Beppe Sebaste: Dopo Londra. Leccezione è la regola
Mi è venuto in mente seguendo gli ultimi eventi della guerra al terrorismo condotta dalle nostre democrazie - guerra che con le invasioni e i bombardamenti di Paesi sovrani ha avuto un esito tale che parrebbe fosse stata in realtà una guerra per il terrorismo. Il circolo vizioso, causa di una disperazione planetaria, lo si constata ovunque: vuoi nella ricerca più o meno esplicita di un nuovo Saddam Hussein per governare l'ingovernabilità di quel Paese martoriato, vuoi per il fatto che gli opposti fondamentalismi si alimentano vicendevolmente, come per anni gli opposti estremismi in Israele e Palestina. Il nuovo ultraconservatore presidente dell'Iran, già al servizio dell'ayatollah, non sfigurerebbe più di tanto alla corte di Bush, ancor meno tra i guerrafondai Padani. Guantanamo è esportabile in un qualunque totalitarismo, non solo islamico, e le crociate nostrane che sovrappongono religione, politica e diritti civili non stonerebbero in un regime talebano. La minaccia di questa indistizione fa paura quanto il terrorismo stesso. E quando l'altra sera al telegiornale ho sentito parlare di leggi speciali, anzi eccezionali, un brivido mi è sceso lungo la schiena, perché diminuisce la differenza tra i nemici delle democrazie e ‟noi”: cosa potrebbe sperare di meglio un Bin Laden della soppressione dei diritti e della vivacità democratica che caratterizza i nostri Paesi, e che fa appunto la «superiorità» di un paese come la Gran Bretagna? ‟Lo stato d'eccezione è la regola”, scrisse un disperato Walter Benjamin negli anni '30. Ma allora cosa ci resterebbe da vincere, di grazia, in una guerra al terrorismo ‟islamista”?