Giorgio Bocca: Marcinelle. Così gli emigranti pagavano il conto allItalia del boom
01 Agosto 2006
Era l’8 agosto del '56 e in una miniera di carbone di Charleroi, al Bois du Cazier di Marcinelle, in un incendio morivano 262 minatori, 136 dei quali italiani, abruzzesi e calabresi della Sila, gente di San Giovanni in Fiore, Castelsilano, Rocca Bernarda e dell’intero marchesato di Crotone. Una parte dei centoquarantamila emigrati in Belgio di quegli anni, una parte del prezzo che gli italiani poveri pagavano alla ricostruzione, al "miracolo", una parte del buon affare che il governo italiano aveva fatto con quello belga. Ogni anno migliaia di disoccupati nostri mandati a lavorare nelle miniere di Charleroi, lavoro italiano in cambio di carbone a basso costo per le industrie del triangolo Torino-Genova-Milano, la nostra locomotiva. Lavoro pesante, avvertiva un minatore, lavoro ingrato. ‟Perché è cusì, alla miniera nunn’è cosa facile, è cosa difficilissima. Tocca aprì gli occhi alla miniera, se no nun ci vai”. Ma tocca andarci, la povertà è grande nell’Italia del miracolo, bisogna lasciare le montagne luminose e profumate della Sila del Bruzio e venire a vivere in questo paese straniero e ostile, la Vallonia: in superficie i villaggi operai con le casette eguali dove tutti si riscaldano con il carbone della miniera, dove tutti campano faticando nelle viscere della terra, dove le donne sono vestite di nero quasi in attesa di un lutto, dove la terra è perforata da chilometri di cunicoli a volte non più alti di mezzo metro, dove si respira gas e si vive nel terrore che il gas si incendi. Il patto che il governo italiano ha fatto con quello belga è del tipo schiavistico: nessuna garanzia per la sicurezza del lavoro, nessuna assicurazione seria sulla salute, sugli incidenti, sulla vecchiaia. Un gregge da sfruttare, ma avercene in quel dopoguerra di patti così. Sembrava anzi di aver trovato una fortuna, al principio dell’estate il popolo rimesso in carne della emigrazione tornava in Italia sulle Fiat scassate di seconda e terza mano, macchine cariche di gente felice di conoscere una vacanza. Fra questa gente che restava legata alle sue origini si è celebrato per decenni il rito della Vallonia amica e memore che si schierava lungo le strade per vedere i Magni, i Bartali, i nostri ciclisti famosi, quel vento di paese che passava fra un frusciar di ruote, la Liegi-Bastogne-Liegi, la Freccia Vallone e le altre classiche sul terribile pavé lucido fra i bistrot con le baguette morbide e il casse-croûte. La cronaca della catastrofe è breve e disperata, si apre e si chiude con l’annuncio del primo dei soccorritori che riemerge da un pozzo: ‟Tutti cadaveri”. Anche quelli che hanno scritto su una tavola di legno: ‟Fuggiamo davanti al fumo. Siamo una cinquantina, ci dirigiamo verso lo snodo 26”. Anche loro, il fumo dell’incendio e il gas li hanno fermati a pochi passi dal pozzo di soccorso. Ci sarà naturalmente una inchiesta governativa sulla catastrofe da cui non risulteranno colpe della proprietà della miniera. Neppure quella di non aver fornito ai minatori le maschere antigas, ma non è lo stesso risparmio che noi abbiamo fatto nelle miniere del Sulcis o della Valle d’Aosta? L’unico colpevole del disastro, secondo la commissione di inchiesta, è l’operaio che stava di manovra all’ascensore del pozzo uno: quello dove è scoppiato l’incendio. Il fatale incidente avviene a livello meno 975. Due vagoncini pieni di carbone vengono caricati sulla gabbia-ascensore. Il primo è bloccato da un carrello incastrato. La gabbia si mette in moto e li trascina, così che una putrella che sporge da un vagoncino trancia dei fili telefonici e due cavi elettrici ad alta tensione. Vengono tranciate anche la condotta dell’olio e dell’aria compressa, gli archi elettrici appiccano il fuoco all’olio e alle parti in legno del pozzo. Alimentato dall’aria compressa e dalla ventilazione, l’incendio di inaudita violenza si estende a tutta la miniera: un incidente di carico si è trasformato in un disastro. A meno di un’ora dallo scoppio dell’incendio ogni contatto fra il fondo della miniera e la superficie è divenuto impossibile. Sotto l’azione del calore i cavi di estrazione si spezzano, le gabbie degli ascensori restano bloccate, la trappola infernale si è chiusa. Quando si sarà riaperto un ascensore e si tenterà di scendere in miniera, ci si fermerà a quota centosettanta dove un tappo di fumi stagnanti blocca l’operazione. Sei minatori vivi vengono trovati dalle squadre di soccorso: tre si sono riparati sotto un vagoncino; altri tre vengono trovati in una galleria per il riflusso dell’aria. Una folla di parenti si è riunita davanti alla miniera, una folla di donne vestite di nero. Una ragazza in stato di gravidanza viene schiacciata dalla ressa contro il recinto degli ingressi. Marcinelle segna la fine della tragica vicenda mineraria in Europa. L’estrazione del carbone diminuirà fino a finire completamente nel 1993. Nei giardini di Marcinelle è stato inaugurato il monumento ai caduti di Manoppello, il comune abruzzese che ha avuto il maggior numero di morti. La miniera di Cazier è chiusa dal 1967. Ormai è un monumento ‟permanente a ricordo dei minatori”. La sera dell’8 agosto prossimo vi sarà scoperta una targa commemorativa e si pregherà, di nuovo, per le vittime. Chi ha avuto ha avuto, chi è morto è morto.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …