Marina Forti: Il «treno della vita» riparte da Bam

23 Agosto 2005
Un bambino spinge un camioncino a rotelle, un giocattolo di cartone. Il bambino ha la faccia molto seria, intento al suo giocattolo. È su una strada sterrata, ghiaia scura: quando il campo si allarga mostra case in rovina, macerie appena ripulite. Sono i sobborghi di Bam, la città dell'Iran sud-orientale devastata dal terremoto nel dicembre 2003: hanno fatto il giro del mondo le immagini della storica cittadella di terra ormai rasa al suolo, di persone che frugano tra le macerie nella speranza di estrarne qualcuno ancora in vita, dei cimiteri allestiti in fretta per accomodare migliaia di vittime. Sullo schermo un volto grave di donna rievoca il terrore di quel mattino. Non è facile superare il trauma. Una parte importante dell'assistenza ai sopravvissuti del terremoto di Bam è proprio questo: aiutare le persone che hanno perso casa, persone care e tutto quel che formava la loro vita, a farsene una ragione. Ed è questo che racconta Life train, «il treno della vita», un video diretto da Firouzeh Khosrovani e prodotto da Croce Rossa italiana, Mezzaluna Rossa iraniana e Echo (l'agenzia umanitaria dell'Unione europea) per documentare il lavoro di «assistenza psicosociale» condotto a Bam dopo il terremoto, e concluso nel marzo 2005. Sistemati in tre container nel centro di Bam, otto psicologi (iraniani), appoggiati da personale della Croce Rossa italiana, hanno dato assistenza gratuita a tutti coloro che lo chiedevano: in 4 mesi si sono presentate 1.200 persone. Sono i volti che compaiono sul video: raccontano l'incredulità, a volte l'apatìa, la depressione. Sindromi di paranoia, il senso di colpa per non aver potuto salvare i propri cari... Appena soddisfatti i bisogni materiali più urgenti, ritrovato un tetto almeno provvisorio, i sopravvissuti cominciano a rendersi conto di cosa è successo: allora comincia quello che in linguaggio tecnico si chiama «disordine da stress post-traumatico». Il bambino con il suo camioncino giocattolo è il filo conduttore del video. I bambini sono forse più vulnerabili dei grandi: come spiegare loro che la casa non c'è più, crollata come un castello di carte? Con loro gli psicologi hanno usato la «terapia del gioco». Mattoncini di lego per costruire case che i bambini poi fanno crollare, marionette. Oppure disegni: sui fogli bianchi i bambini disegnano case, fiori, persone. Uno disegna un bambino: è il figlio del vicino, spiega. «Dov'è ora il tuo amichetto?», chiede l'assistente. «E' morto», risponde il bambino. Ma è un concetto difficile, la morte, per bambini di 5, 6 anni: difficile comprendere che la morte è irreversibile. Così gli psicologi provano con il gioco del treno: la vita è come un treno su cui sali quando nasci, ma quando poi scendi è per sempre (ecco il «treno della vita» dà il titolo al documentario). Ecco dunque bambini che disegnano parenti defunti, il nonno, il fratello, poi gli fanno un funerale simbolico. Oppure strappano i disegni appena fatti, a volte con gesti di rabbia e a volte ridendo, e li buttano in aria.
Il video mostra poi un villaggio di container, dove vivono le famiglie in attesa di ricostruire le proprie case. Container come abitazioni, container come negozi: la ricostruzione non è ancora decollata a Bam, i permessi edilizi arrivano a rilento. Per migliaia di persone resta una vita difficile, ma le difficoltà materiali sono solo una parte del problema. Rimettere insieme una ragione di vita è forse più arduo. Risulta così che tra gli adulti sono soprattutto donne quelle che cercano l'assistenza degli psicologi, sono le più schiacciate dalla difficoltà di ricostruire una normalità quotidiana. Risulta anche che gran parte degli utenti del centro hanno problemi di tossicodipendenza - era un fenomeno diffuso già prima del terremoto, in quella regione che si trova su una via di export dell'oppio afghano. Il video rende conto così di un aspetto forse meno evidente della «ricostruzione» a Bam, come ovunque ci sia stata una catastrofe naturale: la difficoltà di ricostruire la voglia di vivere in un'umanità traumatizzata.

Marina Forti

Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …