Gabriele Romagnoli: Il paniere parallelo di Mario Precario
Autobus invece di scooter.
Fatte le telefonate, gli restano quattrocento euro al mese. La sussistenza l’affronta essenzialmente con i buoni pasto. Con ciascuno riesce a fare anche due pranzi nella rosticceria sotto l’ufficio. Questo spiega la persistenza dei problemi dermatologici giovanili nei trentenni. Usa i buoni pure per la spesa al supermercato. Frutta e verdura al mercatino rionale, dove costa meno. Tra cinquanta e cento euro al mese gli bastano. Ha imparato a cucinare. Si lava i piatti. Per i trasporti usa i mezzi pubblici, sostiene che a Roma gli autobus "ci sono sempre e vanno dappertutto". Lo scooter è escluso non tanto dal costo di acquisto, quanto da quello della manutenzione, assicurazione in testa. L’abbigliamento non è un grosso problema. Ha imparato a non comprare mai sulla spinta della necessità. Acquista quando vede l’occasione. Se trova un paio di buone scarpe da tennis per 30 euro ("oltre i cinquanta sarebbe immorale") le prende e le mette da parte: il loro tempo verrà. Legge tra sei e otto libri l’anno. Il giornale, dal lunedì al venerdì, nella mazzetta dell’ufficio. Nel fine settimana non sente "il bisogno di cattive notizie". Lo stesso per Internet: si collega dal posto di lavoro. Tiene una finestra sempre aperta per le e-mail. Durante il giorno è così che comunica con gli amici e organizza la serata. Dopo: via sms. Quali sono le voci varie ed eventuali del "paniere di Mario Precario"? Quali le scelte di consumo e di vita che lo identificano? Lui ha una parola sola: "Cultura". Va al cinema (ma di mercoledì, quando costa 4 euro invece di 7). A teatro (una volta al mese). Ai concerti, ma "per fortuna" ha gusti di nicchia e al botteghino dei suoi preferiti il biglietto è meno caro. Perfino alla voce "lussi", la prima delle tre eccezioni alla regola del vivere "low cost" ha a che fare con lo spettacolo: ha acquistato il dvd con la versione restaurata della Dolce Vita di Fellini. Per 32 euro ("Pentito?" "no"). La cosa notevole è che il lettore di dvd l’ha pagato 31 euro, uno in meno. Gli altri due lussi sono collegati alla necessità di "presentarsi in un certo modo al lavoro". Per il vestito in fresco di lana ha investito 178 euro, prezzo spuntato grazie ai "due bottoni" che nessuno voleva più e che hanno spinto un negozio del centro a metterlo in super-saldo. Poi 131 euro per le scarpe, quasi quanto l’abito, "ma sono Campanile". Il muro del sogno sorge lì. Oltre quella barriera si può guardare, ma non toccare. Là dove Mario Precario non arriva esiste, ad esempio, la telecamera Jvc da 996 euro. Non uno di meno. Sa a memoria marche e prezzi. Ha un catalogo in testa. La sua vita ha più di un prezzo
Perfino qualche risparmio
Ma le voluttà trendy, gli oggetti feticcio? Voglio dire: l’I Pod? "No, grazie. Quando cammino, quando prendo l’autobus, preferisco ascoltare i discorsi della gente, sono una colonna sonora fantastica". E i viaggi all’estero con le compagnie low cost? "Una volta, prenotando con Internet dall’ufficio, pagando con i numeri della Visa di mio padre". Ci siamo incontrati alle dieci e mezza del mattino. Abbiamo camminato per oltre due ore. Mario Precario mi ha fatto vedere il ristorante di pesce dove mangia primo e secondo ("è sugli antipasti che ti fregano") pagando meno che per pizza & birra, il fornaio che gli tiene da parte il pane, lo sportello bancomat dove ricarica il cellulare (50 euro in una botta unica per ridurre l’incidenza delle tasse). Qui è venuto fuori che sul conto riesce anche a mettere dei risparmi: fino a duecento euro al mese. In effetti, con un caffè abbiamo fatto sei chilometri. È tempo di sedersi su una panchina di villa Torlonia e fare il punto. Di archiviare il passato e perfino il presente. Di chiedersi, come a un convegno dal titolo poco fantasioso: "Mario Precario: quale futuro?". Allarga le braccia: "Non è che io non mi dia degli obiettivi. Per esempio, mi sono detto che il prossimo rinnovo del contratto semestrale sarà l’ultimo. Vedi, quel che mi angoscia non è la questione dei soldi, è quella delle prospettive. Che carriera potrei mai avere in questa società, con questa posizione? Temo nessuna. Ma se torno sul mercato ho già capito che quel che mi tocca ripassare è un altro stage con i buoni pasto e la telefonata a papà. A volte ci mettiamo intorno a un tavolo, io e quelli che hanno studiato con me. E fantastichiamo di metterci in proprio, fondare una società di servizi. Poi ci rendiamo conto che sarebbe un’altra delle illusioni che ci hanno rifilato e rinunciamo. Intanto arrivano i trent’anni". E nessuno mette su famiglia. "No. Che poi non lo so se è perché uno non se lo può permettere o se con questo si trova l’alibi. Mio nonno mica ci è stato tanto a pensare. Non aveva soldi eppure ce l’ha fatta. E mio padre pure. E ha fatto studiare me. E ci è rimasto male quando le mie sorelle non hanno voluto studiare anche loro. Poi non è che quelli della mia generazione non ne avrebbero voglia. Quelli sono i quarantenni, tutti scoppiati, tutti appresso alle feste come avessero sempre sedici anni. Noi, secondo me, avremmo anche desiderio di stabilità, paternità perfino". Sai quanto costano i pannolini? "Ho visto che c’è un’offerta".