Danilo Zolo: Onu. Una debolezza nelle mani dei potenti
In questa situazione di grave crisi i progetti di riforma delle Nazioni unite coincidono sostanzialmente con il processo riformista avviato nel 2004 dal segretario generale Kofi Annan. Ma per ora il solo risultato raggiunto è il report dello high level panel nominato dal Segretario medesimo. Il documento, a parte le trivialità umanitarie di cui è infarcito, lascia intatta la struttura gerarchica delle Nazioni unite, salvo dispensare qualche minimo privilegio ad alcune potenze economiche o demografiche. Fatto ancora più grave il documento introduce nuove ipotesi di uso della forza da parte del Consiglio di sicurezza all'insegna della dottrina statunitense dell'humanitarian intervention e della guerra globale al terrorismo.
Non vanno dimenticate le iniziative non istituzionali, come quella del Forum Sociale Mondiale. In primavera si è svolto a Porto Alegre un meeting che ha messo a fuoco il tema specifico della riforma dell'Onu. L'obiettivo è di promuovere una loro trasformazione radicale che le renda, insieme, più forti e più democratiche. Le Nazioni unite dovrebbero essere trasformate in una sorta di governo mondiale, in grado di regolare i processi di globalizzazione secondo principi universali di giustizia e di pace.
Il tema della riforma delle istituzioni internazionali è di grandissimo rilievo. Ma le difficoltà sorgono quando si passa dalla critica dell'esistente e dalla rivendicazione di valori universali all'analisi delle situazioni di fatto. Un progetto anche minimo di democratizzazione delle Nazioni unite richiederebbe la soppressione della qualità di «membri permanenti» - titolari, per di più, del potere di veto - che alcune grandi potenze si sono dispoticamente attribuite dentro il Consiglio di sicurezza. E richiederebbe l'attribuzione all'Assemblea generale di funzioni dotate di cogenza normativa. Ma nessuno dovrebbe illudersi che le attuali grandi potenze siano disposte a prendere parte a processi decisionali e democratici - ove ciascun soggetto internazionale conti per uno -, se le decisioni riguardano questioni cruciali per gli equilibri strategici del pianeta. È impensabile, in particolare, che gli Stati uniti siano disposti a cedere anche una modestissima porzione dei privilegi di cui godono.
Un'ipotesi alternativa agli attuali progetti di riforma delle Nazioni unite andrebbe cercata in una direzione più radicale, ma nello stesso tempo meno ambiziosa. Messa da parte l'utopia - o meglio la ‟distopia” - del governo mondiale e della polizia internazionale, la ricerca dovrebbe spingersi nella direzione di una struttura pluralista e policentrica delle istituzioni internazionali. Occorrerebbe contrapporre al loro attuale assetto centralista e universalista l'idea di istituzioni regionali, anche geograficamente dislocate rispetto all'Occidente, con compiti più limitati di carattere assai più preventivo che repressivo. L'ipotesi sarà tanto più plausibile quanto più emergeranno nei prossimi anni potenze regionali in competizione con l'egemonia imperiale degli Stati uniti: la Cina, anzitutto, e forse, se gli europei ritroveranno l'uso della ragione politica, l'Europa unita.