Massimo Mucchetti: Di Pietro. “Rivedrò tutte le concessioni autostradali”

13 Settembre 2006
Antonio Di Pietro non ci sta a farsi imprigionare nell’immagine di chi si oppone per pregiudizio nazionalista alla fusione tra Abertis e Autostrade. E meno che mai ora che il governo sembra non voglia arrivare a uno scontro con la Commissione Ue.


Signor ministro, la sua linea sembra isolata nel governo.
Non mi sento isolato né escluso dalle decisioni del governo né, per i profili di mia competenza, da quelle della fusione. Come ha ribadito il Consiglio di Stato, tocca al ministero delle Infrastrutture autorizzare l’operazione. Naturalmente, cerco l’accordo dell’intero esecutivo, ma la barra del timone qui sta. E qui si va con i piedi di piombo.

Fin troppo...
Si tratta di un bene pubblico primario: il diritto alla mobilità. E il ministro ha il dovere di tutelare i consumatori che devono poter disporre di autostrade efficienti, sicure e a prezzi equi che non rappresentino un’iniqua tassazione indiretta; il contribuente che paga, attraverso le imposte, la quota di investimenti non finanziata in tariffa e le spese di gestione indirette non coperte dal concessionario; le maestranze dell’autostrada e delle imprese fornitrici; infine, gli investitori.

Mette la Borsa all’ultimo posto.
Non è mancanza di rispetto per chi ha investito nelle concessionarie, ma un ministro deve avere e dichiarare le sue priorità. E poi c’è un quinto interesse da tutelare: l’assetto societario delle imprese adatto a promuovere efficienza e sviluppo a beneficio dell’economia nazionale.

La Commissione Ue dice che il no del governo Prodi alla fusione Abertis-Autostrade va rimosso perché lede la libera circolazione dei capitali.
Ma noi non contestiamo la fusione. Ci mancherebbe. Noi interveniamo sul passaggio della concessione da una società all’altra.

La concessione resta in capo ad Autostrade per l’Italia. Che cosa accade tra i soci della holding non dovrebbe riguardare il governo.
Ogni concessione è in capo a una persona giuridica che ne deve poter rispondere al concedente senza trincerarsi, un domani, dietro cambi di proprietà ai piani superiori. La concessione è legata all’intuitus personae. Vede, Abertis ha un’ottima reputazione. Ma poniamo che Autostrade venda a Totò Riina.

La fa troppo facile.
Supponiamo che venda ai furbetti del quartierino, che con l’indulto la fanno pure franca: lo Stato concedente potrebbe far finta di niente in nome del libero mercato? Ma con quale ipocrisia si parla di libero mercato dove ci sono solo monopoli naturali!

Ma se la Commissione Ue aprisse una procedura contro l’Italia?
Osserverei che, se la circolazione dei capitali non deve subire limiti, non dovrebbe nemmeno avere spinte come gli speciali benefici fiscali che Madrid ha varato per chi mette la sede in Spagna e che hanno tutta l’aria di essere aiuti di Stato.

Si parla di benefici da un miliardo. Non abbiamo ancora fatto i conti: mancano i dati aziendali, ma vedremo anche questo. Intanto annoto che con la fusione l’imponibile in Italia potrà essere ridotto così da pagare altrove una parte delle imposte fin qui dovute al nostro Erario. Ma torniamo al veto sui costruttori. Il governo italiano lo pose per evitare che alcuni costruttori, diventando soci di Autostrade, se ne aggiudicassero i lavori in via preferenziale a danno degli altri. L’Europa, che aveva sollecitato la prevenzione di questo rischio, ne fu molto soddisfatta. Adesso cambia idea e ci chiede di disapplicare la norma? Ma io dico: ponti d’oro! Finalmente discuteremo del merito.

Sarebbe?
Tutti guardano questo possibile contenzioso con Bruxelles e non seguono l’opera silenziosa, ma più importante, che sta facendo il ministero. Fu così anche con Mani pulite. Molti sottovalutarono, ma un mattone oggi e un mattone domani a un certo punto si tolse il mattone d’angolo e Tangentopoli franò. Insomma, si guarda il dito e non la luna.

E sulla luna che c’è?
Il ministero delle Infrastrutture che ha aperto un’istruttoria sulle 23 concessioni italiane. A 10 anni dalla convenzione di Autostrade, e dopo anni di esperienza con le altre concessionarie, è arrivata l’ora di controllare l’esecuzione delle convenzioni in relazione agli interessi generali.

Ha già un’idea?
Ho l’impressione che l’unico interesse garantito sia il quinto, quello delle società. Un pò poco. Anche perché, come ha ben detto il professor Capaldo al ‟Corriere”, in queste attività è venuto a mancare qualsiasi rischio di impresa. E in mancanza di rischio vien meno la giustificazione del profitto e quindi il sinallagma contrattuale. Ogni contratto deve avere un equilibrio di prestazioni, altrimenti il contraente troppo svantaggiato lo può risolvere per eccessiva onerosità in base all’articolo 1467 del codice civile. Questo può valere per Autostrade ma non solo per Autostrade.

È la minaccia di guerra totale?
Macché minaccia. Abbiamo riunito al ministero tutte le 23 concessionarie e la loro associazione, l’Aiscat. Le ho invitate a considerare la realtà. E ho proposto di trovare assieme il modo per introdurre un elemento di rischio imprenditoriale serio nelle concessioni attraverso la novazione delle convenzioni.

Se le concessionarie nicchiano? Cammin facendo, capiterà che vengano a chiedermi le autorizzazioni che il Consiglio di Stato ha ribadito essere in capo al ministero. E avremo modo di riprendere il discorso.

Come con Autostrade?
Appunto. Intanto le 23 concessioni sono sub iudice. E la prima novazione la stiamo facendo con l’Anas, che era il centro dei più gravi conflitti d’interesse essendo al tempo stesso concessionaria e concedente. Abbiamo scisso le funzioni e adesso l’Anas concedente, e dunque vigilante, d’intesa con le Regioni, promuoverà la costruzione dei nuovi segmenti autostradali avendo come riferimento gli interessi del consumatore. Il che vuol dire piani tariffari che coprano i costi industriali e finanziari lasciando un quid pluris, pattuito all’origine e verificato nei termini stabiliti, che verrà reinvestito in loco o in altre opere senza caricare sui pedaggi la remunerazione del capitale.

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …