Marina Forti: Tehran alle urne per un'elezione più incerta che mai
Favorito dai pronostici resta Akbar Hashemi Rafsanjani, già presidente per due mandati dall'89 al 97 e da allora capo del consiglio per il Discernimento delle scelte, organismo di giuristi islamici (una delle istituzioni non elettive della Repubblica islamica). Il 70enne mullah ha condotto una campagna attivissima, affidata a miriadi di giovani sostenitori e a star televisive, volantinaggi a tappeto. Rafsanjani è il candidato della ‟nuova” classe media, dei sostenitori di un settore privato (in un paese dove il 65% del'economia è statale), dei tecnocrati, o semplicemente dei moderati. Con grande tranquillità ha fatto affermazioni inaudite fino a qualche tempo fa: ha detto ad esempio che ‟criticare la Guida suprema non è un motivo per mettere in galera le persone”: l'insulto alla Guida suprema, massima autorità della Repubblica islamica, è il reato più spesso contestato ai giornalisti e dissidenti finiti in galera, a ondate, negli ultimi anni... La campagna di Rafsanjani però ha avuto un altro aspetto, diciamo mondiale: con una scelta accurata ha rilasciato interviste a pochi grandi media internazionali, statunitensi e britannici per lo più, si è presentato al mondo come colui che può garantire le intenzioni pacifiche dell'Iran - e agli iraniani come colui che può garantire al suo paese relazioni normali con il resto del mondo.
Non è affatto detto però che il favorito dei pronostici sia eletto al primo turno (serve il 50% più 1 dei voti), e tutti qui si preparano a una cosa mai accaduta: un ballottaggio. A contendersi il posto sono almeno due candidati. Figura emergente in campo conservatore è Mohammad Baqr Qalibaf, giovane ex capo della polizia ed ex comandante delle Guardie della rivoluzione, che vanta il favore della Guida suprema e ha condotto una campagna altrettanto pervasiva di quella di Rafsanjani - si dice anche che sia stata la più costosa, 19 milioni di dollari secondo indiscrezioni di giornalisti locali.
Negli ultimi giorni però sondaggi e ‟passaparola” concordano nel dare chances piuttosto a Mostafa Moeen, ex ministro nel governo di Khatami, il candidato del fronte riformista. A suo favore si sono pronunciate forze politiche fin qui al margine delle battaglie riformiste, come il Movimento per la libertà di un signore come Ebrahim Yazdi, già ministro degli esteri del primo governo seguito alla cacciata dello Shah e poi è stato emarginato. Sono scesi in campo esponenti della sinistra islamica come la signora Azam Taleghani. Artisti, intellettuali hanno fatto appello a votarlo. Si è mobilitata in extremis la comunità dei web-loggers, fino a pochi giorni fa assai tiepida. Perfino gli studenti, che avevano fatto campagna per l'astensione (‟non daremo legittimità al sistema con il nostro voto”) ora ci ripensano. Moeen ha viaggiato come una trottola nele province, ha raccolto il consenso delle minoranze kurda e araba (sunnita). Ha promesso a studenti, attivisti per i diritti umani e webloggers di difenderli con decisione, loro che sono nel mirino della magistratura. Ci dice Omid Memariam, uno tra i bloggers più noti: ‟Se i conservatori vincono, il gap tra lo stato e i cittadini sarà insormontabile”.
I giochi sono tutti aperti - e questo dice che l'Iran non è una perfetta democrazia ma neppure una perfetta dittatura. ‟Anche se non andremo al governo”, diceva nel suo ultimo comizio Mostafa Moeen, ‟avremo segnato che le riforme non sono morte”.