Marina Forti: Kashmir. Una bomba contro il dialogo
‟È il nostro primo regalo al nuovo chief minister”, ha detto la voce al telefono. Ieri in effetti si è insediato a Srinagar un nuovo capo del governo in questo piccolo stato, per un accordo di avvicendamento tra i due partiti che coalizzati avevano vinto le elezioni nel 2002, le prime elezioni vagamente rappresentative in Kashmir da quasi vent'anni. Ieri dunque Gulam Nabi Azad, del partito del Congresso (lo stesso che guida il governo centrale a New Delhi), è succeduto a Sayeed del Partito democratico popolare (Pdp).
L'auto-bomba di Srinagar la dice lunga sulle difficoltà del processo di distensione avviato due anni fa tra le due potenze nucleari dell'Asia meridionale. Parte delle difficoltà sono emerse proprio con il terremoto dell'8 ottobre. Il sisma ha provocato grande distruzione soprattutto sul lato pakistano, e proprio ieri il governo di Islamabad ha rivisto la stima delle vittime: ora parla di 78mila morti. Nei soccorsi, sul lato pakistano, nel caos degli interventi ufficiali si sono distinte alcune organizzazioni della destra religiosa, e in particolare gruppi come la Jamaat ud-Dawa (un altro nome per Lashkar-e-Taiba) o la fondazione al-Rashid, che così hanno guadagnato una nuova legittimità tra i kashmiri. Questi gruppi vorranno subito capitalizzare: molti commentatori qui hanno visto le bombe di sabato scorso a New Delhi, che hanno fatto una settantina di morti, come un segno. Quanto al Kashmir indiano, il terremoto non ha portato tregua negli scontri tra le forze di sicurezza indiane e i ‟militants”, combattenti islamici o terroristi a seconda dei punti di vista: due settimane fa attentatori suicidi hanno ucciso un ministro del governo locale (ma pare che l'obiettivo fosse un suo vicino di casa, noto deputato comunista al parlamento locale), ieri l'auto-bomba.
L'avvio del dialogo tra i governo di New Delhi e Islamabad, nei primi mesi del 2004, aveva portato una drastica diminuzione della violenza politica in Kashmir. Erano cominciati i contatti ‟people to people”: c'erano stati scambi di visite tra delegazioni di giornalisti e di dirigenti politici, per la prima volta autorizzati da India e Pakistan a varcare la frontiera comune. Ma il processo di distensione tra India e Pakistan va a rilento. Anche il dialogo ‟interno” avviato da New Delhi con le forze politiche separatiste del Kashmir indiano è sul punto di fermarsi, tanto più che la ‟Conferenza Hurriyet”, il forum delle forze politiche, sociali e religiose del Kashmir, si è spaccata tra una fazione moderata, favorevole al dialogo, e una ‟oltranzista” guidata da tale Sayed Ali Shah Gilani, della Jamaat-e-Islami, sezione kashmira del più antico partito fondamentalista del subcontinante indiano. Hizb-ul-mojaheddin, un altro dei più noti gruppi armati in Kashmir (con retrovie in Pakistan), ora promuove la fazione di Gilani come suo ‟braccio politico”.
Visto dai villaggi sulla frontiera di fatto che taglia il Kashmir, la sfida è immensa. Ma si misura in termini molto pratici. Il primo risultato del dialogo qui è che sono finite le scaramucce tra l'esercito indiano e pakistano lungo la Linea di Controllo: spesso i colpi cadevano sui casolari. Aprire le frontiere sarebbe un altro passo concreto. Ma la strada per una soluzione del conflitto è ancora lunga, e ancora disseminata di auto-bomba.