Luigi Manconi-Andrea Boraschi: Diritto d’asilo. L’Italia dà il peggio di sé

30 Maggio 2005
Un dispaccio Ansa del 24 maggio riporta le dichiarazioni del ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, in materia di diritto d'asilo: ‟Il 92% delle domande presentate dagli immigrati giunti nel nostro paese risultano false o infondate”. Insomma, meno di uno su dieci - secondo i dati del ministro - tra quanti varcano in qualche modo i nostri confini per chiedere asilo, lo fa con valide ragioni: ovvero proviene da paesi in cui gli venga impedito "l'effettivo esercizio delle libertà democratiche", così come recita il comma 3 dell'articolo 10 della Costituzione. Quello stesso giorno, il Consiglio Italiano per i Rifugiati presentava altri dati, nettamente diversi da quelli di fonte governativa. E, due giorni fa, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) comunicava che ‟tra le 7.921 persone le cui domande sono state respinte, 2.352 hanno ricevute forme sussidiarie di protezione internazionale”. E secondo Christopher Hein, direttore del Cir, 2.446 richiedenti asilo non hanno potuto avere un colloquio con la commissione incaricata di valutare il loro caso perché non hanno mai avuto notizia della convocazione.
In altre parole, addizionando i tre gruppi di richieste, risulta che oltre la metà di quanti richiedono asilo politico, lo fa a buon diritto; e parte di quanti restano esclusi dai provvedimenti viene ostacolato da una prassi burocratica bizantina, che prevede l'obbligo di reperibilità, nel periodo che trascorre tra la presentazione della domanda d'asilo e la risposta, salvo poi rendere inapplicabile quello stesso obbligo.
Ci sono, poi, alcune questioni che vale la pena ricordare. In primis, che l'Italia non dispone ancora di una legge organica sul diritto d'asilo, benché tutti gli organismi sovranazionali competenti (non ultima l'Unione europea) l'abbiano sollecitata a più riprese. In Parlamento è tutt'ora in discussione un testo che, sebbene contenga alcuni elementi normativi in sintonia con il dettato costituzionale, mostra alcune discutibili incongruenze. Ad esempio, riguardo alla possibilità di proporre un ricorso effettivo all'organo giurisdizionale contro il diniego di concessione dell'asilo: possibilità che dovrebbe consentire al richiedente di rimanere in Italia durante il tempo di attesa della decisione, scongiurando i rischi per la vita e l'incolumità del richiedente stesso. L'organo giurisdizionale dovrebbe avere, inoltre, la possibilità di ordinare il rilascio del permesso di soggiorno per richiesta d'asilo quale misura "cautelare"; e si dovrebbe mettere il richiedente in condizione di onorare l'obbligo di soggiorno attraverso un sistema di accoglienza in strutture adeguate; in ogni caso, la mancanza di posti disponibili per l'accoglienza non dovrebbe danneggiare la posizione legale del richiedente asilo. Inoltre, non appare giustificato il motivo per cui la persona che presenta spontaneamente la propria richiesta d'asilo alle autorità competenti, così come si evince dal testo approvato in Commissione, debba essere trattenuta in centri speciali e sottoposta a una procedura semplificata, che offre un livello inferiore di garanzie rispetto alla procedura ordinaria. La grande maggioranza dei rifugiati in Italia e in tutta Europa risultano privi (per ragioni piuttosto ovvie) di passaporto, di visto o altri requisiti per l'ingresso regolare. Ciò, tuttavia, non dovrebbe portare al sospetto generalizzato su un possibile uso strumentale di quel diritto.
Insomma, manca una legge adeguata e quella oggi in discussione non rispetta pienamente la Convenzione di Ginevra e lo stesso dettato costituzionale. In questo scenario, c'è da ricordare che l'Italia non ha ancora recepito la direttiva europea in materia di accoglienza (doveva farlo entro il 5 febbraio scorso); che la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha accolto il ricorso contro i "respingimenti di massa", effettuati da Lampedusa verso la Libia nel mese di marzo; che la "Bossi-Fini", nella parte che riguarda il diritto d'asilo, prevede il trattenimento dei richiedenti nei centri d'identificazione (senza bisogno di convalida) per un periodo massimo di 35 giorni: periodo entro il quale viene deciso, in tutta fretta, il loro destino, senza possibilità di sospendere un'eventuale espulsione attraverso il ricorso all'autorità giudiziaria. In questo quadro, sopra ogni altra cosa, c'è da ricordare che i rifugiati nel mondo sono oltre 17 milioni, che in Europa se ne contano circa 5 milioni e trecentomila e che l'Italia ne ospita 12.440 (sì, appena dodicimilaquattrocentoquaranta).
Detto questo, l'estate è alle porte. La politica sonnecchierà, il paese andrà in vacanza, i quotidiani e i rotocalchi si riempiranno di giochi da ombrellone e di pensosi dibattiti. E poco d'altro. In quel poco d'altro, fatalmente, ci sarà la cosiddetta "emergenza sbarchi" e, forse, qualche ennesima tragedia marittima ("un barcone di disperati al largo delle nostre coste..."). È un dato fisiologico, oramai. Come fisiologiche saranno le urla di chi paventerà un'Italia "a rischio invasione". Per anni, la maggioranza di governo ha ripetuto dati allarmanti, suggerito scenari apocalittici, salvo poi, in occasione delle elezioni, sbandierare cifre rassicuranti, che mostravano il calo degli sbarchi e il progressivo ridursi del fenomeno. Ma quella riduzione è, nonostante tutto, una tendenza in atto da tempo. E, con essa, emerge sempre più chiaro il profilo di chi tenta l'approdo, provenendo - spesso, spessissimo - da contesti di guerra civile, di persecuzione su base etnica, politica, religiosa, di genere. L'esito è una domanda - impellente e urgente e, tutto sommato, di ridotte dimensioni - di tutela dei diritti universali della persona. Per quanto tempo ancora opporremo un rifiuto?

Luigi Manconi

Luigi Manconi insegna Sociologia dei fenomeni politici presso l’Università IULM di Milano. È parlamentare e presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato. Tra i suoi libri …