Gad Lerner: Perché allItalia manca il coraggio di Sharon
06 Aprile 2006
Tanto per ridimensionarci un po’, nonostante il clima incandescente, sarà bene ricordare che le elezioni israeliane sono molto più importanti per il futuro mondiale di quelle italiane. E se adesso guardiamo con invidia alla velocità con cui la politica dello Stato ebraico è riuscita ad assumere forme nuove (scissione della destra, nascita di un nuovo partito moderato, Kadima), perseguendo uno scopo concreto e ben definito (ritiro da Gaza, fine del ricatto dei coloni), dotandosi di un governo stabile per raggiungerlo, determinando perfino Hamas a rispettare una tregua per favorire l’insediamento di Olmert
allora possiamo sempre cercar di capire come innovazione e movimento siano esportabili dopo il 9 aprile anche nella nostra penisola.
Sono troppe, in Italia, le forze che hanno interesse a che nulla cambi, chiunque sia il vincitore. È già cominciata una campagna d’opinione per sostenere che un ridimensionamento di Mediaset, azienda che ha goduto di protezioni politiche senza uguali, equivarrebbe né più né meno a una vile rivalsa antiberlusconiana, un po’ come il Mussolini appeso a testa in giù di piazzale Loreto. Statene pur certi: una banale legge che regoli il conflitto d’interessi - certo, inevitabilmente ad personam - verrà ribattezzata nel più atroce dei modi, manco si trattasse di un passaggio rivoluzionario. Ma il ‟chiagni e fotti” coinvolgerà molti altri settori dell’establishment o rimasugli corporativi qui e là disseminati, non solo l’uomo più ricco d’Italia, che ultimamente ama farsi definire campione della lotta contro gli oligarchi da parte dei suoi laudatores. I furbacchioni hanno già dimenticato chi ha fatto votare al Parlamento, in fretta e furia, la legge elettorale oligarchica che loro stessi oggi definiscono ‟porcata”.
Ebbene, un nuovo governo intraprendente, ‟alla Kadima”, che volesse smuovere l’apatia e la paralisi in cui siamo impastoiati, dovrebbe cominciare la legislatura con quattro o cinque ‟strappi” decisi:
- cambiare al più presto questo obbrobrio di legge elettorale, semmai regolamentando nuove forme di partecipazione democratica dal basso, come le primarie;
- restituire al libero mercato il settore televisivo con una serie di provvedimenti antitrust accompagnati dalla privatizzazione di Raiuno (basta con la Rai lottizzata) e da un’equa competizione per le risorse pubblicitarie;
- liberalizzazioni nei settori oggi protetti dell’economia, disincentivando il ricorso a strumenti di controllo antiquati come i patti di sindacato dei ‟soliti noti” al comando delle imprese; parificazione del prelievo fiscale effettuato sui contratti di lavoro a termine e su quelli a tempo indeterminato;
- legge di regolamentazione del conflitto d’interessi.
Ecco, immaginatevi un esecutivo che parta a razzo con quattro, cinque provvedimenti come questi, e che, approfittando dell’euforia post elettorale, li faccia approvare dal Parlamento. L’effetto dinamico antiruggine sarebbe assicurato; poi tocca al Paese muoversi, sviluppare una propensione al rischio non solamente imposta ai poveracci senza lavoro, ma praticata innanzitutto ai vertici di una classe dirigente anch’essa, finalmente, ‟flessibile”. Sto correndo troppo con la fantasia? Vi riesce difficile pensare che il vincitore delle prossime elezioni italiane abbia il potere e il coraggio di muoversi con tale cipiglio? Qui entrano in campo le leggi dinamiche della politica, e da questo punto di vista Israele è stata senz’altro avvantaggiata: perché laggiù hanno votato dopo e non prima di una vera e propria rivoluzione della geografia politica nazionale. Il vecchio Sharon aveva uno scopo - aprire a modo suo il dialogo con i palestinesi - e ha fatto il necessario per rimuovere gli ostacoli (l’integralismo religioso dei coloni) e costruire lo strumento adeguato (un partito nuovo, coperto a sinistra dall’alleato laburista). Invece in Italia stiamo andando al voto con il vecchio armamentario politico. Si tratta di un handicap. Bisognerà pensarci nel dopo voto. Ma sarà più complicato.
Sono troppe, in Italia, le forze che hanno interesse a che nulla cambi, chiunque sia il vincitore. È già cominciata una campagna d’opinione per sostenere che un ridimensionamento di Mediaset, azienda che ha goduto di protezioni politiche senza uguali, equivarrebbe né più né meno a una vile rivalsa antiberlusconiana, un po’ come il Mussolini appeso a testa in giù di piazzale Loreto. Statene pur certi: una banale legge che regoli il conflitto d’interessi - certo, inevitabilmente ad personam - verrà ribattezzata nel più atroce dei modi, manco si trattasse di un passaggio rivoluzionario. Ma il ‟chiagni e fotti” coinvolgerà molti altri settori dell’establishment o rimasugli corporativi qui e là disseminati, non solo l’uomo più ricco d’Italia, che ultimamente ama farsi definire campione della lotta contro gli oligarchi da parte dei suoi laudatores. I furbacchioni hanno già dimenticato chi ha fatto votare al Parlamento, in fretta e furia, la legge elettorale oligarchica che loro stessi oggi definiscono ‟porcata”.
Ebbene, un nuovo governo intraprendente, ‟alla Kadima”, che volesse smuovere l’apatia e la paralisi in cui siamo impastoiati, dovrebbe cominciare la legislatura con quattro o cinque ‟strappi” decisi:
- cambiare al più presto questo obbrobrio di legge elettorale, semmai regolamentando nuove forme di partecipazione democratica dal basso, come le primarie;
- restituire al libero mercato il settore televisivo con una serie di provvedimenti antitrust accompagnati dalla privatizzazione di Raiuno (basta con la Rai lottizzata) e da un’equa competizione per le risorse pubblicitarie;
- liberalizzazioni nei settori oggi protetti dell’economia, disincentivando il ricorso a strumenti di controllo antiquati come i patti di sindacato dei ‟soliti noti” al comando delle imprese; parificazione del prelievo fiscale effettuato sui contratti di lavoro a termine e su quelli a tempo indeterminato;
- legge di regolamentazione del conflitto d’interessi.
Ecco, immaginatevi un esecutivo che parta a razzo con quattro, cinque provvedimenti come questi, e che, approfittando dell’euforia post elettorale, li faccia approvare dal Parlamento. L’effetto dinamico antiruggine sarebbe assicurato; poi tocca al Paese muoversi, sviluppare una propensione al rischio non solamente imposta ai poveracci senza lavoro, ma praticata innanzitutto ai vertici di una classe dirigente anch’essa, finalmente, ‟flessibile”. Sto correndo troppo con la fantasia? Vi riesce difficile pensare che il vincitore delle prossime elezioni italiane abbia il potere e il coraggio di muoversi con tale cipiglio? Qui entrano in campo le leggi dinamiche della politica, e da questo punto di vista Israele è stata senz’altro avvantaggiata: perché laggiù hanno votato dopo e non prima di una vera e propria rivoluzione della geografia politica nazionale. Il vecchio Sharon aveva uno scopo - aprire a modo suo il dialogo con i palestinesi - e ha fatto il necessario per rimuovere gli ostacoli (l’integralismo religioso dei coloni) e costruire lo strumento adeguato (un partito nuovo, coperto a sinistra dall’alleato laburista). Invece in Italia stiamo andando al voto con il vecchio armamentario politico. Si tratta di un handicap. Bisognerà pensarci nel dopo voto. Ma sarà più complicato.
Gad Lerner
Gad Lerner è nato a Beirut nel 1954 da una famiglia ebraica e a soli tre anni si è dovuto trasferire a Milano. Come giornalista, ha lavorato nelle principali testate …