Ali Smith: London United. Quel che rimane

28 Settembre 2005
Credevo di star male... ha detto una delle donne ferite sull'autobus numero 30 di Londra dopo l'improvvisa esplosione a bordo della vettura. ‟Ho sentito qualcosa alla testa. Pensavo di avere un'emorragia cerebrale”. ‟Ho visto una luce intensa, accecante. Temevo di avere qualche disturbo agli occhi”. A poche settimane dal più grave attacco contro Londra dopo la seconda guerra mondiale, qualche ricordo e prime riflessioni mentre la catena di attentati non si ferma: intanto sulla percezione immediata di ciò che è successo. Le bombe esplose nel metro sono state le prime nei 142 anni della sua storia. E i superstiti sono riemersi in superficie dopo un lungo cammino attraverso le gallerie fuligginose, sventrate e cosparse di sangue, facendosi luce con i piccoli schermi dei loro telefonini. Un chirurgo, che aveva appena effettuato un'amputazione senza anestesia laggiù nel sottosuolo, alla luce della torcia di un pompiere, ha detto alla radio: ‟Non m'intendo molto di arte. Ma avete presenti i dipinti di Hieronimous Bosch?”.
Molti hanno spiegato, come la catastrofe sia stata vissuta di primo acchito alla stregua di un'esperienza solitaria: ‟Mi erano rimasti addosso dei pezzetti di autobus”, ha detto un uomo mentre usciva da un ospedale. Un altro ha mostrato la scheggia di vetro che si è trovata in tasca dopo l'esplosione. Le frasi ripetute più spesso dalla maggior parte delle persone che uscivano dalla metropolitana sono state: ‟Se non fossimo intervenuti in Iraq, questo non mi sarebbe successo” e ‟L'aiuto che ho ricevuto oggi dalla gente è stato straordinario”.
Ma è particolarmente interessante, ancora oggi, l'analisi delle dichiarazioni di Tony Blair. Nei suoi discorsi il premier ha usato spesso il termine preferito da Bush, ‟determinazione”, e in tutti i suoi messaggi ai media, ha ripetuto un'altra delle frasi e parole care al presidente americano: ‟Questa gente". ‟Questa gente”, in contrapposizione a ‟noi”. Ad esempio: ‟Noi sappiamo che la grande maggioranza dei musulmani è composta da gente perbene che rispetta la legge e aborre quanto noi questi atti di terrorismo”. Nel discorso televisivo da Downing Street ha usato proprio questa retorica: ‟Penso che tutti noi siamo consapevoli di quel che essi stanno cercando di ottenere: far strage di innocenti per intimorirci, per spaventarci e costringerci a non fare quel che vogliamo, per cercare di impedirci di vivere normalmente, com'è nel nostro diritto. Ma non ci riusciranno. Noi resteremo fedeli al nostro modo di vivere. Non ci divideremo e daremo prova della nostra determinazione. Dimostreremo, col nostro coraggio e la nostra dignità, e con quella forza tranquilla che è propria del popolo britannico, che i nostri valori prevarranno sui loro. Se cercano di intimidirci, non ci lasceremo intimorire, se cercano di costringerci a cambiare modo di vita con questi metodi, noi non lo cambieremo. Se cercano di dividerci o fiaccare la nostra determinazione, noi non ci divideremo e saremo ancor più determinati".
Proviamo ad analizzare questo messaggio. Secondo Blair, nel giorno degli attentati, essere inglesi significava riconoscere una profonda divisione culturale, fra ‟noi” e ‟loro”, una situazione in cui l'autentico carattere britannico, basato su valori solidi e duraturi, era minacciato da qualcun altro e da qualcos'altro. Questa tronfia retorica politica, fintamente ingenua, è rivelatrice dello spirito del tempo che dà forma ai discorsi attuali sull'unità e la divisione in Gran Bretagna. Robert Fisk, in uno dei suoi articoli sugli attentari, l'ha sapientemente rovesciata: ‟Quando ‘loro’ muoiono, questo è un danno collaterale, quando ‘noi’ moriamo, si tratta invece di barbaro terrorismo”. Si noti il contrasto, anche in considerazione del fatto che vi è una grande resistenza in Gran Bretagna alla retorica monologante di Blair, con questo passo del discorso pronunciato dal sindaco di Londra, Ken Livingstone, sempre subito dopo gli attentati: ‟Non si è trattato di un attacco terroristico contro i forti e i potenti. Non ha preso di mira presidenti o primi ministri, ma gente comune, lavoratori londinesi, neri e bianchi, musulmani e cristiani, indu ed ebrei, vecchi e giovani. È stato un tentativo indiscriminato di far strage, senza alcun riguardo ne considerazione per l'età, la classe d'appartenenza, la religione o quant'altro. Sappiamo qual è l'obiettivo. Cercano di dividere i londinesi. Come ho detto al Comitato olimpico internazionale, Londra è la più grande città del mondo perché tutti vivono fianco a fianco in armonia. E non si lascerà dividere da un vile attentato”.
Mi è stato chiesto se gli attacchi del 7 luglio (e gli attentati di due settimane dopo, e l'uccisione di un innocente nel metrò, da parte della polizia) uniranno Londra o la divideranno ulteriormente. Se inaspriranno l'atteggiamento verso le differenze etniche o renderanno invece le persone più sensibili. È una domanda che mi fa ripensare a ciò che scrisse George Orwell sugli inglesi in uno dei suoi saggi. In Gran Bretagna non potrà mai esservi una rivoluzione politica a causa della diffidenza, dell'ironico distacco che caratterizza la mentalità britannica e le impedirà sempre di invaghirsi di una mera ideologia a scapito di un atteggiamento più umano.
Nei giorni scorsi ho chiesto ad alcuni londinesi, via e-mail, se Londra si sarebbe unita o divisa. Queste sono state le risposte dei primi sette che ho interpellato.
Woodrow: ‟Londra non cambierà. Come non è cambiata dopo gli attacchi e le minacce dei terroristi irlandesi negli '70 e '80. Ci eravamo abituati”.
Sarah: "Sono uscita lunedì dalla stazione di King's Cross e mi è parso surreale vedere i cronisti anziche il pubblico. I poliziotti davanti all'ingresso transennato della metropolitana erano gentili. Quasi tutti quelli che sono venuti a Londra qualche volta hanno usato la Piccadìlly Line, che parte dall'aeroporto di Heathrow. Girando per la città ho visto i bus londinesi con gli stessi poster come quello che campeggiava sul numero 30 saltato in aria, con la scritta "Terrore mozzafiato... Avvincente e brillante", una pubblicità di un film di cassetta, The Descent. Questi autobus di solito sono pieni di gente. Ma la maggior parte delle persone andava a piedi. Più tardi ho cercano di attraversare Waterloo Bridge e l'ho trovato chiuso al traffico perché la polizia stava effettuando un'ispezione su un altro autobus. Mentre gli passavamo a fianco abbiamo notato che era stato transennato. Era consentito solo il "traffico pedonale", come aveva detto un poliziotto. Attraversando il ponte, senza auto, mi è tornata alla mente l'ultima volta che ci sono passata, con tante persone che camminavano lungo le sue corsie tutte in un'unica direzione. È stato durante una marcia della pace, quella contro la visita di Bush a Londra. Il Tamigi era lucente e la City risplendeva sotto i raggi del sole lungo le sue sponde. South Bank era affollata da bighelloni che si godevano la musica. La grande ruota del Millennio, accanto al fiume, compiva come al solito il suo ciclo, girando in modo quasi impercettibile”.
Helen: ‟È stato un atto di cieco egoismo. Uccidere e ferire dei londinesi e mettere paura a tutti gli altri. E questo proprio nell'anno del G8 dedicato all'Africa. Col risultato che adesso nessun musulmano in Inghilterra può girare a testa alta senza essere guardato con sospetto sugli aerei e sui treni della metropolitana”.
Helena: ‟Gli attentati saranno presi a pretesto dai governi per ridurre le libertà civili e giustificare nuove guerre contro i paesi arabi, per cui non sono ottimista. Sono poi preoccupata per i nostri vicini asiatici che vivono accanto a noi. C'è il rischio che vengano arrestati se si fa strada il sentimento di diffidenza nei confronti dei musulmani”. Cherry: ‟Ho provato un immenso amore per Londra e un impulso a proteggerla. Ieri ho preso un treno per Blackfriars Bridge e vedendo le bandiere a mezz'asta ho avuto la sensazione che la città fosse come una persona ferita. È vero quando dicono che sappiamo tener duro, ma è anche vero che, diversamente dall'attacco alle torri gemelle, questi attentati hanno colpito al cuore la nostra vita quotidiana e per me è impossibile vivere a Londra senza usare gli autobus e la metropolitana. Per cui o me ne vado o ricomincio tutto da capo. Volevo mettere un biglietto nel mazzo dei fiori che ho lasciato alla stazione di King's Cross. Avrei voluto scrivere: "Come possiamo smettere di essere degli occidentali?" . Sono cresciuta nell'Irlanda del Nord abituandomi al terrorismo come parte della vita d'ogni giorno e sapevo quali erano gli obiettivi dell'Ira. È frustrante invece, in questo caso, non sapere cosa vogliono: il ritiro delle truppe dall'Iraq è solo l'inizio”.
Shelley: ‟La cosa che più mi ha colpito è che tutti sono più buoni con gli altri a vicenda. Ero a Covent Garden il giorno dopo gli attentati e non ho incontrato persone aggressive o che pensassero solo a se stesse, ma solo gente più civile del solito. C'era una sensibilità verso gli altri che non ho mai riscontrato prima ed era un sentimento animato dalla rabbia e dal dolore. Forse durerà poco, ma è ben visibile. lo che sono un'ebrea nata in India, da nonni iracheni, sogno un mondo in cui tutti possano essere considerati semplicemente come degli esseri umani, senza essere giudicati in base alla nazionalità, al credo religioso o non religioso, al colore della pelle o al modo in cui vestiamo. Credo che gli attentati abbiano affratellato gente d'ogni estrazione e abbiano avuto l'effetto opposto a quello sperato da chi li ha compiuti. Non ci sono etichette da applicare né giudizi da esprimere, salvo per quelli che hanno commesso questo crimine”.
Stella: ‟Spero proprio che quel che è accaduto ci incoraggi a essere più favorevoli a una società multietnica. Il discorso di Livingstone è stato straordinario e credo che rispecchi il sentimento della maggior parte dei londinesi verso la loro città. Ovvero che a noi piaccia sentirci una popolazione composta da molti tipi, razze, religioni, classi, livelli di reddito. Questa mescolanza è una delle caratteristiche più belle di Londra. Penso però, che l'esperienza da noi vissuta sia poca cosa rispetto ai bombardamenti quotidiani cui gli iracheni debbono far fronte a causa delle nostre truppe e della costante minaccia rappresentata dai loro attentatori suicidi. Evitare ritorsioni è senz'altro una buona cosa, e forse l'esperienza che abbiamo vissuto ci spingerà ad essere più generosi verso le sofferenze degli altri. Nel suo libro, Un'isola di stranieri, Andrea Levy aveva compreso bene che, negli anni '50, il londinese medio era poco propenso ad accogliere gli immigranti dall'India, non per razzismo, ma soprattutto per incomprensione. Londra era allora talmente povera e distrutta, che l'idea che qualcuno potesse venire appariva strana. Ma questa città ha sempre attratto popolazioni straniere. E questo è uno dei suoi grandi aspetti positivi”.
Il sentimento prevalente?
‟È come se fosse capitato qualcosa a me personalmente". A poche settimane di distanza dagli attentati, che hanno stroncato la vita di 52 persone (d'ogni credo e nazionalità), Londra, una metropoli dove si parlano 300 lingue, è triste, intimorita, ancora un po' imbarazzata. Vive in un'atmosfera poco congeniale a questo luogo, un crogiolo straordinariamente vivace e disincantato, in cui si mescolano fedi, credenze, nazionalità, potenzialità, inclinazioni, piaceri, tendenze artistiche, politiche, intellettuali e attività d'ogni genere. Gli eventi del 7 luglio potrebbero dar vita a un nuovo sentimento comunitario, dove la dimensione personale è soltanto un miraggio momentaneo. Sarà comunque necessario uno sforzo di immaginazione per comprendere quel che in realtà è accaduto a tutti noi. Perche fino al 7 luglio, persino la vecchia Londra cosmopolita, smaliziata, dalle molte facce, restava, come qualsiasi altra parte del mondo occidentale, incapsulata, avulsa, ruotante su se stessa, proprio come la grande ruota del Millennio. Però, Londra è, in ogni sua manifestazione, una realtà comunitaria. Per sua intima natura, volterà sempre le spalle a qualsiasi forma di estremismo, politico o terroristico che sia. Questa è la sua incoercibile inclinazione.
E per concludere, riporterò interamente questo brano che mi ha inviato la scrittrice anglopachistana Kamila Shamsie, una voce che mi è del tutto consona. Poiché, come nel caso di questa città, nessuna voce è singolare: la voce umana è fatta di molte voci concordi, dissonanti, e in costante dialogo che, quando si fondono al meglio, scongiurano le divisioni: ‟È ancora troppo presto per sapere quale intfuenza avranno gli attentati sulla Gran Bretagna. Se venisse dimostrato che sono effettivamente opera di AI Qaeda, allora la domanda fondamentale sarebbe questa: si tratta di un attacco terroristico contro Londra o di un atto di aggressione degli estremisti islamici contro l'Occidente? Nella seconda ipotesi, temo che esso influenzerà i rapporti fra le diverse comunità di cui la Gran Bretagna si compone. Quando una città viene attaccata, vi sono due modi di reagire in sua difesa: uno è quello di introdurre nuove leggi che creino l'illusione di una maggior sicurezza; l'altro consiste invece nel cercare di rafforzare quegli aspetti che la rendono grande. E Londra è in effetti una grande città, proprio per queste ragioni, ma soprattutto per il suo pluralismo. Molti si aspettano una vivace reazione antislamica dopo gli attentati, ma Londra potrebbe riservarci delle sorprese". (traduzione di Mario Baccianini)

Ali Smith

Ali Smith è nata a Inverness, in Scozia, nel 1962 e vive a Cambridge. Con Free Love (1995; Feltrinelli, 2007) ha vinto il Saltire First Book Award. È autrice anche …

La cattura

La cattura

di Salvo Palazzolo, Maurizio de Lucia