Luigi Manconi: Italia. Il Ritratto dell’Incertezza

07 Novembre 2005
Quale fotografia dell’Italia viene fuori dai dati pubblicati dall’Annuario Istat relativo al 2004? Che biografia - e autobiografia - emerge? Consideriamo anche solo gli elementi più significativi.
Ossia quelli demografici: la rappresentazione dell’Italia che se ne ricava è quella di un Paese schizofrenico. Sia chiaro: ricorro a tale termine con benevolenza auto-assolutoria (la diagnosi riguarda, evidentemente, anche chi scrive e, ahinoi, anche chi legge) e con l’approssimazione del più elementare tra i manuali di psichiatria (che so? per un diploma presso la Scuola Radio Elettra di Torino o per una laurea al Cepu).
Ma schizofrenica è, nella neolingua che ci siamo dati, una società affetta da una sorta di dissociazione, che rimanda a qualcosa di simile a una scissione della personalità. Un Paese, potremmo dire, lacerato tra opposte tendenze e, non casualmente, depresso, che volenterosamente tenta di uscire dal ‟male oscuro”, ma in esso viene ricacciato da chi governa (è facile fare nomi e cognomi) il sistema politico-istituzionale. (Vorrà dire qualcosa il fatto che è aumentato il consumo di farmaci, soprattutto tra le donne, e - in particolare - il ricorso agli psicofarmaci?)
Consideriamo alcune cifre. Nel 2004 la popolazione italiana è aumentata di 574.130 unità (circa l’1%), ed è un saldo positivo che non si registrava dal 1992; e, nel corso dello stesso 2004, si è registrato il più alto numero di nati e il più basso numero di morti degli ultimi 12 anni.
Quell’incremento, secondo l’Istat, è dovuto, in buona misura, alle iscrizioni anagrafiche successive alla regolarizzazione degli stranieri presenti in Italia; e, in ogni caso, la crescita non porta a invertire il dato, assai negativo, dell’invecchiamento della popolazione, se è vero, com’è vero, che l’attuale rapporto è di oltre centotrenta anziani ogni cento ragazzi con età fino a 14 anni. E questo sembra confermare l’idea di una società in declino, comunque profondamente incerta e come chiusa (meglio: rannicchiata) in se stessa e nella propria crisi.
Ma ecco, imprevisto, l’elemento di maggiore novità.
Quell’incremento delle nascite di cui si diceva rimanda a un dato sorprendente che, se confermato nel prossimo futuro, segnalerebbe un’inversione di tendenza degna della massima attenzione. In Italia, secondo le più recenti stime del tasso di fecondità - il riferimento è sempre al 2004 - per ogni donna in età fertile nascono in media 1,33 figli.
È l’indice più alto registrato a partire dal 1995, quando quello stesso tasso - dopo una progressiva riduzione, iniziata nel 1965 - raggiunse il suo minimo storico (1,19 figli per donna).
Se si disaggrega quel dato, e lo si distribuisce lungo la cartina geografica del nostro Paese, emerge nitidamente che l’incremento delle nascite si registra soprattutto nelle regioni centro-settentrionali: nel Nord-est, l’incremento sul numero dei nati nel 2003 è del 6,3%, nel Nord-ovest del 5% e nell’Italia centrale del 5,3%.
A questo elemento di positivo dinamismo demografico e sociale, si accompagna un dato culturale che va considerato con attenzione: diminuisce significativamente il numero dei matrimoni e, in misura ancor più rilevante, il numero di quelli celebrati con rito religioso (erano oltre il 75% nel 2000, sono il 68% oggi).
È un dato estremamente significativo perché - separando l’attività di riproduzione dal riconoscimento giuridico (e religioso) dell’unione e della coppia - si mette in discussione quell’argomento polemico, cui la Chiesa cattolica ha fatto ricorso, così spesso, negli ultimi mesi e anni. Ovvero, il tema della crisi morale, che vedrebbe la famiglia dissolversi in una spirale di egoismo, dove dominerebbe - sola e incontrastata - la ‟legge del desiderio”. Le cose, palesemente, non stanno così: e anche l’Annuario dell’Istat sembra confermarlo. Torna, in qualche misura, una voglia di futuro, di proiezione verso altri da sé, di riproduzione nelle generazioni a venire.
Ciò può realizzarsi secondo modalità diverse e forme inedite, dove al senso di incertezza si può rispondere con stili di vita che si affidano alla mobilità, al cambiamento, all’informalità (e così può essere letta la riduzione del numero dei matrimoni): ma che non si negano alla speranza e all’investimento emotivo e affettivo, e altamente simbolico, che sempre un figlio comporta (a questo allude, forse, l'incremento delle nascite).
Ma, certo, siamo sul crinale: agli elementi positivi si intreccia una condizione di crescente stress e di precarietà diffusa. E di vera e propria ‟malinconia sociale”. Nel corso del 2004, la percentuale di italiani insoddisfatti ha superato significativamente quella degli anni precedenti. E così, a dichiararsi ‟per niente o poco soddisfatto” della propria situazione finanziaria, è oggi il 47,8% degli italiani, mentre era il 44,2% nel 2003 e il 40,4% nel 2002. Dunque, in appena tre anni, la percentuale di italiani che giudicano insoddisfacente la propria situazione è cresciuta di 7 punti.
E i discorsi, così spesso strumentali, sulla denatalità devono misurarsi con una dato ancora più eloquente: il giudizio delle famiglie sulla disponibilità di risorse economiche peggiora ulteriormente: rispetto al 2003, la quota di famiglie che considerano scarse o insufficienti quelle risorse, è passata dal 39,9% al 41,6%, mentre è diminuita dal 58,8% al 56,4% la percentuale di quelle che le giudicano ottime o adeguate.
Evidentemente, le famiglie italiane non si sono rese conto che tutto quell’ambaradan, giocato lì - nel cuore del sistema politico, nell’infinita diatriba tra Udc e il presidente del Consiglio - era interamente per loro. Per la Famiglia Italiana.
Mai tanto evocata, mai così depressa.

Luigi Manconi

Luigi Manconi insegna Sociologia dei fenomeni politici presso l’Università IULM di Milano. È parlamentare e presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato. Tra i suoi libri …