Massimo Mucchetti: Pirelli, Benetton e un’Olimpia in cerca di capitali

19 Settembre 2006
Per capire le dimissioni di Marco Tronchetti Provera conviene guardare, più che alle polemiche con il governo, alle posizioni dei Benetton, partner di Pirelli in Olimpia, la scatola che contiene il 18% di Telecom Italia. Due anni fa i Benetton subirono la fusione Telecom-Tim. Per recuperare la perdita già allora enorme sull’investimento comune nelle telecomunicazioni, a loro avviso sarebbe stato meglio scegliere tra due opzioni: ricapitalizzare Olimpia anche con nuovi soci e affidare la gestione di Telecom a un management distinto dalla proprietà oppure vendere Tim e la rete di accesso per fare cassa. Alla fine, Tronchetti ha imboccato la seconda strada, quella del break up, che avrebbe salvaguardato il ruolo suo e di Pirelli. Ma la tripartizione del gruppo non esprime un disegno imprenditoriale al momento convincente, non potendo dirsi tale l’idea di trasformare Telecom in media company: oggi i ricavi mediatici sono meno dell’1% e potrebbero salire in tempi ragionevoli non certo attraverso la trasmissione di contenuti altrui, ma attraverso acquisizioni e fusioni con tv e case editrici, ardua impresa visto che la legge Gasparri chiude le porte delle varie Mediaset ed Rcs, ammesso e non concesso che qualcuno, da dentro, le voglia aprire. Lo spezzatino, d’altra parte, appare una ben deludente conclusione della madre di tutte le privatizzazioni. E qui si apre il problema di interesse generale. Avendo reso contendibile un gruppo con pochi debiti e molto cash flow, l’Ulivo offrì su un piatto d’argento una preda a chi poteva comprarsela a debito: il primo a capire l’opportunità fu Colaninno; il secondo che cercò di approfittarne è stato Tronchetti, ma ormai la bolla delle telecomunicazioni si andava sgonfiando. Colaninno lasciò Telecom con 41 miliardi di debiti, Tronchetti la lascia con un’esposizione uguale dopo aver venduto una quantità di asset: un’esposizione alla quale concorrono 19 miliardi derivanti dalle Opa parziali di Olivetti su Telecom e di Telecom su Tim che servivano solo a non diluire le posizioni del tandem Pirelli-Benetton. Constatati limiti e responsabilità politiche e culturali, pubbliche e private di quell’esperienza, nessun governo potrebbe essere soddisfatto se l’esito della partita fosse l’ingresso in Tim di nuovi padroni indebitati quanto il precedente e la cessione della rete d’accesso per esigenze di bilancio dei soci di riferimento dell’ex monopolio. Sui debiti, peraltro, sarebbe bene evitare demagogie. Il debito di Telecom o quello della Tim scorporata hanno l’effetto di tarpare le ali alle aziende, non di ucciderle. Con una proprietà meno debole e concentrata si potrebbe ridurre rapidamente. I problemi, dunque, stanno altrove: in Olimpia e Pirelli. Mentre i Benetton hanno già svalutato l’investimento in Telecom, Pirelli lo deve ancora fare. Ma la fine del 2006 si avvicina. Senza contromisure, un simile passo avrebbe un impatto rilevante sui conti e non faciliterebbe la raccolta delle risorse per far fronte ai pagamenti della Pirelli, tra i quali spicca il rimborso dei bond senza rating (500 milioni ad aprile e altrettanti nel 2008). Smontare Telecom per portare un po’di cassa verso Pirelli è soluzione con evidenti vantaggi padronali; varare un aumento di capitale in Olimpia, aperto se del caso ad altri soci, che dia le risorse per fare altrettanto in Telecom, potrebbe risolvere molti problemi, anche in Pirelli. Ne verrebbe rilanciato l’intero gruppo e si lascerebbe tempo e modo alla regolazione di fare il suo corso senza scambi impropri con l’incumbent, magari consigliati dall’alto. Il governo ha commesso gaffe imbarazzanti, ma se i capitalisti non sanno decidere si crea un vuoto che qualcuno in qualche modo colmerà.
Con la consulenza tecnica di Miraquota

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …