Stefano Rodotà: Dove finiscono i diritti in un Paese di intercettati

25 Luglio 2006
In una società dell’informazione e della comunicazione che, in Italia, si presenta spesso come una gigantesca maionese impazzita, quali sono oggi i diritti dei cittadini, i doveri dei soggetti pubblici, i reali rapporti tra le istituzioni? Servizi segreti e intercettazioni telefoniche, diffusioni illegittime di dati personali e ruoli delle società telefoniche, controlli d’ogni genere e moltiplicazione delle raccolte d’informazioni, innovazione amministrativa e uso delle banche dati pubbliche: le vicende delle ultime settimane hanno posto quasi con violenza questi problemi davanti a Governo e Parlamento, all’opinione pubblica ed al sistema dell’informazione. Si annunciano riforme legislative ed inchieste parlamentari, accertamenti amministrativi e codici etici. Buoni propositi si mescolano con intenzioni assai meno commendevoli. Quale linea sarà seguita per offrire soluzioni non solo ragionevoli, ma capaci di reggere davvero di fronte a spinte profonde che attraversano le nostre società?
Non si darà nessuna risposta adeguata se non si avrà consapevolezza del fatto che non siamo di fronte a pezzi staccati, a questioni tra loro distinte, ma a sfaccettature di un unico, grande tema, che ha le sue radici nel modo in cui opportunità tecnologiche e pressioni di mercato, convenienze politiche e uso disinvolto o del tutto strumentale dei riferimenti alla lotta al terrorismo hanno rimesso in discussione diritti fondamentali e disegnato nuove geografie nella distribuzione dei poteri. Non sono cose soltanto italiane. Basta dare un’occhiata a quel sta accadendo negli Stati Uniti, dove l’amministrazione Bush è sotto accusa per l’illegalità di milioni di intercettazioni telefoniche, per la condizione dei prigionieri di Guantanamo, per richieste a soggetti privati, come Google, di imponenti masse di dati sulle persone.
È da qui che bisogna partire, da diritti fondamentali vecchi e nuovi continuamente messi in pericolo dalla pretesa di poteri pubblici e privati di raccogliere qualsiasi informazione e con qualsiasi mezzo, di conservarle il più a lungo possibile, di utilizzarle a proprio piacimento. Così cambiano il rapporto del cittadino con lo Stato e la sua libera collocazione nella società, dunque gli stessi caratteri di un sistema democratico.
Che cosa diventa il diritto di costruire liberamente la propria personalità quando preferenze, inclinazioni, rapporti personali o sociali vengono implacabilmente scrutati? Che cosa diventa la libertà di circolazione quando videosorveglianza e localizzazione attraverso i telefoni mobili si trasformano in un guinzaglio elettronico che permette di seguire e registrare ogni nostro spostamento? Che cosa diventa la libertà di comunicare quando si registrano e si conservano per anni, peraltro in condizioni di precaria sicurezza, tutti i dati di traffico relativi a telefonate, posta elettronica, accessi ad Internet? Che cosa diventa il diritto alla salute quando la giusta logica dell’accertamento fiscale si trasforma nella pretesa di frugare in ogni aspetto intimo e doloroso dell’esistenza? Che cosa diventa la libertà d’informazione quando i giornalisti vengono illegalmente controllati? Che cosa diventa il diritto d’essere informati quando i giornalisti diventano strumenti prezzolati di distorsione delle notizie? Che cosa diventa la stessa libertà personale quando la corrente impetuosa delle informazioni raccolte spinge verso provvedimenti che più attenti e rigorosi accertamenti investigativi potrebbero evitare? E dove può, in definitiva, rifugiarsi la dignità della persona quando si viene esposti non solo allo sguardo d’una platea avida d’ogni pettegolezzo, ma all’occhio di sconosciuti controllori?
Proviamo a tradurre questi interrogativi astratti in domande concrete a ministri di questo Governo. Con una premessa. Tranne qualche caso di evidente illegalità, siamo di fronte a situazioni che, per una lenta e colpevole deriva, stanno diventando o sono già diventate la normalità nella quale viviamo. Questo è avvenuto proprio perché finora è mancata la consapevolezza della portata generale del problema, della connessione tra le diverse questioni, e si è così favorito un pericoloso stillicidio di provvedimenti settoriali.
Cominciamo con l’annunciata presentazione da parte del ministro della Giustizia di un disegno di legge sulle intercettazioni. Questo è tema da valutare nella sua interezza, non enfatizzando solo il momento della pubblicazione. Dunque, attenzione particolare e preliminare per il momento dell’acquisizione (intervenendo "alla fonte", come il Garante per la privacy segnala fin dal 1998), con immediata distruzione di quanto è evidentemente estraneo alle indagini, conservazione separata e riservata di ciò che successivamente potrebbe rivelarsi rilevante e attenzione specifica per la precaria sicurezza delle conversazioni raccolte (lo sottolinea l’ultima relazione del Garante) che facilita l’illegittima diffusione dei testi. E qui si coglie la prima connessione. Se vi è un grave problema di sicurezza nella materia delle intercettazioni, questo si dilata enormemente quando si considerano le gigantesche banche dati delle società telefoniche, dove sono conservati miliardi di informazioni sugli utenti e i loro interlocutori. L’assoluta inadeguatezza delle misure di sicurezza è stata ammessa da qualche grande gestore, e sono ben noti e documentati casi di vendita a privati di tabulati telefonici, con un preciso tariffario e con violazione continua della privacy degli utenti. L’esistenza di abusi in questo settore è stata appena confermata da una iniziativa di Vodafone, che ha chiesto a Telecom 525 milioni di danni per "illecito sfruttamento delle informazioni detenute".
Governo e parlamento non possono ignorare questi problemi, anche perché dev’essere trasposta nel nostro ordinamento la direttiva europea proprio sulla conservazione dei dati di traffico. Che cosa faranno i ministri per le Politiche comunitarie, dell’Interno e della Giustizia? Faranno finta che la questione non esiste, mantenendo nel nostro sistema questo pericoloso colabrodo che permette abusi ai gestori, offre opportunità di guadagno ai dipendenti "infedeli", viola clamorosamente la vita privata dei cittadini? O si renderanno conto che la corsa alla creazione di banche dati sempre più grandi moltiplica i problemi della loro gestione, facendo crescere la vulnerabilità sociale? Cercheranno, allora, di ridurre l’anomalia italiana di tempi di conservazione senza paragone in Europa e di misure di sicurezza inadeguate? Affronteranno pure il tema dei costi, che per i tempi di conservazione e la sicurezza sono evidentemente onerosi, riflettendo anche sulla necessità di nuovi accordi con i privati per ridurre le spese per le intercettazioni?
Né i ministri dell’Interno e della Giustizia possono ignorare la sentenza della Corte di Giustizia che ha ritenuto illegittimo l’accordo tra Unione europea e Stati Uniti sulla comunicazione dei dati riguardanti i passeggeri delle linee aeree. Questa decisione, infatti, ha ribadito la competenza nazionale in materia di sicurezza interna, ponendo al tempo stesso la questione della messa a punto di standard comuni europei, ovviamente indispensabili quando si parla di traffico aereo. Che farà il governo, anche perché dev’essere trasposta un’altra direttiva direttamente collegata a questi temi, quella sui dati raccolti dalle compagnie aeree? E, di tutto questo, il Parlamento vorrà discutere?
Scelte di questo genere sono destinate ad influenzare tutte le politiche pubbliche in materia di protezione dei dati. Che cosa farà il ministro dell’Innovazione? Seguirà una miope politica "efficientistica", generalizzando i collegamenti tra le banche dati pubbliche magari con l’argomento che così viene facilitata la vita dei cittadini e trascurando i rischi concreti che si fanno correre alla loro libertà nel momento in cui qualcuno può facilmente mettere insieme tutti i dati riguardanti una persona? O ridisegnerà intelligentemente i rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, senza limitarsi a dedicare una scappellata rituale alle garanzie di libertà nella vita privata?
Una evidente connessione tra questi temi e l’azione di governo si coglie nel decreto sulle liberalizzazioni. Qui è chiamato in causa il ministro dell’Economia perché, pur con il giusto obiettivo della lotta a evasione e elusione fiscale, si prevedono forme di raccolta di informazioni sui contribuenti ora sproporzionate rispetto al fine da raggiungere; ora potenzialmente lesive della riservatezza legata alla salute (come la norma che impone la comunicazione della causale per i danni risarciti); ora attributive agli addetti alla riscossione di un potere di accedere a tutte le informazioni conservate da soggetti privati e pubblici che evidentemente viola la natura di diritto fondamentale della protezione dei dati personali. Qui, appunto, è compito del Parlamento eliminare queste forzature e delineare in concreto il rapporto corretto tra Stato e cittadino.
Ma questa rimarrà impresa difficile fino a quando non si prenderà coscienza della necessità di abbandonate gli interventi settoriali e casuali e di passare ad una politica consapevole. È troppo chiedere al governo di attrezzarsi, e di dare fin d’ora segni di buona volontà, e al parlamento di intervenire tempestivamente e di esigere una discussione che possa definire un quadro di riferimento adeguato ad una realtà nella quale è necessaria una rilettura complessiva del quadro dei diritti fondamentali dal punto di vista di una garanzia piena e coerente delle informazioni che riguardano la vita di ciascuno di noi?

Stefano Rodotà

Stefano Rodotà (1933-2017) è stato professore emerito di Diritto civile all’Università di Roma “La Sapienza”. Ha insegnato in molte università straniere ed è stato parlamentare in Italia e in Europa. …