Jean-Paul Fitoussi: Quale futuro attende la nostra collettività

04 Ottobre 2005
Il sistema attuale di Welfare è sotto assedio: e lo è da più parti. Un primo fronte di attacco dipende da fattori oggettivi. Il Welfare costa molto di più quando la popolazione invecchia, e dunque crescono le spese per le pensioni e le spese per la sanità. Un secondo fronte, anch´esso fondato su basi oggettive, dipende dal fatto che nelle società dove il tenore di vita aumenta, la domanda di sanità aumenta più che proporzionalmente, a causa del desiderio di aumentare la qualità di vita. Questi due problemi possono essere risolti da un aumento dei contributi. Perché se viviamo più a lungo, allora tutti sappiamo che c´è bisogno di pagare di più per non ritrovarci poveri quando invecchieremo. E le popolazioni non si oppongono a queste spese maggiori, perché sanno quello che avranno in cambio.
Ma qui sorge un ostacolo: una frazione della popolazione, quella più ricca, quella che non ha affatto bisogno di un sistema di Welfare, chiede che il sistema venga privatizzato, in un modo o in un altro. Vuole diminuire la componente di solidarietà e aumentare quella individuale. È un dibattito fra coloro che hanno certezza del futuro, perché sono ricchi o perché godono di posizioni stabili, e quelli che invece vivono nell´insicurezza. In qualche modo il vecchio conflitto di classe rivive oggi sotto questa forma, di conflitto tra interessi divergenti. Chi ha un destino favorevole, chi ha un futuro chiaro, non vuole sobbarcarsi il peso della collettività. In una società democratica i conflitti come questo sono normali: non è normale invece che la voce di quelli che nella vita sono riusciti a realizzarsi, una piccola minoranza, diciamo il 10 per cento della popolazione, venga ascoltata più della voce degli altri, che sono la grande maggioranza, oltre il 75 per cento della popolazione. In una democrazia normale questo non dovrebbe accadere, dal momento che sarebbero gli interessi maggioritari a dover essere soddisfatti.
Qui interviene tutt´altra questione, che incide sul problema del Welfare. L´ideologia europea, condivisa a destra come a sinistra, sostiene che il tasso di prelievo per l´assistenza è troppo alto e che conviene ridurlo. Tutti gli Stati europei, Italia, Francia, Germania, gli altri paesi, provano a seguire questa strada. Conseguenza naturale di questa ideologia è che il livello di protezione sociale diminuisce. A questo fattore ideologico, già molto pesante, si sommano le regole istituzionali, si potrebbe dire costituzionali, che l´Europa ha adottato. Regole che richiedono stabilità dei prezzi, aumento del grado di concorrenza e implicano che le sole politiche che hanno il favore, del "governo europeo" (chiamiamolo così), sono le cosiddette riforme strutturali. Che significa comprimere il costo del lavoro, diminuire la contribuzione, e dunque abbassare il livello della protezione. A ben guardare il sistema europeo com´è oggi, i governi nazionali non hanno strumenti a disposizione se non le riforma strutturali. Con l´euro e la Bce non dispongono più della politica del cambio, né della politica monetaria, e la politica di bilancio è molto limitata dal Patto di stabilità. Le sole politiche che i governi europei possono attuare sono le riforme strutturali e dunque le mettono in pratica. Ed è normale che agiscano così, altrimenti non avrebbero nulla da fare.
Ma i paesi europei soffrono di problemi gravi, innanzitutto di occupazione e di crescita, e sono convinti che ognuno deve cercare di aumentare la propria competitività a scapito degli altri, e così si crea una propensione alla competizione fiscale e sociale verso il basso. Anche se il beneficio che ne deriva è transitorio.
Tra le cause che ho elencato sono queste due, quella ideologica e quella istituzionale, a mettere maggiormente in pericolo il sistema di protezione sociale, non i fattori oggettivi. Il problema del costo si può affrontare: se la gente vuole più sanità, acconsente anche a pagare di più: è dimostrato che su questo fronte non esistono oggi problemi di consenso. Anche nel passato, i cittadini hanno sempre capito. Hanno sempre accettato, in tutta Europa, aumenti dei contributi per la sanità. Sono consapevoli che l´invecchiamento della popolazione necessita un aumento dei contributi per le pensioni, con qualsiasi sistema, sia a ripartizione o che sia a capitalizzazione, che bisogna pagare di più perché il periodo di pensione è molto più lungo. I problemi oggettivi non creano di per sé una dinamica verso la riduzione del Welfare. A mettere in crisi il Welfare sono le altre due dimensioni: la dimensione ideologica e la dimensione istituzionale dell´Europa che impedisce altre politiche.
Infine c´è un´ultima questione che contribuisce alla contrazione del Welfare State: il fatto che l´Europa abbia accettato ormai da più di vent´anni di convivere con una disoccupazione di massa, con un tasso di disoccupazione molto alto. Questo significa che i contribuenti al sistema sono diminuiti e che le spese sono cresciute, perché bisogna in qualche modo aiutare i disoccupati. Avere tollerato in modo persistente la disoccupazione di massa, dà l´illusione che il Welfare costi troppo, ma è la disoccupazione che costa molto, non il Welfare di per sé.
Allora che fare? La soluzione sta nell´adottare una politica di crescita e di piena occupazione. L´Europa è la sola regione del mondo che da più di venti anni è caratterizzata da una disoccupazione di massa, un fatto veramente particolare, che non è mai esistito altrove che in Europa. Occorre mettere fine a questa singolarità. Ma come, se i governi europei, abbiamo visto, si sono legati le mani nell´azione di politica economica? Dall´inizio della costruzione europea si sa che occorre un´autorità politica che abbia per obiettivi istituzionali la crescita e l´occupazione. Senza questa autorità, la crescita avverrà in altri paesi del mondo, ma mai in Europa stessa, che si è condannata a vivere del riflesso delle crescite altrui.
Si badi bene che un´autorità del genere non è un´innovazione enorme. Questa autorità si chiama governo. Ecco un´altra specificità dell´Europa, la sola regione del mondo che non ha un governo proprio, ma ha come modo di governo la competizione tra gli Stati.
(Testo raccolto da Leopoldo Fabiani)

Jean-Paul Fitoussi

Jean-Paul Fitoussi (1942) è professore all’Institut d’études politiques di Parigi e presidente dell’Ofce, l’Osservatorio francese delle congiunture economiche. Fa parte del consiglio di amministrazione di Telecom e del consiglio di …