Marina Forti: Nigeria. Petrolio, gas, fiamme e diritti umani

12 Dicembre 2005
Un tribunale nigeriano ha sentenziato che la pratica di far bruciare i soffioni di gas in fiammate perenni viola i diritti umani delle popolazioni locali, e deve cessare. La sentenza, emessa il 14 novembre, è una piccola vittoria per un gruppo di villaggi dello stato di Delta (uno dei sei stati in cui è diviso l'immenso delta del fiume Niger) che avevano fatto causa nei confronti della Nigerian national petroleum corporation (Nncp), l'azienda petrolifera di stato, e della Royal Dutch Shell, una delle cinque compagnie petrolifere che operano nella regione in joint venture con l'azienda nigeriana. Sostenuti dal gruppo ambientalista nigeriano Environmental rights action, i villaggi di una comunità di etnia Iwerekan sostenevano che la pratica di bruciare il gas associato all'estrazione del greggio viola il loro diritto alla vita, alla dignità e a un ambiente salubre. E il tribunale ha infine dato loro ragione. Le fiammate di gas sono un grave problema nel delta del Niger, la regione di acquitrini e lagune da cui la Nigeria estrae gran parte del suo petrolio. La Nigeria produce circa 2,1 milioni di barili di greggio al giorno, di cui 1,9 milioni sono esportati (e fanno il 90% del reddito da export del paese). Per decenni l'estrazione di petrolio è stata accompagnata da sversamenti e perdite di greggio, bitume disseminato nelle lagune da impianti e oleodotti difettosi e maltenuti. La popolazione del delta ha tratto ben poco beneficio dal petrolio, una enorme ricchezza che però va a solo beneficio di una piccola élite nazionale (e delle compagnie straniere): nel delta resta ben poco. A parte l'inquinamento, che in certe zone ha fatto terra bruciata. A questo si aggiungono i soffioni: il delta custodisce grandi giacimenti di gas naturale, ma per mancanza di infrastrutture per usarlo, per almeno tre quarti viene bruciato in fiammate perenni che inquinano l'aria di Lagos e di tutto il delta. Gigantesche fiamme arancioni, tra lagune e mangrovie, villaggi e campi.
‟E' una cosa che continua, per 24 ore al giorno, tutti i giorni di ogni anno. Provoca esplosioni, un rumore costante e grande calore”, spiega (all'agenzia Reuter) Nnimmo Bassey, direttore del Environmental rights action: ‟Molti qui non hanno mai un momento di quiete e una notte scura a causa di queste fiammate”.
Secondo Friends of the Earth international, in Nigeria brucia così una quantità di gas senza pari in nessun altro paese al mondo, e produce emissioni di gas serra superiori a ogni altra fonte in tutta l'Africa sub-sahariana. Le fiammate sono un costante rischio per la salute collettiva, i disturbi respiratori come l'asma sono rampanti nella regione del delta. L'inquinamento poi ha le sue ricadute sul benessere generale, perché i raccolti sono ridotti (e a causa dell'inquinamento da bitume anche la pesca è in declino).
Il problema è noto e riconosciuto, e infatti il governo nigeriano si era posto qualche anno fa l'obiettivo di mettere fine alle fiammate di gas entro il 2008, incoraggiando le aziende a usare il gas per esportarlo e per produrre energia al'interno del paese. Le compagnie petrolifere hanno cominciato a elaborare progetti di sviluppo per usare quel gas. Ma per ora poco è cambiato, anzi: la Shell qualche mese fa aveva annunciato che non sarà in grado di rispettare la data del 2008, e le fiammate presso i suoi impianti di estrazione continueranno almeno fino all'anno successivo.
Ora però c'è la sentenza del tribunale, che è rivolta al governo oltre che alle aziende petrolifere. ‟Gli chiediano di metere fine (alle fiammate) per prima di quella data. Questa sentenza ha posto una richiesta precisa al governo e alle aziende, e vogliamo sperare che la rispetteranno”, ha detto Bassey. Nessun commento è venuto nell'immediato dalla Shell, né dall'azienda nigeriana.

Marina Forti

Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …