Beppe Sebaste: Virtuale, come un treno a Matera

19 Dicembre 2005
A favore della tesi (cara a Baudrillard) secondo cui la realtà è ormai solo virtuale, contribuisce molto la politica intrecciata al business (che virtuale lo è per definizione). In un'intervista sull’Unipol, Pierluigi Bersani ha detto che ‟non è certo con l'intermediazione finanziaria che si rilancia l'Italia”. Quanto alla ‟bicamerale della finanza”, l’Hopa del furbetto Emilio Gnutti, ‟è un club autonomo dalla politica, c’è solo business”. Virtuali sono le banche, di cui il libro di Oddo e Pons, L'intrigo. Banche e risparmiatori nell'era Fazio, descrive la sfrontatezza: ‟più che un cliente da servire, il risparmiatore è un limone da spremere per far sì che il sistema creditizio riesca a chiudere i bilanci in bellezza”. E qual è il senso di una banca piccola che compra una banca molto più grande, se non la potenza del virtuale? Il valore è virtuale, il capitale è virtuale. Per non dire le opportunità che il potere esercita oggi sotto le specie del virtuale. Anche senza rileggere Marx, come ha scritto Susanna Ripamonti (‟l'Unità” 16/12), ‟le banche sono strumenti di potere e di consenso come i giornali”. Virtuale è anche Trenitalia, che in uno spot pubblicitario cita la stazione di Matera anche se a Matera la stazione non esiste. Virtuale è di sicuro la Tav in Val di Susa, e il presunto traffico di merci che la giustifica. Forse anche la sensazione diffusa che la sinistra spesso rinunci a rivendicare la propria differenza di natura dalla finanza, più che a un’eclissi dell’etica o di una sobrietà berlingueriana, dipende dalla supremazia del virtuale, inteso come trasmutazione dei valori (variante del nichilismo?). Tra i diversi frutti del monopolio del virtuale metterei il craxismo, la new economy, la speculazione in Borsa, il crack della Parmalat (Tanzi era campione della finanza virtuale) e soprattutto il berlusconismo in tutte le sue salse, di destra & di sinistra (entrambi virtuali). Forse perfino Wanna Marchi. Anche la droga è virtuale. Questo è un articolo di cultura. Nasce dalla convinzione che, soprattutto nell’era del ‟capitalismo culturale” (J. Rifkin), certi fenomeni epocali come il declino dell’industria e la finanziarizzazione dell’economia e della politica vadano affrontati con le armi della cultura e dell'educazione, così come ogni altra ‟perdita di senso”.

Beppe Sebaste

Beppe Sebaste (Parma, 1959) è conoscitore di Rousseau e dello spirito elvetico, anche per la sua attività di ricerca nelle università di Ginevra e Losanna. Con Feltrinelli ha pubblicato Café …