Gabriele Romagnoli: Arte, religione o moda, così si vive senza parole

16 Gennaio 2006
Da mesi, a centinaia ogni giorno, i tedeschi si mettono in fila per vedere, ma soprattutto ascoltare il film Il grande silenzio. E alla vigilia di Natale il loro connazionale divenuto papa ha esortato: ‟Lasciamoci contagiare del silenzio”. Nell’accelerata indagine sul presente condotta dai media due indizi bastano a fare una prova e dunque: esplode la voglia di silenzio.

Quindici monaci certosini sono davvero un modello di comportamento a cui aspira un numero crescente di persone o il loro esempio non può che restare confinato nello spazio (tuttavia considerevole) delle tre ore di film? Gli adoratori del silenzio hanno fatto storia e letteratura. Per scrivere il libro Nei deserti lo scrittore Sven Lindqvist si isola in una stanza lontana dalla civiltà (‟Qui vivrei senza essere disturbato dalle complicazioni umane, senza amore, ma anche senza dolore, godendo della monotonia e del silenzio del deserto”) e ripercorre il cammino che allontana André Gide e Pierre Loti, Eugène Fromentin e Isabelle Eberhardt.
Ma gli scrittori non sono monaci, nelle loro mani il silenzio diventa uno strumento da cui ricavare parole e progetti fragorosi: ‟Essere soli, liberi dai bisogni, ignorati, stranieri, andare solitari e grandi alla conquista del mondo”. Altrettanto poco credibili sono i cantori, come il gruppo musicale "Silence", autore della canzone ‟Parole colme di silenzio”, il cui ritornello è: ‟Sentendo il silenzio di questo cuore/ saprai che il mio amore non muore mai”. O, inevitabilmente, i guru, tipo Mark Mc Closkey, teorico assoluto e vagamente assolutista del "silenzio puro", come spiega non praticandolo, ma vendendo l’apposito cd. E di un passaparola ha pur avuto bisogno l’ormai decennale iniziativa di una lega studentesca americana che proclama ‟il giorno del silenzio” (per non tacerne: sarà il 24 aprile prossimo).
Più affidabili sono militi ignoti del silenzio che, senza una parola, s’incamminano verso la loro bolla per destinazione. Ho visto una casupola di legno nel cuore del Sinai. La guida egiziana spiegava: ‟Ci vive una donna”. E chi è? ‟Non l’ha mai detto”. Nel monastero di Mar Moussa, in Siria, la dozzina di persone che ogni giorno vengono ospitate in cambio di aiuto nelle faccende domestiche sembrava aver fretta di esaurire i convenevoli della conversazione, del pasto e della preghiera per arrivare alla vera meta del viaggio: il silenzio che seguiva. Nella Valle dei Santi, in Libano, un eremita sudamericano riceve pochi e scelti visitatori a patto che non dicano e non domandino. Non sa quanto e con quale strepito parlano di lui le donne dell’alta e cristiana società di Beirut.
Il silenzio è una difficile vocazione. Nel documentario del regista tedesco a un certo punto uno dei monaci lo infrange scegliendo come interlocutore, comprensibilmente, un gatto. E la viaggiatrice Carla Perrotti, autrice di Silenzi di sabbia, ha confessato: ‟Parlo con il deserto, gli racconto le mie emozioni”.
Ma è, anche, quello del silenzio, un dono? ‟Sì, siamo felici”, dice uno dei certosini chiudendo, con una frase, il film. Isabelle Eberhardt, prima di morire a 27 anni per un anomalo diluvio nel deserto in cui si era ritirata, scrisse: ‟La felicità non la si cerca, la si incontra: viaggia sempre nella direzione opposta”.
C’è una forzatura quasi retorica nell’andare a cercare il silenzio nei luoghi che lo contengono. Esiste, come titolava Matisse uno dei suoi terminali quadri, ‟il silenzio abitato delle case”. E, come sosteneva Harold Brodkey morente a New York, ‟si può essere stanchi del mondo, stanchi dei re della preghiera e dei re della poesia, ma la realtà in sé continua a essere molto preziosa”. Oggi il re del silenzio, l’antidoto al rumore di fondo, il punto alla fine di troppe parole inutili non è un trappista arroccato in un solaio della storia, ma un ragazzo che attraversa una metropoli guardandosi intorno, avendo nelle orecchie le cuffie di un I-Pod che non trasmette assolutamente nulla.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …