Reuter) afferma che i ribelli hanno attaccato e i militari hanno risposto; i ribelli hanno lasciato sul terreno parecchi morti, probabilmente centinaia, anche se solo 50 corpi sono stati recuperati finora. Per il momento non ci sono conferme indipendenti né su come siuano andate le cose, né sul numero di morti; neanche i ribelli hanno emesso comunicati.
Anche le manifestazioni di ieri sono state tra le più estese da quando, il 1 febbraio, re Gyanendra ha dichiarato lo stato d'emergenza, sciolto governo e parlamento e assunto tutti i poteri - una sorta di colpo di stato reale. A Kathmandu la polizia ha arrestato 45 persone tra cui ex ministri e leader di partito (per decreto reale tutti i partiti sono sospesi e le loro attività vietate, e ogni manifestazione pubblica è illegale). Circa altre 450 persone sono state arrestate nelle città orientali di Janakpur, Sarlahi e Mahottari, secondo testimonianze raccolte dalla reuter. A Kathmandu i manifestanti si facevano vedere con bandiere o cartelli uno o due per volta ed erano immediatamente presi, ammanettati e caricati sui cellulari di polizia; mentre gli agenti arrestavano alcuni altri gridavano slogan o lanciavano volantini, così che la caccia è continuata per ore tra strade e vicoli. ‟Non possiamo rimanere spettatori silenziosi mentre la democrazia e le libertà sono confiscate”, dicono in un comunicato gli ex deputati del Nepali Congress Party, che era la maggiore forza politica nel disciolto parlamento. Scene simili sono state descritte nelle altre città - a Janakpur decine di persone sono state ferite dagli agenti intervenuti con manganelli, un giornalista locale ha contato 45 persone ricoverate nell'ospedale.
Re Gyanendra aveva giustificato la proclamazione dello stato d'emergenza dicendo che il governo espresso dal parlamento multipartitico non ha saputo mettere fine alla rivolta maoista, cominciata nel 1996. Nove anni e oltre diecimila morti più tardi, lo stato e l'esercito controllano ormai solo le città e macchie di territorio. La popolarità dei guerriglieri però non è molto alta, le organizzazioni indipendenti denunciano che la popolazione rurale è presa tra due fuochi - anche gli attivisti per i diritti umani subiscono ritorsioni da entrambe le parti.
Giovedì la Commissione nazionale per i diritti umani, statale (ma con una certa indipendenza), ha denunciato allarmanti episodi avvenuti in un certo distretto del Nepal occidentale, Kapilvastu, dove gruppi di abitanti hanno formato gruppi di vigilantes per dare la caccia ai ribelli, uccidendo 31 persone in diversi episodi da febbraio. Nayan Bahadur Khatri, capo della Commisisone, ha detto alla Reuter che questa ‟violenza di folla” non è controllata dalle forze di sicurezza, anzi in molti casi avviene proprio in loro presenza. Altri gruppi indipendenti per i diritti umani sono più espliciti: è il governo che sta incoraggiando i gruppi di vigilantes civili per combattere i ribelli. Sta di fatto che almeno 600 case sono state bruciate in 21 villaggi dela zona e migliaia di persone sono fuggite, rifugiandosi in India, dice la Commissione per i diritti umani. In Nepal è cominciata anche una guerra sporca.
Anche le manifestazioni di ieri sono state tra le più estese da quando, il 1 febbraio, re Gyanendra ha dichiarato lo stato d'emergenza, sciolto governo e parlamento e assunto tutti i poteri - una sorta di colpo di stato reale. A Kathmandu la polizia ha arrestato 45 persone tra cui ex ministri e leader di partito (per decreto reale tutti i partiti sono sospesi e le loro attività vietate, e ogni manifestazione pubblica è illegale). Circa altre 450 persone sono state arrestate nelle città orientali di Janakpur, Sarlahi e Mahottari, secondo testimonianze raccolte dalla reuter. A Kathmandu i manifestanti si facevano vedere con bandiere o cartelli uno o due per volta ed erano immediatamente presi, ammanettati e caricati sui cellulari di polizia; mentre gli agenti arrestavano alcuni altri gridavano slogan o lanciavano volantini, così che la caccia è continuata per ore tra strade e vicoli. ‟Non possiamo rimanere spettatori silenziosi mentre la democrazia e le libertà sono confiscate”, dicono in un comunicato gli ex deputati del Nepali Congress Party, che era la maggiore forza politica nel disciolto parlamento. Scene simili sono state descritte nelle altre città - a Janakpur decine di persone sono state ferite dagli agenti intervenuti con manganelli, un giornalista locale ha contato 45 persone ricoverate nell'ospedale.
Re Gyanendra aveva giustificato la proclamazione dello stato d'emergenza dicendo che il governo espresso dal parlamento multipartitico non ha saputo mettere fine alla rivolta maoista, cominciata nel 1996. Nove anni e oltre diecimila morti più tardi, lo stato e l'esercito controllano ormai solo le città e macchie di territorio. La popolarità dei guerriglieri però non è molto alta, le organizzazioni indipendenti denunciano che la popolazione rurale è presa tra due fuochi - anche gli attivisti per i diritti umani subiscono ritorsioni da entrambe le parti.
Giovedì la Commissione nazionale per i diritti umani, statale (ma con una certa indipendenza), ha denunciato allarmanti episodi avvenuti in un certo distretto del Nepal occidentale, Kapilvastu, dove gruppi di abitanti hanno formato gruppi di vigilantes per dare la caccia ai ribelli, uccidendo 31 persone in diversi episodi da febbraio. Nayan Bahadur Khatri, capo della Commisisone, ha detto alla Reuter che questa ‟violenza di folla” non è controllata dalle forze di sicurezza, anzi in molti casi avviene proprio in loro presenza. Altri gruppi indipendenti per i diritti umani sono più espliciti: è il governo che sta incoraggiando i gruppi di vigilantes civili per combattere i ribelli. Sta di fatto che almeno 600 case sono state bruciate in 21 villaggi dela zona e migliaia di persone sono fuggite, rifugiandosi in India, dice la Commissione per i diritti umani. In Nepal è cominciata anche una guerra sporca.
Marina Forti
Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …