Massimo Mucchetti: Sea. Le troppe incognite della “privatizzazione”

13 Luglio 2005
Domani il consiglio comunale di Milano esamina la proposta di cessione del 34% della Sea, la società degli aeroporti di Malpensa e Linate. Come altre volte, il sindaco Gabriele Albertini giustifica l’operazione con l’esigenza di fare cassa per investire in opere pubbliche e rimborsare mutui onerosi. E così la vendita delle azioni Sea, in sonno da anni, diventa tanto urgente da non poter aspettare nemmeno l’approvazione del business plan, che l’amministratore delegato, Giuseppe Bencini, tiene nel cassetto in attesa dell’aumento di capitale dell’Alitalia previsto a settembre: senza certezze sul cliente che assicura metà del traffico, infatti, ogni piano è scritto sull’acqua. Questa fretta di rito ambrosiano, però, rischia di fare i gattini ciechi. Mancando di piani ufficiali, Bnp Paribas, l’advisor del Comune, può valutare l’azienda in base ai soli multipli delle pochissime transazioni paragonabili in Europa, e non anche ai flussi di cassa attesi. Il risultato è che il 34% di Sea viene valutato 600 milioni. Fosse portato in Borsa ai valori della Save, la società dell’Aeroporto di Venezia, lo stesso pacchetto ne potrebbe valere almeno 750. Ma c’è ben altro. Il Comune, che ha l’84,5% della Sea, vende il 34 per conservare, dice, la maggioranza assoluta. Dunque, al di là dei titoli dei giornali, non si tratta di una privatizzazione. Ma nel momento in cui cede oltre il terzo del capitale, il Comune è disposto ad avere un secondo azionista che costituisce minoranza di blocco nelle assemblee straordinarie. E, per evitare contrasti, assicura all’acquirente una proporzionale rappresentanza in consiglio attraverso patti parasociali, il che significa la codecisione su tante delicate materie. È questa prospettiva che solleva le maggiori perplessità. Punto primo, se domani il Comune collocherà in Borsa il restante 51% della Sea (ipotesi non strampalata, se governi e giunte di centrosinistra hanno privatizzato Fiumicino e Capodichino), il secondo azionista diventerebbe il primo e si troverebbe al comando senza aver pagato un premio di maggioranza. E potrebbe pure arrotondare del 3% all’anno la sua partecipazione senza incorrere nell’obbligo dell’Opa. Punto secondo, scegliendo l’asta basata sul prezzo, il Comune non si pone il problema di chi sia e quali piani abbia il suo partner. Un disinteresse curioso con tante azioni che restano in mano pubblica ancora da valorizzare. Punto terzo, oggi la Provincia di Milano, che possiede il 14,5% della Sea, non ha un seggio in consiglio di amministrazione e meno che mai ha patti parasociali con il socio dimaggioranza. Già penalizzata, questa partecipazione perderebbe ulteriore valore con il nuovo sindacato di voto tra Comune e socio o soci privati. Una doppia stranezza, se si considera che gli «azionisti» del Comune e della Provincia sono sempre gli stessi milanesi, e se si tiene presente che il valore prospettico della Sea dipende dal successo di Malpensa e questo, a sua volta, è legato al miglioramento dei collegamenti dello scalo intercontinentale con l’Italia a est di Bergamo, collegamento che ha la sua soluzione nell’autostrada Pedemontana, ancora tutta da costruire da parte di una società in cui la Provincia ha un peso azionario maggiore di quello del Comune. Infine, dovendo vendere parte di un monopolio pagato con i soldi dei milanesi (425 milioni a patrimonio netto) e dello Stato ( 374 milioni di contributi), sarebbe bello se la Sea desse compiuta notizia non solo del fatturato per settori di attività, ma anche dei margini relativi. E se il consiglio comunale avesse informazioni su chi ha comprato i terreni attorno a Malpensa, dove sembra sia molto attiva Schipol Real Estate, la società immobiliare dell’hub di Amsterdam.
(con la consulenza tecnica di Miraquota)

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …