Gad Lerner: Oriana Fallaci. Così ha vissuto la battaglia più importante
19 Settembre 2006
La rabbia e il tumore è solo uno stupido gioco di parole. Eppure c’è un nesso evidente fra la potenza suggestiva delle ultime, controverse opere della Fallaci e il declino del suo corpo aggredito. Oriana e il cancro. Un nesso da lei stessa reso esplicito ai lettori, che non autorizza nessuno a eluderne le argomentazioni politiche e culturali, ma certamente aiuta a comprendere la sintonia instaurata dall’autrice con le inquietudini della sua vastissima platea. Che il cancro non sia una malattia contagiosa e che dal cancro si possa guarire sono infatti certezze mediche sempre meno consolatorie, rese scricchiolanti nell’esperienza di ciascuno di noi dall’ecatombe silenziosa degli amici e dei congiunti. La rimozione e la scaramanzia ingigantiscono il tabù, circondano quasi sempre di silenzio il nostro incontro con una malattia che più di ogni altra viviamo come destino di solitudine. Il non detto acuisce i nostri interrogativi e ci rende ricettivi d’angoscia nel mistero di un’intima metamorfosi. L’ultima guerra di Oriana, così lei vi accenna. Una guerra contro il suo corpo in disfacimento dal quale occorre a suo dire estraniarsi cercando l’unico rifugio possibile nella trincea della mente. Il cervello, sì, solo quello combatte ancora, convinta com’è Oriana che possa ‟controllare, tenere a bada, un mucchio di cellule impazzite”. Così si descrive nell’estate 2004 in Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci. Fino a deformare il motto latino: ‟Mens sana in corpore infirmo”. Ci tiene a ripeterlo, a scanso d’insinuazioni: la mente resiste benissimo, l’anima è solo una formula chimica, il cervello secerne anticorpi. Con l’elmetto in testa, fino all’ultimo, in contrapposizione al corpo percepito ormai come nemico. Non a caso lo chiama l’Alieno, quel cancro che ‟s’è fatto il nido nei polmoni e nella trachea e nell’esofago”. Che fatica, e che disperazione! Mi avventuro su un terreno che so scivolosissimo con la timidezza di chi oggi non vive dentro di sé la malattia neoplasica e dunque non può avere certezza di quali sarebbero le sue reazioni a una tale scoperta. Ma è un fatto che la personalità inappagata di Oriana Fallaci - poco importa a lei l’aver vissuto un’esistenza densa e gratificante, ancora non le bastava - l’ha indotta a reagire con rabbia di fronte all’intrusione aliena. Il corpo invaso diviene terreno di battaglia da cui ritirarsi, perfino disinteressandosene: ‟Con l’11 settembre smisi di curarmi. Di frequentare gli oncologi, di farmi gli esami”. La stessa medicina viene ridimensionata a mera tecnica, come tale poco interessante, in fondo disumana. Qui diviene inevitabile l’accostamento all’altro grande giornalista scrittore fiorentino la cui ombra ha perseguitato Oriana Fallaci pure nella controversia sulla guerra al terrorismo: Tiziano Terzani. Perché non c’è dubbio che il successo degli ultimi libri di Terzani - fino alla generazione di un popolo di terzanisti contrapposto al popolo degli orianisti - deve moltissimo alla testimonianza della sua malattia e di una serena preparazione al commiato. A 59 anni, quando scopre di essere affetto da un tumore, Terzani è già un uomo appagato dalla felicità della sua straordinaria esperienza di vita. Ciò gli consente di esaminare con distacco, perfino curiosità, quel che gli capita. Non rinuncia a curarsi, sperimenta su se stesso. Stabilisce subito che la sua non dovrà essere una ‟guerra al cancro” ma una ricerca insieme terapeutica e spirituale. Anche lui riscontra subito i limiti insuperabili della scienza degli ‟aggiustatori”, camici bianchi abituati a considerarci come una somma d’ingranaggi e dunque inadeguati alla cura della persona malata nella sua organica unicità. Decide perciò di instaurare un rapporto amorevole con il corpo di Tiziano, accudirlo nell’accompagnamento della terapia, accettando che il cancro non sia un Alieno ma una parte della sua esperienza vitale, posticipando così ma al tempo stesso preparando l’inevitabile successivo distacco da quel corpo: un’esperienza che dovrà completarsi nella trasmissione generazionale cui la natura ha destinato il figlio Folco. Così, in ultimo l’ironia del morente gli consentirà addirittura di rivolgersi all’‟amico cancro”. Con la sua ricerca durata sette anni, Tiziano Terzani ci ha consegnato un contributo originale a quel processo di umanizzazione della medicina che tanti passi ancora deve compiere. E di ciò in tanti gli siamo grati. Non credo di fare un torto a Oriana Fallaci se dico invece che lei ha incarnato da par suo la paura del cancro che corrode silenziosamente le nostre relazioni sociali. Perché di fronte alla vulnerabilità della nostra struttura cellulare, dentro ciascuno di noi, non importa come e se credente, il dolore fa sì che convivano la furia e la possibilità della saggezza. Rendendoci familiari a Oriana e Tiziano, gli opposti. Magari riuscissimo, anche grazie a loro, a rompere la cortina del silenzio intorno al cancro. Il nostro cancro.
Gad Lerner
Gad Lerner è nato a Beirut nel 1954 da una famiglia ebraica e a soli tre anni si è dovuto trasferire a Milano. Come giornalista, ha lavorato nelle principali testate …