Gian Antonio Stella: “Giornali nemici”. E Romano scoprì la sindrome di Silvio

18 Ottobre 2006
Se gli pagassero il copyright, Calimero non andrebbe più ramingo col fagottino sulle spalle. Dopo Silvio Berlusconi, che sul tema faceva una lacrimuccia alla settimana, anche Romano Prodi ha ripreso infatti a fare il verso all’indimenticabile lagna del pulcino: ‟Uffa, ce l’hanno tutti con me...” Tutti chi? I giornali e i giornalisti, si capisce. Quelli che Massimo D’Alema, non a caso ribattezzato da Giuliano Ferrara come ‟Sarcasmo da Rotterdam”, chiamava simpaticamente ‟le jene dattilografe”. Sempre pronte, pensa te, a digrignare al governo. I cronisti stranieri, a partire da Bill Emmott, che ai tempi in cui attaccava il Cavaliere come direttore dell’‟Economist” (‟Ecomunist”, per gli amici di Arcore) era un mito della sinistra e oggi che bacchetta la sinistra lo è assai meno, non ci capiranno niente. Ma come: i giornalisti italiani non erano quasi tutti, stando al verbo berlusconiano, ‟comunisti o paracomunisti”? Macché. ‟Salvo l’Unità”, ha detto il Professore al "País", giornali e televisioni sono contro l’esecutivo unionista. La prova? Invece che accontentarsi della sua parola (‟Io non sapevo nulla del rapporto Rovati, ma anche se lo avessi saputo che importanza aveva?”) si attardano sul tema se ha mentito al Paese e ‟nessuno segue quello che è il vero scandalo”, cioè il fatto che lui stesso, come ha rivelato proprio il ‟Corriere”, era ‟spiato”: ‟La stampa italiana tace. Segnale che abbiamo ingaggiato una battaglia importante. In casi del genere, bisogna capire da che parte sta la libertà. Evidentemente, lavorare con i mezzi di comunicazione contro per noi è un problema serio. Il leader dell’opposizione è proprietario del principale gruppo nel settore dei media. Ci sono di mezzo grandi interessi”. Parole non diverse da quelle usate per anni da Sua Emittenza. Fin dalla discesa in campo: ‟Li ho sempre avuti tutti contro, anche in questa campagna elettorale: Scalfari, ‟Repubblic”a e ‟l’Espresso” perché sono di un altro partito, Mieli al ‟Corriere” e Mauro alla ‟Stampa” per le loro convinzioni e quelle dei loro redattori. E poi Montanelli...”. ‟La par condicio la dovremmo chiedere noi del Polo: ci sono 4 milioni e 700 mila copie di grandi giornali dei grandi gruppi, circa 20 milioni di lettori con una linea editoriale assolutamente contraria a noi. A favore, soltanto 750 mila copie”. ‟I giornali han riportato con la solita faziosità le mie affermazioni: questo atteggiamento la dice lunga, tutti i sorci sono usciti dai buchi”. Una ossessione tale che ogni tanto se la prendeva addirittura con gli amici. ‟Mediaset mi danneggia, nemmeno i miei giornalisti sono liberi, tengono famiglia e si adeguano”. E via così, anche dopo improvvide sortite incise sillaba per sillaba nei filmati delle tivù e nei registratori dei cronisti, come quella sulla superiorità dell’Occidente sul mondo islamico: ‟C’è stata una situazione in cui mi sono state attribuite parole che non ho mai pronunciato e la colpa è di certe persone nella stampa italiana di sinistra che vogliono offuscare la mia immagine e distruggere le mie relazioni di lunga data con arabi e musulmani”. L’‟orchestra rossa”: così la chiamava. Anche se la quota di queste penne ‟rosse” variava a seconda dell’estro. Un giorno diceva: ‟Comunisti e paracomunisti sono organizzatissimi e possono contare sul 90% dei giornalisti italiani”. Un altro: ‟Credo che l’80% dei giornalisti siano di sinistra”. Un altro ancora: ‟L’85% dei giornalisti è di sinistra”. Rideva allora, Prodi, di quel Cavaliere che non faceva ‟altro che dipingere l’Italia di rosso, la magistratura, i giornalisti e ora anche Confindustria” e ammoniva che ‟nel 2001 erano tutti con lui, ma chi ha mai fatto casino? La democrazia è questa”. E ammiccava: ‟Se lui continua a ritenere che ognuno che dice il suo parere sia pagato dai rossi comunisti per colpirlo avrà sempre più gente contro”. Eppure, la tesi della congiura, la denuncia di avere "tutti contro", l’idea che i giornali siano strumenti al servizio di un complotto dei "poteri forti" è stata cavalcata da molti, a sinistra. A partire proprio da D’Alema. Né è nuova per lo stesso Prodi. Ricordate cosa disse a "Famiglia Cristiana" dieci anni fa a proposito di chi prefigurava quanto poi sarebbe successo nel ‘98, cioè la decisione di Bertinotti di buttar giù il governo ulivista? ‟Io sono convinto che la Finanziaria passerà e che il governo sia molto stabile. Molto più di come lo descrivono i giornali, che obbediscono a poteri forti e sembrano spaventati dall’idea di un governo che duri”. Sicuro? Certo: ‟Non sempre i giornali sono seri e obiettivi: invece di descrivere i fatti, creano notizie clamorose, titoli a nove colonne, forse hanno dei loro interessi oppure gli interessi dei gruppi industriali e finanziari che li controllano”. L’anno dopo confermava di sentirsi saldissimo a dispetto dei nuvoloni all’orizzonte: ‟In questo Paese fa parte del vecchio modo di fare politica e giornalismo quello di dare per spacciato un Presidente del Consiglio fin dal giorno dell’entrata in carica”. E via così, fino alla caduta. Per tornare al tema nella veste di presidente della Commissione Europea, stavolta nei confronti soprattutto delle critiche dei giornali stranieri, in particolare tedeschi. Critiche bollate, per bocca del suo portavoce ufficiale, come "stupide menzogne, ripetute più volte, giorno dopo giorno, in una ‟"reazione a catena" che si propaga attraverso l’Europa”. Per carità, forse talvolta aveva ragione Berlusconi, a fare il Calimero. E forse talvolta ha avuto ragione Prodi. Ma lo ammettano: chi sale al potere, subito circondato da premurosi lacchè ed entusiasti trombettieri indifferenti al suo essere di destra o di sinistra, fatica ad accettare di esser messo in discussione. Nessuno scandalo: il sogno di tutti è di avere intorno una folla di Auguste, il capo dei claqueurs dell’Opera di Parigi che faceva di mestiere il tifoso pagato per trascinare gli spettatori all’applauso. Ma onestamente: di ‟Auguste” non ce ne sono già in giro abbastanza?

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …