Marina Forti: Terremoto nel Kashmir. Prove di distensione
04 Novembre 2005
Sono passati più di venti giorni dal terremoto che ha devastato una vasta zona del Pakistan settentrionale e del Kashmir, regione montagnosa divisa tra Pakistan e India. Ma solo ora i governi di Islamabad e di New Delhi sembrano giunti a un accordo per aprire alcuni varchi lungo la ‟Linea di controllo”, la frontiera di fatto tra il Kashmir sotto amministrazione pakistana e il territorio sotto sovranità indiana, e permettere il passaggio di persone, famiglie divise, e aiuti. L'accordo è stato annunciato domenica nella capitale pakistana Islamabad, dopo quattro round di negoziati tra delegazioni dei due governi. Gli abitanti delle valli del Kashmir ora devastate dal sisma potranno dunque varcare la frontiera in cinque punti autorizzati: il futuro è ancora d'obbligo, perché le due parti stanno ancora discutendo procedure e formalità e l'apertura dovrebbe diventare effettiva il 7 di novembre.
Finalmente un gesto di distensione lungo quella frontiera nata quasi 60 anni fa (era la linea di cessate il fuoco della prima guerra combattuta da India e Pakistan tra il 1947 e il '48, allora appena diventate nazioni indipendenti). Una frontiera che ha diviso intere famiglie, super militarizzata, teatro da allora di altre due guerre dichiarate tra India e Pakistan, una guerra non dichiarata, e un lungo conflitto strisciante per interposti movimenti guerriglieri. Ora quella frontiera, epicentro di un conflitto che dura da oltre mezzo secolo, è anche l'epicentro di un disastro naturale.
‟Entrambe le parti hanno giocato un braccio di ferro politico sull'apertura di quella frontiera”, commenta nella capitale indiana Praful Bidwai, commentatore e autore di libro sul riarmo nucleare nel subcontinente indiano. Basta guardare la geografia del Kashmir: il sisma ha fatto franare molte strade che risalgono le valli dal lato pakistano, lasciando isolati interi villaggi che sarebbero invece raggiungibili dal lato indiano. E però ‟gli orgogli nazionali e l'ossessione della segretezza da entrambe le parti hanno impedito di fare la cosa più ragionevole, lasciare che gli aiuti giungessero a chi ne aveva bisogno anche attraverso la Linea di Controllo”, dice Bidwai. Già: fin dai primissimi giorni di emergenza, dirigenti e politici kashmiri hanno lanciato appelli a permettere alle famiglie divise di incontrarsi. L'appello è stato subito ripreso dal presidente pakistano Parvez Musharraf - era ancora la metà di ottobre. L'India ha risposto con grandi dichiarazioni di disponibilità: anzi, qualche giorno dopo ha allestito ‟unilateralmente” tre centri di accoglienza lungo la frontiera, per fornire alla popolazione terremotata del lato pakistano soccorso e assistenza medica. Solo che i tre campi sono rimasti vuoti, perché nessuno dei due eserciti aveva autorizzato il passaggio. ‟E' un gioco vergognoso, in cui ciascuno ha lasciato intendere che era l'altro a mettere ostacoli”, ci dice Najam Sethi, direttore del giornale pakistano The Daily Times, incontrato giorni fa a Lahore, Pakistan.”Ma le sembra ragionevole che per sapere se i miei parenti a Srinagar erano sopravvissuti al terremoto ho dovuto telefonare ad amici comuni a Londra?”, ci diceva un esasperato giornalista di Muzaffarabad, capoluogo del Kashmir sotto amministrazione pakistana: in effetti anche le linee telefoniche sono interrotte da almeno quindici anni tra i due lati della Linea di Controllo - solo qualche giorno fa le autorità indiane hanno concesso la temporanea riapertura delle comunicazioni.
India e Pakistan ‟hanno avuto con il terremoto un'opportunità d'oro per compiere quei gesti che potevano costruire una iniziativa di pace duratura”, commenta un diplomatico indiano: ‟purtroppo non l'hanno usata”. Certo, l'India ha mandato in Pakistan un cargo aereo con qualche tonnellata di derrate, poi ha promesso di contribuire alla ricostruzione pakistana con 25 milioni di dollari. Nei primissimi giorni ha anche offerto degli elicotteri, di cui i soccorritori pakistani avevano dannatamente bisogno per raggiungere le località isolate dalle frane. Ma proprio lì è calato il gelo: il presidente pakistano Musharraf ha rifiutato l'offerta, citando motivi ‟di sicurezza” e questioni ‟militarmente delicate”. Gli elicotteri sì, i piloti no, aveva detto. L'India ha rifiutato di prestare gli elicotteri senza i piloti.
Il gesto di Musharraf è stato molto criticato in Pakistan. Perfino ex generali dell'esercito hanno fatto notare che la nozione di segretezza è ormai obsoleta, visto che con i sistemi di sorveglianza elettronica entrambe le parti sanno perfettamente cosa c'è al di là del confine - terreno, postazioni militari, infrastrutture. Forse accettare l'aiuto indiano sarebbe apparso un segno di ‟debolezza”? Certo è che l'India ha fatto cadere dall'alto le sue offerte d'aiuto al vicino disastrato, o per lo meno così è apparsa. Intanto a Islamabad e a Lahore sono comparsi grandi striscioni, negli ultimi giorni: ben stampati, tutti uguali, dicono ‟l'India deve lasciare il Kashmir”...Nonostante tutto, la Linea di controllo sarà finalmente aperta. Per le famiglie separate sarà la prima opportunità di riunirsi da quando il terremoto ha interrotto la strada tra Muzaffarabad e Srinagar, riaperta lo scorso aprile dopo 58 anni di gelo. Un primo passo, ‟importante soprattutto se, come pare, sarà un'apertura stabile e non solo per queste settimane di emergenza”, fa notare Praful Budwai a New Delhi. Una volta aperto un passaggio sarà difficile richiuderlo, argomenta Najam Sethi a Lahore. I varchi di frontiera, la corsa dell'autobus tra Muzaffarabad e Srinagar che riprenderà appena la strada sarà ripristinata, forse presto anche un collegamento ferroviario ‟sono elementi importanti”, riconosce il diplomatico indiano, anche se ‟sono ancora aperture fragili”, perché India e Pakistan continuano a girare attorno al nodo di fondo: quale assetto futuro per il Kashmir diviso? Tra gli esperti in relazioni internazionali in India si va facendo strada la ‟scuola” che vorrebbe trasformare la Linea di Controllo in una frontiera morbida (‟un po' come avete fatto in Europa con Schengen”, dice un alto funzionario dello stato a Delhi). All'inizio sembrava un'eresia, per due paesi che combattono da oltre mezzo secolo per il controllo di quelle vallate himalayane. Ieri il presidente pakistano Musharraf ha dichiarato a un giornale arabo che la ‟linea di controllo deve diventare irrilevante”. Questo sì che sarebbe un buon terremoto
Finalmente un gesto di distensione lungo quella frontiera nata quasi 60 anni fa (era la linea di cessate il fuoco della prima guerra combattuta da India e Pakistan tra il 1947 e il '48, allora appena diventate nazioni indipendenti). Una frontiera che ha diviso intere famiglie, super militarizzata, teatro da allora di altre due guerre dichiarate tra India e Pakistan, una guerra non dichiarata, e un lungo conflitto strisciante per interposti movimenti guerriglieri. Ora quella frontiera, epicentro di un conflitto che dura da oltre mezzo secolo, è anche l'epicentro di un disastro naturale.
‟Entrambe le parti hanno giocato un braccio di ferro politico sull'apertura di quella frontiera”, commenta nella capitale indiana Praful Bidwai, commentatore e autore di libro sul riarmo nucleare nel subcontinente indiano. Basta guardare la geografia del Kashmir: il sisma ha fatto franare molte strade che risalgono le valli dal lato pakistano, lasciando isolati interi villaggi che sarebbero invece raggiungibili dal lato indiano. E però ‟gli orgogli nazionali e l'ossessione della segretezza da entrambe le parti hanno impedito di fare la cosa più ragionevole, lasciare che gli aiuti giungessero a chi ne aveva bisogno anche attraverso la Linea di Controllo”, dice Bidwai. Già: fin dai primissimi giorni di emergenza, dirigenti e politici kashmiri hanno lanciato appelli a permettere alle famiglie divise di incontrarsi. L'appello è stato subito ripreso dal presidente pakistano Parvez Musharraf - era ancora la metà di ottobre. L'India ha risposto con grandi dichiarazioni di disponibilità: anzi, qualche giorno dopo ha allestito ‟unilateralmente” tre centri di accoglienza lungo la frontiera, per fornire alla popolazione terremotata del lato pakistano soccorso e assistenza medica. Solo che i tre campi sono rimasti vuoti, perché nessuno dei due eserciti aveva autorizzato il passaggio. ‟E' un gioco vergognoso, in cui ciascuno ha lasciato intendere che era l'altro a mettere ostacoli”, ci dice Najam Sethi, direttore del giornale pakistano The Daily Times, incontrato giorni fa a Lahore, Pakistan.”Ma le sembra ragionevole che per sapere se i miei parenti a Srinagar erano sopravvissuti al terremoto ho dovuto telefonare ad amici comuni a Londra?”, ci diceva un esasperato giornalista di Muzaffarabad, capoluogo del Kashmir sotto amministrazione pakistana: in effetti anche le linee telefoniche sono interrotte da almeno quindici anni tra i due lati della Linea di Controllo - solo qualche giorno fa le autorità indiane hanno concesso la temporanea riapertura delle comunicazioni.
India e Pakistan ‟hanno avuto con il terremoto un'opportunità d'oro per compiere quei gesti che potevano costruire una iniziativa di pace duratura”, commenta un diplomatico indiano: ‟purtroppo non l'hanno usata”. Certo, l'India ha mandato in Pakistan un cargo aereo con qualche tonnellata di derrate, poi ha promesso di contribuire alla ricostruzione pakistana con 25 milioni di dollari. Nei primissimi giorni ha anche offerto degli elicotteri, di cui i soccorritori pakistani avevano dannatamente bisogno per raggiungere le località isolate dalle frane. Ma proprio lì è calato il gelo: il presidente pakistano Musharraf ha rifiutato l'offerta, citando motivi ‟di sicurezza” e questioni ‟militarmente delicate”. Gli elicotteri sì, i piloti no, aveva detto. L'India ha rifiutato di prestare gli elicotteri senza i piloti.
Il gesto di Musharraf è stato molto criticato in Pakistan. Perfino ex generali dell'esercito hanno fatto notare che la nozione di segretezza è ormai obsoleta, visto che con i sistemi di sorveglianza elettronica entrambe le parti sanno perfettamente cosa c'è al di là del confine - terreno, postazioni militari, infrastrutture. Forse accettare l'aiuto indiano sarebbe apparso un segno di ‟debolezza”? Certo è che l'India ha fatto cadere dall'alto le sue offerte d'aiuto al vicino disastrato, o per lo meno così è apparsa. Intanto a Islamabad e a Lahore sono comparsi grandi striscioni, negli ultimi giorni: ben stampati, tutti uguali, dicono ‟l'India deve lasciare il Kashmir”...Nonostante tutto, la Linea di controllo sarà finalmente aperta. Per le famiglie separate sarà la prima opportunità di riunirsi da quando il terremoto ha interrotto la strada tra Muzaffarabad e Srinagar, riaperta lo scorso aprile dopo 58 anni di gelo. Un primo passo, ‟importante soprattutto se, come pare, sarà un'apertura stabile e non solo per queste settimane di emergenza”, fa notare Praful Budwai a New Delhi. Una volta aperto un passaggio sarà difficile richiuderlo, argomenta Najam Sethi a Lahore. I varchi di frontiera, la corsa dell'autobus tra Muzaffarabad e Srinagar che riprenderà appena la strada sarà ripristinata, forse presto anche un collegamento ferroviario ‟sono elementi importanti”, riconosce il diplomatico indiano, anche se ‟sono ancora aperture fragili”, perché India e Pakistan continuano a girare attorno al nodo di fondo: quale assetto futuro per il Kashmir diviso? Tra gli esperti in relazioni internazionali in India si va facendo strada la ‟scuola” che vorrebbe trasformare la Linea di Controllo in una frontiera morbida (‟un po' come avete fatto in Europa con Schengen”, dice un alto funzionario dello stato a Delhi). All'inizio sembrava un'eresia, per due paesi che combattono da oltre mezzo secolo per il controllo di quelle vallate himalayane. Ieri il presidente pakistano Musharraf ha dichiarato a un giornale arabo che la ‟linea di controllo deve diventare irrilevante”. Questo sì che sarebbe un buon terremoto
Marina Forti
Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …