Danilo Zolo: Palestina. Acqua, il diritto negato

11 Maggio 2005
Sono appena tornato dalla Palestina, dove a Ramallah, dal 2 al 5 maggio, si è tenuto un convegno internazionale sul tema del diritto all'acqua. La sede del convegno era a pochi passi dal compound della Mokata, ancora ingombro delle macerie degli edifici abbattuti dai missili israeliani. Solo una parte di esse sono state rimosse per ospitare e onorare la tomba di Yasser Arafat. Ero stato invitato dalla Palestine Academy for Science and Technology, che ha organizzato l'incontro con il sostegno del Development Programme delle Nazioni Unite. Il problema dell'acqua è destinato a diventare sempre più grave nei prossimi decenni e in Palestina lo si percepisce in modo molto acuto. É una nuova ‟barriera globale” che si erge silenziosamente e divide in due il mondo intero: da una parte i paesi ricchi di acqua perché ricchi e potenti in generale e, dall'altra, i paesi poveri di acqua, perché poveri e deboli in generale. La domanda globale di acqua cresce rapidamente a causa dell'espansione demografica della specie e del diffondersi del modello tecnologico-industriale. Nello stesso tempo decresce la quantità di acqua potabile a causa delle turbolenze climatiche, dell'inquinamento e dei fenomeni di salinizzazione delle acque dolci. In Palestina la situazione è resa ancora più drammatica dal conflitto con Israele. L'occupazione militare di quello che resta della Palestina mandataria - meno del 22% - continua da decenni all'insegna della negazione dei diritti più elementari del popolo palestinese. Il tema dell'acqua non fa eccezione. L'aggressione israeliana al diritto del popolo palestinese a usare le proprie risorse idriche è uno degli strumenti più efficaci di oppressione politica e di discriminazione sociale. E questo accade all'insegna di una sistematica violazione delle Convenzioni internazionali e del diritto internazionale generale. Numerose relazioni presentate al convegno di Ramallah - la mia inclusa - hanno toccato in particolare quest'ultimo tema. Le violazioni riguardano anzitutto il ‟diritto sociale” dei cittadini palestinesi all'acqua potabile, un diritto che deriva dai documenti internazionali che tutelano la vita, la sicurezza sociale, la salute. Questi valori sono gravemente minacciati dall'imponente prelievo che Israele fa delle risorse idriche palestinesi, in particolare della falda acquifera occidentale della Cisgiordania e dalle pesanti limitazioni imposte alla popolazione palestinese. Le restrizioni sono state decise con ordinanze militari che hanno proibito ai palestinesi di costruire o possedere un impianto idrico senza un permesso dell'autorità militare (ora sostituita dalla società idrica Mekorot). Nel corso di decine di anni solo pochissimi permessi sono stati accordati ai palestinesi, e comunque i loro pozzi non devono andare oltre i 140 metri di profondità, mentre quelli israeliani possono raggiungere anche gli 800 metri. Sono state inoltre fissate delle quote di prelievo, sono stati espropriati pozzi e sorgenti di palestinesi assenti, si è fatto divieto di irrigare nelle ore pomeridiane, mentre la fatturazione dell'acqua penalizza la popolazione palestinese il cui tenore di vita è largamente inferiore a quello dei cittadini israeliani e dei coloni. Anche dal punto di vista della quantità d'acqua fornita ai coloni la disciplina introdotta dalle autorità israeliane discrimina nettamente la popolazione palestinese. Oggi nella West Bank solo il 5% dei terreni coltivati dai palestinesi è irrigato, mentre nelle aree coltivate dai coloni israeliani si raggiunge la quota del 70%. La conseguenza generale è che un israeliano consuma in media 370 metri cubi per anno, un colono fra i 640 e i 1.480 e un palestinese ne usa poco più di 100. Le violazioni riguardano anche il ‟diritto collettivo” del popolo palestinese all'uso delle proprie risorse idriche. Complessivamente l'85% dell'acqua palestinese oggi viene usata dagli israeliani, mentre ai palestinesi non è consentito di usare l'acqua del Giordano e dello Yarmouk. D'altra parte l'acqua del Giordano è inquinata perché Israele fa defluire acqua salata dall'area del Lago di Tiberiade nel basso Giordano. Inoltre il prelevamento di acqua dal Lago di Tiberiade per mezzo del National Water Carrier - la gigantesca conduttura idrica che si estende dal Giordano al deserto del Negev - ha ridotto notevolmente la portata del Giordano. È appena il caso di aggiungere che il diritto all'acqua del popolo palestinese oggi è ulteriormente violato dalla costruzione del Muro in Cisgiordania. Quando sarà ultimata la costruzione della sezione occidentale del Muro, il prodotto agricolo annuale della Cisgiordania diminuirà di circa il 20%, mentre diminuirà di circa il 40% quando anche la sezione orientale del Muro sarà completata. Questa sezione avrà inoltre l'effetto di separare la popolazione palestinese dalla valle del Giordano e dal Mar Morto, impedendole per sempre lo sfruttamento agricolo di queste potenziali risorse idriche.
Al convegno di Ramallah sono state avanzate alcune ipotesi di rivendicazione e di soddisfazione concreta del diritto all'acqua del popolo palestinese. La questione, prima che tecnica, è politica e strategica. É ovvio che il conflitto per l'acqua è solo un aspetto - anche se uno dei più rilevanti - del conflitto per la liberazione della Palestina. Non si risolve il problema dell'acqua se non si risolve, assieme, quello della costituzione di uno Stato palestinese, della sua piena indipendenza, integrità e continuità territoriale. Una ipotesi interessante e forse promettente è stata comunque avanzata: l'impostazione della questione palestinese come «questione mediterranea», sia in un senso generale, sia nel senso specifico del problema dell'acqua. Se continuerà il trend attuale, nell'arco di circa vent'anni ogni abitante del Nordafrica e del Medio Oriente avrà a disposizione l'80% di acqua in meno. Le risorse interne di acqua per ogni paese mediterraneo sono distribuite in modo molto disomogeneo tra il Nord (74%), l'Est (21%) e il Sud (5%). I paesi più ricchi di risorse d'acqua (Francia, Italia, Turchia, i paesi della ex Jugoslavia) dispongono di più dei due terzi delle risorse idriche dell'intera regione.
Su un totale di 25 paesi mediterranei, 8 di questi, con una popolazione complessiva di 115 milioni di abitanti, si trovano al di sotto della soglia considerata critica (1.000 metri cubi per abitante all'anno). In Giordania, Libia, Malta, Territori Palestinesi e Tunisia le risorse idriche sono già al di sotto della soglia considerata di povertà idrica (500 metri cubi per abitante all'anno). Sembra dunque evidente che la comunità dei popoli mediterranei è il primo soggetto internazionale che dovrebbe essere investito del problema del diritto all'acqua del popolo palestinese e tentare di impostarlo e di risolverlo nel quadro dei problemi idrici generali che riguardano l'intera regione. Il programma di cooperazione euro-mediterranea lanciato a Barcellona nel 1995, che associa 15 paesi europei e 12 paesi della riva sud ed est del Mediterraneo - Israele e l'Autorità nazionale palestinese compresi - sembrerebbe lo strumento più idoneo. Esso prevede che entro il 2010 l'area mediterranea divenga una zona di libero scambio, con l'obiettivo di promuoverne lo sviluppo economico, culturale e sociale (Euromed). In questo quadro il popolo palestinese potrebbe assumere l'iniziativa di una mobilitazione euro-mediterranea, coinvolgendo l'opinione pubblica e le energie civili presenti sulle sponde del Mediterraneo. E contrastando ogni tentativo di fare del Mediterraneo e del Medio Oriente un'area subordinata alle strategie egemoniche dell'impero atlantico.

Danilo Zolo

Danilo Zolo ha insegnato Filosofia del diritto e Filosofia del diritto internazionale nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze. È stato Visiting Fellow in numerose università inglesi e statunitensi e …