Vittorio Zucconi: La California fa causa alle auto

22 Settembre 2006
Non c’è più posto per le automobili nell’Hotel California, stanco di respirare veleni e succhiare tubi di scappamento. La lunga, intensa, feroce love story fra i californiani e le macchine precipita, come nei film per signore tradite sfornati proprio qui a tonnellate, verso un divorzio, finanziariamente devastante come tutti i divorzi.
Nello stato dove il governatore stesso, il leggendario Terminator Schwarzenegger possiede una flotta di super fuori strada Hummer, la versione civile di quelle disgraziate jeep militari che esplodono ogni giorno sulle strade dell’Iraq, l’imminenza delle elezioni ha provocato la prima ‟causa per danni ambientali” intentata dal governo contro i costruttori di auto sia americani che giapponesi. E la prospettiva di cifre di risarcimenti inimmaginabili, capaci di far apparire i 300 miliardi di dollari inflitti ai produttori di sigarette (ma mai pagati) come una tosse passeggera.
La California che ha creato la modernità e ha inventato a Hollywood il ‟sogno Americano”, ha asfaltato i propri deserti e le proprie coste, ha creato le ribellioni studentesche e ambientali a sinistra e le rivolte antifiscali a destra e oggi rinnega ciò che l’ha fatta: the car, l’automobile. Soffocata nella conca di Los Angeles dai 46 milioni di marmitte che vomitano polveri e ozono nell’aria bloccata dalle inversioni termiche esiste, cinturata dagli spaghetti bowl dalle scodelle di sovrappassi, sottopassi, svincoli che annodano le sue superstrade senza dipanare mai il traffico, la terra delle superhighway trasformate in parcheggi lunghi centinaia di chilometri vuole almeno fingere di ribellarsi.
Il procuratore generale dello stato, che è una carica elettiva e quindi esposta a ogni tentazione demagogica, Bill Lockyer, ha presentatro querela per danni ambientali contro Ford, Daimler-Chrysler, General Motors, Toyota, Nissan e Honda con l’accusa di avere asfissiato i 37 milioni di persone che vivono in California, più gli altri milioni che vivono nella clandestinità, non censiti.
‟Se questa querela arrivasse mai a una condanna e a una pena finanziaria, le case automobilistiche potrebbero tranquillamente chiudere e mettersi a produrre temperamatite” è il commento del capo economista del ‟Centro Ricerche sull’Automobile” del Michigan, un istituto finanziato dai costruttori di macchine.
Il vento delle elezioni imminenti, dal quale anche il Terminator austriaco rischia di essere terminato dopo l’elezione trionfale, ha ispirato sia la nuova legge voluta proprio dal governatore contro l’opinione del proprio partito per ridurre di un quarto gli scarichi delle auto entro il 2009, sia questa improbabile ma sensazionale mossa legale del procuratore Lockyer. La California, che da sola supera l’emissioni di inquinanti degli altri stati americani e sarebbe la settima nazione al mondo per la quantità di gas riversati nell’atmosfera, è anche lo stato nel quale, comprensibilmente, le sensibilità ecologiche sono più acute.
Tra la bellezza sensazionale dei suoi deserti, delle sue coste e delle sue foreste, e l’orrore soffocante della conca di Los Angeles quando i venti imprigionano l’aria calda fra il Pacifico e la Sierra, stanno le automobili, le grandi nemiche da sconfiggere. I nuovi modelli ‟ibridi” con motori combinati elettrici e a scoppio, hanno venduto qui più che in tutti gli altri 49 stati americani insieme, anche grazie agli sconti fiscali fino a 3 mila dollari offerti ai 70 mila acquirenti, nel 2005, della popolarissima ‟Toyota Prius”.
Proprio come nelle love stories finite male, tuttavia, anche il rapporto fra i californiani e le automobili è assai più complesso del semplicismo elettorale dei cacciatori di voto.
La California non può più vivere con le sue troppe automobili, ma non può neppure vivere senza di esse. I trasporti pubblici nella grande Los Angeles, regione ormai estesa ben oltre le dimensioni di una Lombardia o di un Lazio, sono a tutti i fini pratici, inesistenti. Soltanto nella diligente ed ecologicamente per benino San Francisco funziona una metropolitana degna di questo nome. Il commuting, il pendolarismo quotidiano fra la casa e il lavoro richiede in media il doppio del tempo di qualunque altra regione Americana, un’ora e mezza al giorno bloccati nei leggendari ingorghi che neppure la frenetica costruzione di nuove ‟grandi opere” ha mai alleviato, secondo il classico paradosso del traffico: più autostrade si costruiscono, più saranno ingorgate. E quei 50 milioni di vetture che si avvinghiano l’una con l’altra nelle ore di punta, portando all’esasperazione automobilisti che a volte sparano senza ragione, come accadde qualche anno addietro sulla infernale San Diego Freeway vedono accanto alle Bentley, alle Porsche, alla, alle Ferrari e alle Bmw dei divi, la collezione di catorci fetidi passati di mano in mano fino agli ultimi arrivati dalla frontiera del Messico.
Colpire le case produttrici, che già devono sottoporsi alle regole ambientali della California, le più severe del mondo, sembra la maniera più efficace di tappare alle fonte l’inquinamento atmosferico, nel sogno di riportare questa terra agli anni nei quali la valle era una distesa di agrumeti, appunto nella Orange Valley, prima che la Guerra portasse qui i grandi produttori di aereoplani, attratti dal clima arido. Nessuno, tranne i repubblicani più duri e puri, angeli custodi del business e dell’industria, osa mettersi contro la corrente salutista ed ecologista di uno stato dove già è un reato fumare in un’auto dove viaggi un bambino al di sotto dei 12 anni. Si è adeguato Schwarzy, repubblicano anomalo, pro abortista, pro ricerca sugli embrioni, oggi sceso in Guerra contro quell’effetto serra che il leader del suo stesso partito, Bush, e i mandarini della destra considerano ancora come un mito da dimostrare, per non offendere i propri benefattori elettorali. E gli è corso dietro il procuratore generale dello stato, con la sua causa per danni contro le sei sorelle del motore a scoppio, sognando, se non la California di ieri ormai sepolta, almeno una vittoria elettorale nella California di domani.
Vincere le elezioni, anche andando a piedi.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …