Gian Antonio Stella: Avvocati, l’Ordine vuole punire chi si fa pubblicità

12 Settembre 2006
‟Non dite a mia madre che faccio il giornalista, mi crede pianista in un bordello”, dice una vecchia battutaccia attribuita (a torto, pare) a Mark Twain. Il Consiglio nazionale forense, invece, non scherza affatto. E dalla ringhiosa trincea in cui sta contro il decreto Bersani, bolla sprezzante i giornali, la radio e la tivù, dove i legali meno noti potrebbero farsi pubblicità, come ‟mezzi disdicevoli”. La definizione è contenuta in una circolare inviata il 4 settembre ai presidenti dei consigli dell’Ordine, dell’Organismo Unitario Avvocatura, della Cassa Forense e di tutte le Associazioni Forensi. Circolare che, firmata dal presidente Guido Alpa, fornisce quella che il Consiglio definisce l’"interpretazione e applicazione" delle nuove norme, applauditissime e contestatissime, sulle liberalizzazioni. Sia chiaro, dice il documento nel preambolo, nulla è perduto: "la nuova disciplina dovrebbe avere natura transitoria". E perché? Perché bisogna vedere come andranno "le prossime pronunce della Corte di Giustizia riguardante la legittimità delle tariffe obbligatorie quale compenso per l’attività stragiudiziale forense e la legittimità del divieto della libera negoziazione del compenso professionale forense" più "l’eventuale pronuncia della Corte costituzionale" più "l’esito del processo di riforma della disciplina forense, che si avvierà con la ripresa autunnale alle Camere". Insomma, è la promessa, ci sarà battaglia. Nel frattempo, spiega la circolare, che ha costretto l’avvocato Gianluca Meterangelo di Milano ad annullare una pubblicità già pagata sui giornali dove, sfruttando la "Bersani", offriva con parole sobrie la sua consulenza professionale proponendo "un incontro gratuito e senza impegno per conoscere i nostri servizi e le nostre tariffe", tutto deve restare più o meno come prima. Per cominciare, alla larga dall’idea dinamitarda dell’abolizione delle tariffe minime. Dice la legge, all’articolo 2, che "in conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato" vengono "abrogate" (testuale: abrogate) tutte "le disposizioni legislative e regolamentari" che prevedono "l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti". Chiare le parole, chiaro l’obiettivo: scardinare quel sistema che, dietro la scusa di per sé nobile di garantire ai colleghi che lavorano una remunerazione dignitosa, bloccano di fatto (e vale per un po’tutti gli ordini: dagli architetti ai giornalisti, dagli ingegneri agli avvocati di cui parliamo) ogni possibile concorrenza. Chiaro un corno, dice l’"interpretazione" del Cnf: "Nel caso in cui l’avvocato concluda patti che prevedano un compenso inferiore al minimo tariffario, pur essendo il patto legittimo civilisticamente, esso può risultare in contrasto con gli artt. 5 e 43 c.II del codice deontologico in quanto il compenso irrisorio, non adeguato, al di sotto della soglia ritenuta minima, lede la dignità dell’avvocato". Traduzione: ogni contratto tra avvocato e cliente al di sotto del tariffario minimo sarà anche valido per legge, ma va sanzionato sotto il profilo deontologico. Non solo oggi, ma anche dopo la revisione imposta entro l’anno del nuovo codice di auto-disciplina: "In ogni caso, lo si ripete, anche dopo il 1° gennaio 2007, sarà possibile sindacare il comportamento deontologico, ai sensi degli art. 5 e 43 c.II del codice, se il compenso sia sproporzionato all’impegno". E chi deciderà quale tariffa garantirà che il "compenso sia proporzionato all’impegno"? L’Ordine. Non sarà il rientro dalla finestra della tariffa minima appena abrogata? No, ma, però, forse... Ma ancora più interessante, come dicevamo, è la risposta all’abrogazione del "divieto anche parziale di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni". Abrogazione decisa per permettere alla gente di farsi un’idea (fermo restando il vecchio adagio che spesso "chi costa poco vale poco") di ciò che può fare confrontando "anche" le diverse offerte. Bene: per il Consiglio nazionale forense, la legge Bersani "non fa cenno né alla pubblicità comparativa (che pure si era affacciata in precedenti progetti di riforma delle professioni) né ai mezzi pubblicitari. Pertanto, restano confermate le disposizioni del codice deontologico che vietano la pubblicità comparativa e quelle che prevedono restrizioni in materia di mezzi utilizzati". Cioè? "Non è ammesso l’uso di mezzi disdicevoli" quali non solo "l’affissione di cartelli negli esercizi commerciali" ma anche "gli organi di stampa, la radio e la televisione"... Un capolavoro. "Ci provino", ringhia bellicoso Pierluigi Bersani, "che ci provino, a non rispettare la legge. Le nuove regole sono chiare e inequivocabili. Uno deve poter dire: io curo una causa di divorzio per 3000 euro. È bravo? È scarso? Verrà giudicato. Ma deve poterlo dire. Ed è il codice deontologico che in una democrazia deve adeguarsi alla legge, non viceversa. Ci mancherebbe altro... Sulla faccenda dei "mezzi disdicevoli" non voglio neanche entrare. Mi affido al senso del ridicolo dei lettori". Quel che è certo, assicura, è che oggi "partirà immediatamente una segnalazione all’Antitrust". Lo scontro, questo è sicuro, è appena cominciato.

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …