Gabriele Romagnoli: Il paniere parallelo di “Mario Precario”

07 Marzo 2006
Gli avevano promesso una vita con le bollicine. Libera e bella e (soprattutto) flessibile. Qualcosa di trendy, a occuparsi di marketing, fra tradizione e new economy. Fin qui ha scoperto che uno dei segreti per campare è l’eliminazione della centrifuga dal programma della lavatrice. Portare le camicie al lavasecco è escluso perché non rientra nel budget. L’asse da stiro non entra nel monolocale. Senza centrifuga escono zuppe, ma non sgualcite. Le infila nella gruccia, le appende nel piatto doccia del minuscolo bagno e voilà: portando la giacca abbottonata domani farà un’ottima figura in ufficio. Ha una laurea in scienza della comunicazione, con una tesi sulla promozione delle mostre d’arte. è diventato un esponente dell’arte di arrangiarsi, il rappresentante involontario della "low cost generation". Dal sogno al bisogno passando per lo stage retribuito con i buoni pasto: una camminata sul filo in cui la rete di salvataggio è la carta di credito del papà contadino che vive al Sud. Per rispettare la sua richiesta di privacy lo chiamerò Mario Precario, utilizzando il nome di un personaggio inventato dai graffitari, ospite fisso dei muri intorno alle università, derivato dell’ironia che fa da antidoto alla delusione. Ha ventotto anni, si è laureato da tre. Viene da un piccolo paese della Calabria dove ha lasciato i genitori, due sorelle e un nonno saggio e dove torna appena trova, oltre a qualche giorno di ferie, una buona offerta di Trenitalia. È venuto a Roma per studiare, poi ha fatto il servizio civile, appena in tempo per assistere all’abolizione della leva obbligatoria. A quel punto si è affacciato sul mercato del lavoro e ha visto il vuoto sotto i suoi piedi. Ha chiuso il corso di studi con un onorevole 107 su 110, discusso una tesi originale, ha una buona cultura generale, interessi non banali. È sveglio e (per quel che conta) perfino gentile. Tutto quel che gli hanno offerto è stato uno stage mal retribuito di mesi tre. Fuori sede. Ha accettato. Dalla Calabria, il padre ha sostenuto. Poi si è fatta avanti un’altra società, proponendo altri tre mesi, ma in prova. Pagato con i buoni pasto. Secondo sì, previa seconda telefonata in Calabria. È eguita assunzione, ma a tempo. Contratto semestrale, rinnovabile. Fin qui prorogato tre volte, senza mai ridiscutere le condizioni. Reddito netto: mille euro al mese. Come campa Mario Precario? È un problema aritmetico, ma anche psicologico. Questione di cifre e di rimozione dei desideri. Facciamo i conti. L’affitto si porta via più di metà delle risorse: 550 euro per un monolocale. E può considerarsi fortunato, l’ha trovato appena ristrutturato e completamente arredato (cucina armadio, letto singolo, scaffali, televisione), grazie alla soffiata di un portiere peruviano. Manca solo il telefono fisso, ma a quello avrebbe rinunciato comunque per non sostenere le spese di attivazione. Tanto c’è il cellulare. Nel bilancio di Mario Precario rappresenta la seconda voce costante: cinquanta euro al mese. L’apparecchio è il più semplice in circolazione. La scheda è un vero pezzo d’antiquariato: una Tim rossa. L’ha ereditata dal padre, in commercio non si trova più. Consente un piano tariffario desueto perché troppo favorevole per il consumatore: costi bassi dopo le 20 e 30, infimi dopo le 22 e 30 quando la linea Roma-Catanzaro si distende. La compagnia telefonica gli scrive una lettera al mese cercando di convincerlo a mollare l’osso. Gli propone agevolazioni per passare a una tariffa diversa, ma lui non ci casca, resta fedele alla Tim rossa come a un privilegio.
Autobus invece di scooter.
Fatte le telefonate, gli restano quattrocento euro al mese. La sussistenza l’affronta essenzialmente con i buoni pasto. Con ciascuno riesce a fare anche due pranzi nella rosticceria sotto l’ufficio. Questo spiega la persistenza dei problemi dermatologici giovanili nei trentenni. Usa i buoni pure per la spesa al supermercato. Frutta e verdura al mercatino rionale, dove costa meno. Tra cinquanta e cento euro al mese gli bastano. Ha imparato a cucinare. Si lava i piatti. Per i trasporti usa i mezzi pubblici, sostiene che a Roma gli autobus "ci sono sempre e vanno dappertutto". Lo scooter è escluso non tanto dal costo di acquisto, quanto da quello della manutenzione, assicurazione in testa. L’abbigliamento non è un grosso problema. Ha imparato a non comprare mai sulla spinta della necessità. Acquista quando vede l’occasione. Se trova un paio di buone scarpe da tennis per 30 euro ("oltre i cinquanta sarebbe immorale") le prende e le mette da parte: il loro tempo verrà. Legge tra sei e otto libri l’anno. Il giornale, dal lunedì al venerdì, nella mazzetta dell’ufficio. Nel fine settimana non sente "il bisogno di cattive notizie". Lo stesso per Internet: si collega dal posto di lavoro. Tiene una finestra sempre aperta per le e-mail. Durante il giorno è così che comunica con gli amici e organizza la serata. Dopo: via sms. Quali sono le voci varie ed eventuali del "paniere di Mario Precario"? Quali le scelte di consumo e di vita che lo identificano? Lui ha una parola sola: "Cultura". Va al cinema (ma di mercoledì, quando costa 4 euro invece di 7). A teatro (una volta al mese). Ai concerti, ma "per fortuna" ha gusti di nicchia e al botteghino dei suoi preferiti il biglietto è meno caro. Perfino alla voce "lussi", la prima delle tre eccezioni alla regola del vivere "low cost" ha a che fare con lo spettacolo: ha acquistato il dvd con la versione restaurata della Dolce Vita di Fellini. Per 32 euro ("Pentito?" "no"). La cosa notevole è che il lettore di dvd l’ha pagato 31 euro, uno in meno. Gli altri due lussi sono collegati alla necessità di "presentarsi in un certo modo al lavoro". Per il vestito in fresco di lana ha investito 178 euro, prezzo spuntato grazie ai "due bottoni" che nessuno voleva più e che hanno spinto un negozio del centro a metterlo in super-saldo. Poi 131 euro per le scarpe, quasi quanto l’abito, "ma sono Campanile". Il muro del sogno sorge lì. Oltre quella barriera si può guardare, ma non toccare. Là dove Mario Precario non arriva esiste, ad esempio, la telecamera Jvc da 996 euro. Non uno di meno. Sa a memoria marche e prezzi. Ha un catalogo in testa. La sua vita ha più di un prezzo

Perfino qualche risparmio
Ma le voluttà trendy, gli oggetti feticcio? Voglio dire: l’I Pod? "No, grazie. Quando cammino, quando prendo l’autobus, preferisco ascoltare i discorsi della gente, sono una colonna sonora fantastica". E i viaggi all’estero con le compagnie low cost? "Una volta, prenotando con Internet dall’ufficio, pagando con i numeri della Visa di mio padre". Ci siamo incontrati alle dieci e mezza del mattino. Abbiamo camminato per oltre due ore. Mario Precario mi ha fatto vedere il ristorante di pesce dove mangia primo e secondo ("è sugli antipasti che ti fregano") pagando meno che per pizza & birra, il fornaio che gli tiene da parte il pane, lo sportello bancomat dove ricarica il cellulare (50 euro in una botta unica per ridurre l’incidenza delle tasse). Qui è venuto fuori che sul conto riesce anche a mettere dei risparmi: fino a duecento euro al mese. In effetti, con un caffè abbiamo fatto sei chilometri. È tempo di sedersi su una panchina di villa Torlonia e fare il punto. Di archiviare il passato e perfino il presente. Di chiedersi, come a un convegno dal titolo poco fantasioso: "Mario Precario: quale futuro?". Allarga le braccia: "Non è che io non mi dia degli obiettivi. Per esempio, mi sono detto che il prossimo rinnovo del contratto semestrale sarà l’ultimo. Vedi, quel che mi angoscia non è la questione dei soldi, è quella delle prospettive. Che carriera potrei mai avere in questa società, con questa posizione? Temo nessuna. Ma se torno sul mercato ho già capito che quel che mi tocca ripassare è un altro stage con i buoni pasto e la telefonata a papà. A volte ci mettiamo intorno a un tavolo, io e quelli che hanno studiato con me. E fantastichiamo di metterci in proprio, fondare una società di servizi. Poi ci rendiamo conto che sarebbe un’altra delle illusioni che ci hanno rifilato e rinunciamo. Intanto arrivano i trent’anni". E nessuno mette su famiglia. "No. Che poi non lo so se è perché uno non se lo può permettere o se con questo si trova l’alibi. Mio nonno mica ci è stato tanto a pensare. Non aveva soldi eppure ce l’ha fatta. E mio padre pure. E ha fatto studiare me. E ci è rimasto male quando le mie sorelle non hanno voluto studiare anche loro. Poi non è che quelli della mia generazione non ne avrebbero voglia. Quelli sono i quarantenni, tutti scoppiati, tutti appresso alle feste come avessero sempre sedici anni. Noi, secondo me, avremmo anche desiderio di stabilità, paternità perfino". Sai quanto costano i pannolini? "Ho visto che c’è un’offerta".

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …