Marina Forti: Bombardare Tehran? Dissensi a Washington

18 Aprile 2006
L'Iran cerca di rassicurare i suoi vicini paesi del Golfo Persico circa le intenzioni del suo programma nucleare. Lo fa attraverso l'ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, capo del Consiglio per il discernimento delle scelte (una delle massime istituzioni della Repubblica islamica). In visita ieri in Kuweit, Rafsanjani ha ribadito che l'Iran non intende rinunciare ad arricchire uranio, ma ha fatto notare che il programma nucleare iraniano è nei limiti del Trattato di non proliferazione e sotto il controllo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), che veglia sul rispetto del Tnp.
I vicini guardano con preoccupazione le ambisioni nucleari di tehran, e ieri nell'incontro con Rafsanjani il parlamento kuweitiano ha chiesto all'Iran massima trasparenza: ‟Le garanzie \ dovrebbero essere tangibili, ogni giorno gli iraniani stanno rilanciando la situazione verso l'escalation”, ha detto il deputato Mohammad al-Saqer.
La situazione è pericolosa, non c'è dubbio. Il 30 di marzo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ha chiesto all'Iran di sospendere entro un mese le attività per l'arricchimento dell'uranio: mancano appena due settimane al termine. Finora l'Iran ha risposto annunciando di aver cominciato ad arricchire uranio al livello necessario per i reattori civili: il presidente Mahmoud Ahmadi Nejad lo ha annunciato come una ‟grande riuscita nazionale”, con un'ampia operazione di propaganda interna. L'annuncio non è stato confermato dagli ispettori dell'Aiea, e non significa ancora la capacità di arricchire uranio su scala industriale - né la capacità di arricchirlo al livello infinitamente superiore necessario per usi bellici. Intanto continua il lavoro dell'Aiea; domani un nuovo team di ispettori arriverà a Tehran.
Intanto però Ahmadi Nejad, parlando agli studenti della ‟grande riuscita” nazionale, ha detto che l'Iran sta sperimentando un tipo più sofisticato di centrifughe per arricchire uranio, chiamate P-2 (finora ha in funzione le più semplici P-1): e se fosse vero contraddirebbe quanto l'Iran ha dichiarato finora all'Aiea, cioè di aver avuto i disegni delle centrifughe P-2 (dalla rete clandestine dello scienziato pakistano Abdul Qadir Khan), ma di aver smesso tre anni fa di lavorarci. Così l'affermazione, se non si rivelerà una boutade del presidente, apre nuovi sospetti - lo ha sottolineato ieri il portavoce della Casa Bianca, Scott McClellan.
Dunque è vero, ogni giorno da Tehran arriva qualche elemento che rilancia l'escalation. Arrivano però anche segnali di dissenso interno, e di uno scontro nell'establishment della Repubblica islamica. L'ultimo è la notizia di un incontro tra la Guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, e alcuni dirigenti della ‟Società del clero combattente”, forza riformista a cui appartiene l'ex presidente Mohammed Khatami (il quale era presente all'incontro). Il clero riformista è andato a dire a Khamenei che la politica nucleare del paese altalena pericolosamente tra dichiarazioni contradditorie di diverse autorità, e che la situazione è pericolosa. Simili preoccupazioni erano espresse giorni fa in una lettera a Khamenei da un gruppo di esponenti del maggiore partito riformista.
Sull'altra sponda dell'Atlantico, anche la politica dell'amministrazione Bush verso l'Iran è oggetto di dissensi. Alcuni senatori si sono pronunciati per colloqui diretti tra gli Usa e l'Iran sulla questione nucleare: tra loro anche Richard Lugar, repubblicano, capo della commissione esteri del senato, il quale ha detto che è prematuro parlare di sanzioni, ci sono ancora vie di negoziato.
Il dissenso finora più chiaro è quello espresso da due ex alti funzionari del Consiglio di sicurezza nazionale, Richard Clarke e Steven Simon, e ospitato domenica dal New York Times: ‟Un conflitto con l'Iran potrebbe essere ancora più dannoso per i nostri interessi di quanto lo sia l'attuale conflitto in Iraq”, dicono. Fanno notare che l'Iran potrebbe rispondere attaccando pozzi e petroliere nel Golfo facendo schizzare in alto il prezzo del greggio, colpire obiettivi americani nel mondo o negli Usa (‟con forze ben superiori a quelle che al-Qaeda ha mai potuto mettere in campo”), e rendere la posizione americana in Iraq ‟ben più difficile di quanto già sia”. Aggiungono che un'escalation militare contro l'Iran non porterebbe alla caduta del governo iraniano, come molti nell'amministrazione pensano: ‟Più probabilmente, garantirebbe al regime altri decenni di controllo”.

Marina Forti

Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …