Silvia Di Natale: Günther Grass e la colpa del tacere
30 Agosto 2006
Mentre seguo la disputa su Günther Grass, che ci tiene occupati ormai da due
settimane, mi tornano in mente le parole di un distinto signore da me
intervistato quando mi preparavo a scrivere Il giardino del luppolo”. Me lo
rivedo davanti, imbarazzato e insieme lusingato della mia curiosità; risento il
tono un po’ pedagogico della sua voce, quello che hanno spesso i vecchi quando
spiegano i loro tempi ai più giovani, e quel sottofondo di giustificazione che
hanno spesso i tedeschi anziani quando parlano del nazismo. Ma il signore con
cui parlo non avrebbe bisogno di giustificarsi: è nato nel 1929, aveva sedici
anni alla fine della guerra, non ha fatto in tempo ad essere arruolato e a
morire per il Führer cosa che a quell’epoca avrebbe fatto volentieri,
come mi confessa non senza un po’ di vergogna - e tuttavia si scusa: ‟Il fatto è che noi oggi non riusciamo a
immaginarci che cosa significava vivere a quel tempo... La vita quotidiana,
anche la cosa più banale, tutto era gleichgeschaltet, allineato, mi
capisce? La gente crede che un sistema totalitario si regga solo sulla
violenza
Ma, no, se fosse così non durerebbe a lungo: è
‟l’allineamento” di tutto e di tutti che lo tiene in piedi.‟ Si ferma,
mi guarda con un’aria un po’ rassegnata, come dubitando che io riesca a
capire fino in fondo che cosa significa l’orribile parola Gleichschaltung.
Poi continua: ‟Famiglia, scuola, letture
il regime era ovunque
Oltretutto riusciva a farti credere che l’allineamento totale fosse un atto di
ribellione, che il regime fosse la rivoluzione permanente
Per noi giovani
io ero un adolescente aderire era un modo di opporsi al borghesismo della
famiglia! I miei genitori, per esempio, non che fossero contrari al nazismo, ma
erano un po’ tiepiducci
i rivoluzionari eravamo noi, la gioventù
hitleriana
come ero fiero della bella uniforme!” ‟Però c’è anche chi
ha saputo ribellarsi
”, gli obietto. ‟Ma erano persone di un’altra
generazione
e in ogni caso, pensi al gruppo intorno a Hans e Sophie Scholl,
erano di qualche anno più vecchi
e poi vivevano in un altro ambiente, erano
a contatto con persone che li avevano ‟illuminati”
Ma erano pochissimi
quelli che trovano delle guide spirituali coraggiose
”
Così è accaduto anche a Günther Grass: anche lui credeva di potersi liberare dalla grettezza familiare aderendo al partito nazista, anche lui sognava l’eroismo dell’estrema difesa della patria, neppure lui ha trovato qualcuno che lo illuminasse Lo scrittore non ha mai taciuto sul suo passato, al contrario, ne ha parlato più volte, l’ha tematizzato nei suoi libri, l’ha confessato pubblicamente, come il peccato originale della sua generazione Si è chiesto mille volte, dice, se fosse da considerarsi una colpa non essere riuscito a capire da solo . Proprio per il suo spregiudicato modo di affrontare la storia recente del suo paese - e la propria - Günther Grass è stato la voce di una coscienza rinata, è ancora la voce che non si stanca di ripetere: Memento!
Nessuno può incolparlo per quel passato, nessuno gliene fa una colpa, infatti, tutti invece gli rimproverano di averci taciuto un unico particolare scandaloso: essere stato arruolato, anche se non di sua volontà, in un corpo delle SS. Fu solo il periodo del breve addestramento, non fece in tempo ad essere impiegato in qualche azione militare, finì subito prigioniero. Ma basta quella terribile sigla perché tutti insorgano. L’indignazione è unanime. Si enumerano le occasioni in cui avrebbe dovuto parlarne e non l’ha fatto . C’è chi si sente tradito molti mettono in discussione tutto ciò che lo scrittore ha detto e scritto , Lech Walesa vuole che restituisca la cittadinanza onoraria della città di Danzica , altri pretendono che rinunci al premio Nobel, altri, peggio ancora, salvano i suoi libri ma non l’uomo che li ha scritti (come Salman Rushdie che dichiara la sua solidarietà a Grass paragonandolo a Férdinand Céline, che fu invece un sostenitore cosciente dei collaborazionisti francesi). Certo, anche tacere è grave, specialmente per un personaggio del rango di Günther Grass, ma l’ondata di pubblico scandalo finisce con il confondere la colpa del tacere con una colpa che sarebbe ben più grave se esistesse: quella di una partecipazione voluta e cosciente alle SS, che nel caso di Grass è da escludere.
Nelle interviste dei giorni scorsi, alla televisione, lo scrittore aveva l’aria affranta. Tutti a chiedergli: ‟Perché non ne ha parlato prima?” Grass, imbarazzato, non faceva che rispondere: ‟Mi vergognavo.” Tutti si stupiscono come se fosse una cosa inaudita. Come è possibile che abbia taciuto per sessant’anni e che lo dica solo adesso? Si cercano altre motivazioni, molti non esitano a sospettare dietro le parole di Grass un’intenzione commerciale ironizzando sul suo spiccato senso per il marketing. Con quale leggerezza una persona che fino a ieri godeva della più alta stima viene accusata di menzogna e ipocrisia! Chi ci autorizza a mettere in dubbio le sue parole? Forse in tempi di comunicazione totale, in cui chiunque si sente in obbligo di parlare pubblicamente anche dei fatti più privati, ci siamo dimenticati che a volte parlare fa male. E più a lungo si tace più doloroso è parlare. Anche per uno scrittore. Anche per un premio Nobel.
Günther Grass si vergognava, l’indegna divisa che ha indossato per due mesi l’ha segnato come il tatuaggio che i membri delle SS portavano inciso sotto le ascelle per tutta la vita. Non riusciva a parlarne. Ma Grass è uno scrittore: è logico che il modo più appropriato per liberarsi di una verità dolorosa gli sia sembrato quello di trasformarla in verità letteraria. Ha pensato che il libro avrebbe parlato in sua vece (la ‟rivelazione” ai giornali ha infatti preceduto di poco l’uscita della sua autobiografia). E’ stata una decisione sbagliata: Grass non ha valutato adeguatamente la sensibilità con cui l’opinione pubblica reagisce al solo sentir nominare le SS. Ora, stupito della reazione si sente incompreso. Ha ragione. In fondo Grass, per usare la sua metafora, è riuscito a sfogliare la sua cipolla fino all’ultimo strato, senza curarsi delle lacrime. Ci riescono tutti?
Così è accaduto anche a Günther Grass: anche lui credeva di potersi liberare dalla grettezza familiare aderendo al partito nazista, anche lui sognava l’eroismo dell’estrema difesa della patria, neppure lui ha trovato qualcuno che lo illuminasse Lo scrittore non ha mai taciuto sul suo passato, al contrario, ne ha parlato più volte, l’ha tematizzato nei suoi libri, l’ha confessato pubblicamente, come il peccato originale della sua generazione Si è chiesto mille volte, dice, se fosse da considerarsi una colpa non essere riuscito a capire da solo . Proprio per il suo spregiudicato modo di affrontare la storia recente del suo paese - e la propria - Günther Grass è stato la voce di una coscienza rinata, è ancora la voce che non si stanca di ripetere: Memento!
Nessuno può incolparlo per quel passato, nessuno gliene fa una colpa, infatti, tutti invece gli rimproverano di averci taciuto un unico particolare scandaloso: essere stato arruolato, anche se non di sua volontà, in un corpo delle SS. Fu solo il periodo del breve addestramento, non fece in tempo ad essere impiegato in qualche azione militare, finì subito prigioniero. Ma basta quella terribile sigla perché tutti insorgano. L’indignazione è unanime. Si enumerano le occasioni in cui avrebbe dovuto parlarne e non l’ha fatto . C’è chi si sente tradito molti mettono in discussione tutto ciò che lo scrittore ha detto e scritto , Lech Walesa vuole che restituisca la cittadinanza onoraria della città di Danzica , altri pretendono che rinunci al premio Nobel, altri, peggio ancora, salvano i suoi libri ma non l’uomo che li ha scritti (come Salman Rushdie che dichiara la sua solidarietà a Grass paragonandolo a Férdinand Céline, che fu invece un sostenitore cosciente dei collaborazionisti francesi). Certo, anche tacere è grave, specialmente per un personaggio del rango di Günther Grass, ma l’ondata di pubblico scandalo finisce con il confondere la colpa del tacere con una colpa che sarebbe ben più grave se esistesse: quella di una partecipazione voluta e cosciente alle SS, che nel caso di Grass è da escludere.
Nelle interviste dei giorni scorsi, alla televisione, lo scrittore aveva l’aria affranta. Tutti a chiedergli: ‟Perché non ne ha parlato prima?” Grass, imbarazzato, non faceva che rispondere: ‟Mi vergognavo.” Tutti si stupiscono come se fosse una cosa inaudita. Come è possibile che abbia taciuto per sessant’anni e che lo dica solo adesso? Si cercano altre motivazioni, molti non esitano a sospettare dietro le parole di Grass un’intenzione commerciale ironizzando sul suo spiccato senso per il marketing. Con quale leggerezza una persona che fino a ieri godeva della più alta stima viene accusata di menzogna e ipocrisia! Chi ci autorizza a mettere in dubbio le sue parole? Forse in tempi di comunicazione totale, in cui chiunque si sente in obbligo di parlare pubblicamente anche dei fatti più privati, ci siamo dimenticati che a volte parlare fa male. E più a lungo si tace più doloroso è parlare. Anche per uno scrittore. Anche per un premio Nobel.
Günther Grass si vergognava, l’indegna divisa che ha indossato per due mesi l’ha segnato come il tatuaggio che i membri delle SS portavano inciso sotto le ascelle per tutta la vita. Non riusciva a parlarne. Ma Grass è uno scrittore: è logico che il modo più appropriato per liberarsi di una verità dolorosa gli sia sembrato quello di trasformarla in verità letteraria. Ha pensato che il libro avrebbe parlato in sua vece (la ‟rivelazione” ai giornali ha infatti preceduto di poco l’uscita della sua autobiografia). E’ stata una decisione sbagliata: Grass non ha valutato adeguatamente la sensibilità con cui l’opinione pubblica reagisce al solo sentir nominare le SS. Ora, stupito della reazione si sente incompreso. Ha ragione. In fondo Grass, per usare la sua metafora, è riuscito a sfogliare la sua cipolla fino all’ultimo strato, senza curarsi delle lacrime. Ci riescono tutti?
Günter Grass
Günter Grass (Danzica 1927 - Lubecca 2015) ha raggiunto la massima notorietà con Il tamburo di latta, pubblicato nel 1959 (Feltrinelli, 1962, nuova edizione 2009). Delle sue opere successive ricordiamo: …