Gianfranco Bettin: Lassassinio di Jennifer
15 Maggio 2006
Così come si dà la vita, troppe volte irresponsabilmente, allo stesso modo, troppe volte, irresponsabilmente la si toglie. Così ha fatto Lucio Niero, reo confesso dell’assassinio di Jennifer e del figlio che portava in grembo. Un figlio che aveva già un nome Hevan - e che stava ormai per nascere. Sono le due cose più importanti che si possano fare, dare e togliere la vita. Ci si sente agghiacciare al pensiero di come, sempre più di frequente, ci si confronti con esse: in un modo del tutto inadeguato, superficiale, a volte in modo criminale.
La tragedia dell’irresponsabilità segna a fondo il nostro tempo. L’incapacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni, il panico di fronte ad esse quando si rivelano, la fuga come rimedio, la volontà, smodata e patetica insieme, e a volte l’azzardo, disperato e feroce insieme, di annullare tutto per tornare a ‟prima” ne sono esempi ricorrenti. Agisce in vicende private, nella microfisica della quotidianità, come in grandi questioni pubbliche, addirittura di portata storica. Irresponsabilmente si fanno le guerre, si devasta il pianeta, si vive senza misura, si desidera a comando, ci si riempie la testa di spot, si circola sulle nostre strade, si consuma senza consapevolezza. La tragedia dell’irresponsabilità si ripete quotidianamente, a tutti i livelli, e capita che diventi crimine. Tra crimine e tragedia, a volte, il confine è sottile.
Tragica è la morte di Jennifer ed Hevan, tragico il dolore che provoca. Criminale è la deriva di Niero, che forse avvertiva come un peso insopportabile la nascita imminente di quel bimbo, da lui non voluto. Forse, come dice chi lo conosce e non si capacita del suo gesto, ha infine perso la testa. Irresponsabile fino in fondo, ha fatto della sua deriva un crimine dei più efferati. Si potrà e si dovrà scavare a fondo nella sua vita, nel suo ambiente e, fin dove possibile, nella sua anima. Ma non sarà solo lì che si troverà tutta la risposta. E’ fin troppo facile, alla luce di quello che già ora se ne sa, parlare di banalità del male. Parlare, cioè, di una normale assuefazione a comportamenti devianti o perfino criminali che, per essere via via accettati comunemente, diventano alla portata di troppi, perfino di chi non si immaginerebbe dedito a fare il male. In realtà, è proprio il male che spesso non si è più capaci di riconoscere, perchè si nasconde nella normalità, perchè a volte è la normalità.
Probabilmente tutto ciò ha davvero a che fare con questa storia atroce. Il suo segno prevalente, però, sembra un altro e più che situarsi all’incrocio tra male e banalità sembra stare su quello tra irresponsabilità e tragedia. E’ a questo incrocio che il gesto di Niero diventa, infine, puro brutale crimine e come tale andrà giudicato, certo senza perdere di vista il contesto (che nessuna attenuante tuttavia può fornire all’assassino). Il racconto della tragedia di Jennifer e del crimine di Niero è stato in questi giorni corredato di tanti particolari che fanno capire facilmente come questa storia sia impastata con tanti materiali che plasmano oggi troppe vite: le sottoculture televisive, i miti dell’arrangiarsi precario e velleitariamente rampante, tra locali e club equivoci, usurai, cocaina, televendite, maghi, nomi improbabili, mode e sottomode, traversie famigliari, vite doppie o triple. Cose non necessariamente colpevoli, anzi spesso solo patetiche o di cattivo gusto. Ma che, tutte insieme, segnalano un mondo sradicato da se stesso, che non sa bene dove sta andando, molto poco consapevole e, appunto, ancor meno responsabile.
Nell’intento, comprensibile, di tutelare la propria comunità, il sindaco di Martellago, dove il fatto è accaduto, nei giorni scorsi ha tenuto a precisare che la famiglia di Jennifer vive lì solo da pochi mesi, come per dire che la radice di questo dramma sta altrove. Purtroppo per il bravo sindaco, il vero oscuro dominus del dramma, l’assassino, viveva lì da sempre. Vuol forse dire che la radice velenosa è piantata nell’operoso e rispettabile paese della provincia veneziana? No, certo che no. Vuol dire qualcosa di peggio. Vuol dire che la radice è piantata ovunque, e prima ce ne rendiamo conto e meglio, o meno peggio, sarà per tutti.
La tragedia dell’irresponsabilità segna a fondo il nostro tempo. L’incapacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni, il panico di fronte ad esse quando si rivelano, la fuga come rimedio, la volontà, smodata e patetica insieme, e a volte l’azzardo, disperato e feroce insieme, di annullare tutto per tornare a ‟prima” ne sono esempi ricorrenti. Agisce in vicende private, nella microfisica della quotidianità, come in grandi questioni pubbliche, addirittura di portata storica. Irresponsabilmente si fanno le guerre, si devasta il pianeta, si vive senza misura, si desidera a comando, ci si riempie la testa di spot, si circola sulle nostre strade, si consuma senza consapevolezza. La tragedia dell’irresponsabilità si ripete quotidianamente, a tutti i livelli, e capita che diventi crimine. Tra crimine e tragedia, a volte, il confine è sottile.
Tragica è la morte di Jennifer ed Hevan, tragico il dolore che provoca. Criminale è la deriva di Niero, che forse avvertiva come un peso insopportabile la nascita imminente di quel bimbo, da lui non voluto. Forse, come dice chi lo conosce e non si capacita del suo gesto, ha infine perso la testa. Irresponsabile fino in fondo, ha fatto della sua deriva un crimine dei più efferati. Si potrà e si dovrà scavare a fondo nella sua vita, nel suo ambiente e, fin dove possibile, nella sua anima. Ma non sarà solo lì che si troverà tutta la risposta. E’ fin troppo facile, alla luce di quello che già ora se ne sa, parlare di banalità del male. Parlare, cioè, di una normale assuefazione a comportamenti devianti o perfino criminali che, per essere via via accettati comunemente, diventano alla portata di troppi, perfino di chi non si immaginerebbe dedito a fare il male. In realtà, è proprio il male che spesso non si è più capaci di riconoscere, perchè si nasconde nella normalità, perchè a volte è la normalità.
Probabilmente tutto ciò ha davvero a che fare con questa storia atroce. Il suo segno prevalente, però, sembra un altro e più che situarsi all’incrocio tra male e banalità sembra stare su quello tra irresponsabilità e tragedia. E’ a questo incrocio che il gesto di Niero diventa, infine, puro brutale crimine e come tale andrà giudicato, certo senza perdere di vista il contesto (che nessuna attenuante tuttavia può fornire all’assassino). Il racconto della tragedia di Jennifer e del crimine di Niero è stato in questi giorni corredato di tanti particolari che fanno capire facilmente come questa storia sia impastata con tanti materiali che plasmano oggi troppe vite: le sottoculture televisive, i miti dell’arrangiarsi precario e velleitariamente rampante, tra locali e club equivoci, usurai, cocaina, televendite, maghi, nomi improbabili, mode e sottomode, traversie famigliari, vite doppie o triple. Cose non necessariamente colpevoli, anzi spesso solo patetiche o di cattivo gusto. Ma che, tutte insieme, segnalano un mondo sradicato da se stesso, che non sa bene dove sta andando, molto poco consapevole e, appunto, ancor meno responsabile.
Nell’intento, comprensibile, di tutelare la propria comunità, il sindaco di Martellago, dove il fatto è accaduto, nei giorni scorsi ha tenuto a precisare che la famiglia di Jennifer vive lì solo da pochi mesi, come per dire che la radice di questo dramma sta altrove. Purtroppo per il bravo sindaco, il vero oscuro dominus del dramma, l’assassino, viveva lì da sempre. Vuol forse dire che la radice velenosa è piantata nell’operoso e rispettabile paese della provincia veneziana? No, certo che no. Vuol dire qualcosa di peggio. Vuol dire che la radice è piantata ovunque, e prima ce ne rendiamo conto e meglio, o meno peggio, sarà per tutti.
Gianfranco Bettin
Gianfranco Bettin è autore di diversi romanzi e saggi. Con Feltrinelli ha pubblicato, tra gli altri, Sarajevo, Maybe (1994), L’erede. Pietro Maso, una storia dal vero (1992; 2007), Nemmeno il destino (1997; 2004, da cui è …