Renato Barilli: Russolo, l’energia sonora del futurismo

05 Giugno 2006
La maggiore novità, nel sistema espositivo nazionale, è stata senza dubbio l’entrata in scena del Mart (Museo d’Arte di Rovereto e Trento), sia per l’eccellenza dell’edificio progettato da Mario Botta, sia per la sapiente gestione assicurata al Museo dalla direttrice Gabriella Belli, capace di giocare a tutto campo. Si è appena chiusa una colossale rassegna sul tema della danza presso le avanguardie storiche, ed ecco che quel periodo fondamentale viene di nuovo affrontato, ma attraverso una monografica agile e snella in cui si va a vedere da vicino un mitico protagonista di quegli anni, Luigi Russolo (1885-1947, a cura di Franco Tagliapietro e Anna Gasparotto, fino al 17 settembre, cat. Skira). Si tratta di un nome saldamente iscritto nei registri del Futurismo, sempre presente accanto a Boccioni-Carrà-Severini, in quegli anni frementi di iniziative, ma anche minacciato di oblio, per un ruolo da deuteragonista, da personaggio quasi condannato a svolgere un ruolo di spalla, di complemento. Lo si scorge già dal fatto che, giunto a Milano, dalla nativa Portogruaro, frequenta Brera ma nei corsi serali, però una stretta amicizia lo lega subito a Boccioni, con una fervida attività incisoria in cui egli si schiera a fianco dell’amico, maggiore d’anni e di intraprendenza, ricalcandone le orme. Fin da quella prima ora Russolo alterna all’interesse per la grafica e la pittura un altro ugualmente intenso per la musica, e sembra appunto che il suo compito sia di far riecheggiare le note, le armonie del compagno. Del resto i due sono concordi nel comprendere l’importanza di Gaetano Previati, il grande interprete della congiuntura simbolista-divisionista, di cui afferranno gli schemi curvilinei, lunghi, flessuosi, melodiosi, portandoli semmai a una maggiore pienezza di svolgimento. Come mettere le mani nella morbida matassa di una chioma femminile, ripercorrerne le ciocche, intrecciarle, dando loro il carattere di un’onda che si allarga e cerca di coinvolgere tanti altri elementi nella sua stretta; e se non è una chioma femminile, potranno essere le spire di un serpente tentatore. I temi, infatti, vengono da una fin-de-siècle intrisa di motivi maledettisti, iniziatici, che anche in seguito non scompariranno mai in Russolo; ma nuova, baldanzosa è la voglia di fare, di quegli attorcimenti, dei moduli forti e tenaci, quasi dei lazos lanciati nello spazio. Oppure, l’altro filone che il nostro artista condivide con il collega è quello dei cieli cupi che si addensano sulle periferie industriose delle metropoli, ma non è solo per svolgere un inno alla «città che sale», col fragore delle macchine. Russolo scatta in avanti, comprende che c’è una nuova e più sottile energia, a scuotere quel panorama, la scarica elettrica, il fulmine che traccia il suo sottile guizzo energetico, accompagnato già da uno stridio acustico, primo indizio che il dato visivo non è unico ma si accompagna a un dato acustico.
Dopo il lungo esercizio grafico-incisorio vengono i dipinti, rari ma essenziali, pronti a tradurre in pittura le onde fluide delle capigliature femminili che poi, nel dipinto forse più sicuro ed emblematico, non per nulla intitolato alla Musica, nell’11, si distendono in moti curvilinei sicuri di sé, inesorabili nell’inanellarsi, come nastri portanti, capaci di trascinarsi dietro un gran numero di volti, ripetuti, clonati, come per visualizzare le vibrazioni di quell’enorme diapason. Oppure, in alternativa, l’artista fa partire un gran fendente rettilineo che si incunea contro certi pannelli rigidi che vorrebbero trattenerne l’impeto, ed ecco così configurarsi il tema della Rivolta, trattato in molte varianti, sempre in quegli anni di grazia, che stanno tra l’11 e il ’12, quando il manipolo dei nostri Futuristi conosce i cugini Cubisti, e in parte ne subisce l’influsso, in parte vi reagisce, sfruttando appunto il lascito ricevuto da Previati, ovvero la morfologia del curvo, che si oppone al trionfo dell’angolo retto.
Ma se per un verso Russolo è svantaggiato rispetto ai colleghi, dati i suoi interessi ugualmente indirizzati al campo della musica, proprio questo ulteriore ambito di sperimentazione ne costituisce la ricchezza interna, in un certo senso egli è il più autentico seguace di Marinetti, nel non fermarsi alla pratica di un unico settore artistico. E dunque, un punto di forza della mostra di Rovereto sta nell’aver adunato in una sala tutti gli apparecchi «intonarumori», ricostruiti in precedenti occasioni: curiosi, eterocliti cassoni, macchine artigianali con tanto di manovelle che il visitatore può far ruotare, ricavandone manifestazioni acustiche che evitano le modulazioni raffinate delle note per far risuonare rumori allo stato bruto: ululi, fruscii, gracidii. Non si parla, come accadrà nel ’68, di una «morte dell’arte», ma certo è che Russolo ha già fatto partire una «morte della musica», a vantaggio di nuove aree di sensibilità acustica.
I Nostri, però, si erano spinti troppo avanti, troppo oltre le consuete frontiere di esperienza, e dunque fu inevitabile il delinearsi di una contro-onda, da cui fu preservato il solo Boccioni per la morte precoce nel ’16. Carrà e Severini imboccarono la strada di un solenne «richiamo all’ordine», e così pure fece Russolo, ma nel rispetto di quei suoi modi sottili, incisivi, sempre pronti a superare la barriera del visivo per mutarsi in suoni, o forse più in ultrasuoni.

Renato Barilli

Renato Barilli (1935) già docente di Fenomenologia degli stili all’Università di Bologna, è autore di numerosi volumi di estetica, fra cui: Scienza della cultura e fenomenologia degli stili (il Mulino, …

La cattura

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