Grass, il mito dell'innocenza
22 Agosto 2006
Nel segreto caparbiamente custodito per oltre sessant' anni da Günter Grass si racchiude l' enigma di un interminabile
dopoguerra politico e storiografico incapace di chiudersi perché anche i suoi uomini più illustri, generosi, sensibili e
illuminanti hanno accuratamente evitato, per decenni, di dire la verità. Perché hanno cancellato le tracce e sapientemente
ritoccato le loro biografie. Hanno lasciato che si depositasse una patina di inautenticità e di ipocrisia sui loro percorsi
esistenziali. Hanno fatto di se stessi un monumento. Hanno inventato il mito della loro innocenza. Ma nell' atmosfera della
malafede, le peggiori tragedie del passato, benché rimosse, riaffiorano come fantasmi implacabili. Nella sua confessione alla
Frankfurter Allgemeine, Günter Grass rivela di essersi arruolato, giovanissimo, nelle Waffen Ss. Grass, il mito dell'
Innocenza. lo Scrittore e le SsÈ una notizia traumatica, sorprendente. Ma non è sorprendente la motivazione con cui l' autore
del Tamburo di latta - una delle più sottili investigazioni sulla temperie psicologica e morale che favorì l' ascesa del
nazionalsocialismo in Germania - ha giustificato la sua tenace reticenza su quella scelta fatale abbracciata a quindici anni,
poco più che bambino: tacque «per vergogna», seppellì quel passato compromettente perché, confessa, «non avevo mai trovato la
forza di dirlo». Spiegazione nient' affatto sorprendente perché quel miscuglio di omertà, vergogna, imbarazzo destinato ad
alimentarsi per sessant' anni è la carta di identità di un intero establishment intellettuale che ha costruito, dopo la
sconfitta del nazismo e del fascismo, la propria leadership morale spezzando ogni legame con il proprio vissuto, con il
ricordo molesto degli anni in cui il Mostro trionfante aveva sedotto e abbacinato anche i «migliori». Qualcosa di
profondamente diverso dal banale opportunismo degli eterni voltagabbana che cambiano pelle a ogni mutamento di regime.
Qualcosa di molto somigliante, invece, all' annichilimento volontario del passato, a un «patto dell' oblio», come lo ha
definito Alberto Cavaglion, necessario alla costruzione di una leggenda in cui l' orrore del passato, deformato e reso
irriconoscibile, è stato messo in conto solo a un manipolo minoritario di malvagi irredimibili, restituendo una patente
incontaminata alla moltitudine dei complici e dei seguaci. Se dunque Grass non merita un processo iniquo e tardivo, se la
pietas, non l' indignazione, è il sentimento meno crudele nei confronti del giovane che Grass è stato, di un adolescente
confuso e frastornato che scambiava la croce uncinata per un simbolo del destino e dell' avventura, un giudizio diverso non
può che gettare un' ombra sull' attiva partecipazione al «patto dell' oblio» di uno scrittore gratificato dal ruolo di
coscienza critica, incarnazione di quella «nobiltà dello spirito» così rara nella Germania postnazista umiliata e prostrata
da una sconfitta apocalittica. Davvero non si trova «la forza per dirlo» in oltre sessant' anni? E nessuno immaginava,
nessuno biografo indiscreto in tutto questo tempo ha trovato l' ardire di indagare sugli anni giovanili del grande scrittore?
E qual è il motivo di tanta delicato riserbo per un tempo così prolungato? La vergogna, certo. Anche Norberto Bobbio tacque,
per vergogna, su alcune sciagurate lettere servili indirizzate al duce. Ma non nascose il suo rimorso, non volle più
galleggiare nell' indulgenza autocompiaciuta e lo disse con dolore a un giornalista «fascista», Pietrangelo Buttafuoco, in
una confessione che gli fa onore e che invece venne deplorata come una imperdonabile «debolezza» dai custodi dell' ortodossia
e dagli addetti alla monumentalizzazione della storia. E la confessione di Grass è forse scossa dalla stessa vergogna della
vergogna coraggiosamente denunciata da Bobbio? La storia di Günter Grass merita rispetto, come quella, identica o analoga,
dei tanti intellettuali italiani che, passati gli anni dell' adesione al fascismo o della compromissione con il regime, sono
diventati il cuore e il cervello dell' Italia antifascista occultando le tracce della loro vita precedente. Anche loro,
Vittorini, Bilenchi e Argan, Calamandrei, Moravia e Della Volpe, Paci, Firpo e Pasolini, Gadda, Pavese e Spadolini, Piovene,
Rossellini e Sapegno, Cantimori, Muscetta e Bianchi Bandinelli e tanti, tantissimi altri hanno reciso i vincoli esistenziali
con la parte imbarazzante di sé. Hanno modificato la loro biografia, rielaborandola, edulcorandola, abbellendola,
rimodellandola per renderla accettabile ed esemplare. Hanno pasticciato con le date della loro «fuoruscita» dal recinto del
regime, dilatato oltre ogni misura qualsiasi stormir di «fronda» e di precoce dissenso, sdoppiato la loro personalità
(«fascisti fuori, antifascisti dentro»), nobilitato sé stessi con gli esempi della storia e della letteratura (Nicodemo, la
«dissimulazione onesta»). Gli effetti della vergogna, certo. Ma anche il sostegno degli amministratori autorizzati del «patto
dell' oblio» che hanno accusato di «sensazionalismo» e di «scandalismo» chi faceva menzione di un passato che doveva essere
cancellato per sempre, come se il riaffiorare delle tracce occultate fosse conseguenza del lavorio torbido di devastatori
della memoria antifascista intenti a imbrattare i busti dei padri della patria, a intingere le loro penne nel veleno della
denigrazione. E invece il sensazionalismo non è che l' altra faccia del silenzio e dell' omertà. E l' omertà è il prezzo da
pagare per far coincidere la propria vita con la leggenda. Chi oggi potrebbe mettere in discussione la grandezza dei romanzi
di Grass o far pesare sulla reputazione di un grande scrittore la sventatezza dei suoi quindici anni? Si scolora sempre di
più, semmai, la reputazione di un dopoguerra che non ha conosciuto il rigore della resa dei conti e ha costruito un suo
pantheon di eccellenza a prescindere dal contenuto di verità che ne avrebbe legittimato il primato. Senza nemmeno il coraggio
di trovare «la forza per dirlo».
Günter Grass
Günter Grass (Danzica 1927 - Lubecca 2015) ha raggiunto la massima notorietà con Il tamburo di latta, pubblicato nel 1959 (Feltrinelli, 1962, nuova edizione 2009). Delle sue opere successive ricordiamo: …