Furio Colombo: Addio Siciliano, costruttore di cultura

12 Giugno 2006
Con Enzo Siciliano se ne va un gran pezzo della vita italiana. E non è questione di memoria, di affetto o di nostalgia. La nostalgia c’è, immensa, per il tanto tempo passato insieme, da vecchi amici, con vecchi amici, con nuovi amici, tra lutti e gioie, tra speranze e amarezze anche profonde, più vicini o più lontani non solo per la distanza tra luoghi, ma anche per le contrapposizioni vivaci che di tanto in tanto (ma soprattutto ai tempi del Gruppo 63) avevano segnato il nostro stare / non stare insieme.
Come un iceberg frantumato, si allontana e diventa storia una intera regione della vita italiana. Una intera Italia che esisteva sovrapposta alla vita di tutti i giorni, routine, corruzione, le fosse della vita politica e i luoghi del fare e del vivere disinteressato.
In quella Italia abitavano Alberto Moravia e Pierpaolo Pasolini, c’era Attilio Bertolucci, c’era il cinema d’autore e la letteratura vista come il laboratorio della vita. C’era ‟Nuovi argomenti”, prima con Alberto Moravia, poi come impresa sua (insieme a La Capria, Maraini, Colasanti e a me). C’è stata nel modo in cui poteva concepirla lui, la presidenza della Rai, vissuta come un peso, un servizio, un prestito, anche un po’ un furto al tempo di leggere, scrivere e continuare il suo andare e venire fra letteratura, musica e cinema, fra classici e cose nuove. Lui stesso dentro la scia di una profonda nostalgia nel senso bello e assurdo che ha dato a questa parola Antonioni nel film L’Eclisse: nostalgia per ciò che non è ancora accaduto, nostalgia per il sogno che occupa spazi che non sono il ricordo, mette il pensare e il fantasticare, il cercare nel prima e nel dopo, al di là dei fatti, al di fuori delle cose accadute.
Ma Enzo Siciliano non era un sognatore. Piuttosto era un infaticabile costruttore di cultura, carico di reperti da ridistribuire continuamente per far riaprire o impedire che si interrompa la conversazione a cui Siciliano non ha mai smesso di partecipare, sul territorio vasto e ricco e intensamente popolato di grandezza e bellezza, che era la sua vita quotidiana.
Se prendete in mano il suo ultimo numero di ‟Nuovi argomenti”, appena uscito, trovate il frammento di un testamento in cui il direttore lascia una anticamera gremita di grandi autori e di giovani ignoti, di presenze gigantesche, frequentate con mite confidenzialità per impedire il museo o l’accademia e di giovani scrittori ignoti o quasi ignoti che disinvoltamente debuttano senza esami o padrini. Ma debuttano dentro uno spazio in cui ti chiedono un senso e una ragione per esserci. Quel senso e quella ragione sono la vita di Enzo Siciliano: leggere e scrivere e ascoltare e vivere come in una miniera da scavare per sempre perché gli incontri, le scoperte, le riscoperte, i trasalimenti non finiscono mai.
Per esempio, questo suo ultimo ‟Diario”, le pagine che aprono da anni ogni numero di ‟Nuovi argomenti”. Lo segui e ti imbatti in un Visconti, intravedi ‟Senso”, il volto di Alida Valli, ascolti Bruckner, noti sul fondo Arrigo Boito e Lele D’Amico. Ci sono Virgilio, Tibullo, ‟la vita quotidiana con i suoi piccoli palpiti”, l’ultimo romanzo di Piersanti, Il ritorno a casa di Enrico Metz. C’è, nelle pagine del Diario, lieve mondanità delle visite ai grandi, il vezzo affettuoso di ammettere i nuovi, citandoli in un rassicurante confronto. C’è una ostinazione tranquilla a rendere domestico e quotidiano ciò che avviene per le strade vale come ciò che avviene dentro le pagine o nell’universo della musica o nella voce che ti fa sentire, a intervalli abbastanza stretti, alcuni versi, alcuni brani di poesia, che non sono citazioni colte, sono un modo di respirare.
A un certo punto, quasi all’improvviso, il continuo, laborioso vagabondare dell’ex professore di lettere tra nomi, luoghi, pagine, persone, volti, immagini, che lui trova innaturale dimenticare, tutto ciò si è fermato. È finito il ronzare di un motore chiamato cultura, insediato nella vita intensa di un uomo-artista, uno scrittore che era stato insegnante e non ha mai smesso di esserlo, curiosamente, lui stesso, più allievo che docente, a causa di un suo candore, di una sua naturale inclinazione alla meraviglia. Una meraviglia piena, da bambino. Ma è finito? Umberto Eco, ne La fiamma della Regina Loana, immagina che il suo personaggio, bloccato e intubato in un ultimo pianerottolo della vita, sia in realtà nascosto ‟sotto” ciò che conosciamo come la coscienza.
Immagina che in quel rifugio la sua esplorazione continui e non ci siano più limiti tra vita e ‟fiction”, dove ‟fiction” è sogno, nostalgia, libri e pensieri, versi e canzoni, che vanno e che tornano, in una specie di eternità paradiso che è fatto di abitudini, compagni e compagnia della cultura. La parola (cultura) perde il suo senso di museo-mausoleo, e diventa nervi di una vita che si spegne ma non si spegne. È soltanto un altro libro, quello di Eco, d’accordo. Ma è di una vita fatta di nessun altro interesse che cultura e immaginazione che stiamo parlando.
Guardate la copertina del numero di ‟Nuovi argomenti” di cui ho appena parlato. C’è scritto, come su un muro, ‟Art. 1. L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”.
‟La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Enzo Siciliano partecipa al referendum del 25 giugno. Non è un gesto di propaganda. È il fascio di nervi della cultura che è vita nella vita di Siciliano. Continua a generare voci, suoni, immagini, figure, visioni, attese, speranze.
È l’ostinazione, mai finita, di insegnare, che ha lasciato moltissimi semi, in generazioni diverse. Non andranno perduti. È l’unica consolazione. Ma è una consolazione.

Furio Colombo

Furio Colombo (19319, giornalista e autore di molti libri sulla vita americana, ha insegnato alla Columbia University, fino alla sua elezione in Parlamento nell’aprile del 1996. Oltre che negli Stati …